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sabato 16 febbraio 2013

La crisi economica e la crisi dell'istruzione (pubblica) ...

Sarebbe più opportuno fornire una recensione accurata del testo indicato della Nussbaum, e lo farò in futuro, ma per il momento mi preme approfondire il declino del sistema d'istruzione pubblico, offrendo, nel contempo, alcune riflessioni sul futuro che ci attende una volta che il sistema verrà compresso nelle strettoie economiche e nel, facile, gioco del rimpallo di responsabilità. Adesso, infatti, sembra il turno della tanto nota "crisi economica".


Scrivono Chiesa e Zagrebelsky:

Venuta meno una reale motivazione ad apprendere, le classi appaiono sovente pigre, annoiate, incapaci di riconoscere nell'impegno richiesto o nelle materie di studio un senso compiuto. La scuola non deve occupare tempi e spazi eccessivi della loro vita[1]



Ancora una volta viene avanzata una richiesta esogena nei confronti della scuola, in difesa di un malinteso primato della “vita” sull('inutilità dell)a scuola.
Una tale concezione, relativa alla sostanziale inutilità della scuola non è più oggi una classica lamentela da parte degli alunni, demotivati nel percorso di studi scelto, ma una considerazione generale adesso avvallata anche in sede governativa. Esistono, allora, dei rischi, e seri, per il sistema d'istruzione (pubblica). Secondo Nussbaum:

Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi di proporzioni inedite e di portata globale. Non mi riferisco alla crisi economica mondiale che è iniziata nel 2008 […] Mi riferisco invece a una crisi che passa inosservata, che lavora in silenzio, come un cancro; una crisi destinata ad essere, in prospettiva, ben più dannosa per il futuro della democrazia: la crisi mondiale dell'istruzione[2]





Parole non profetiche il Nostro Paese, per il quale quello del taglio ai finanziamenti pubblici al settore istruzione, ben al di là di essere una necessità, per di più congiunturale, è una triste realtà che fa parte del sistema pubblico già da molti anni, e prima ancora che la crisi suddetta facesse capolino nell'agenda, pubblica e politica, dei nostri amministratori, ma sicuramente veritiere, anche per noi, per la futura tenuta delle istituzioni democratiche se viene “toccato” il settore (pubblico) dell'istruzione. 


Le democrazie, osserva la Nussbaum, sono sempre più attratte dall'idea del profitto, dell'utile economico. In questo modo,

i loro sistemi scolastici stanno accantonando, in maniera del tutto scriteriata, quei saperi che sono indispensabili a mantenere viva la democrazia. Se questa tendenza si protrarrà, i paesi di tutto il mondo ben presto produrranno generazioni di docili macchine anziché di cittadini a pieno tutolo, in grado di pensare da sé, criticare la tradizione e comprendere il significato delle sofferenze e delle esigenze delle altre persone. Il futuro delle democrazie è appeso ad un filo[3]



Da un lato la strettoia imposta dalla crisi economica, dall'altro lato, però, un'idea perniciosa di indirizzamento curriculare delle giovani generazioni verso i settori richiesti dall'economia stessa, con una trasformazione dell'intero comparto istruzione in una sorta di avviamento professionale o di tirocinio lavorativo, con cancellazione di tutti quegli argomenti e tutte quelle discipline tese, piuttosto, a formare le persone, a sviluppare in queste ultime il senso critico, il libero pensiero. Le nazioni stanno, così, tagliando «tutto ciò che pare non serva a restare competitivi sul mercato globale»[4], sacrificando alle esigenze di una discutibile pianificazione economica futura le materie umanistiche, ma anche gli aspetti, per così dire, creativi e umani delle scienze stesse, appiattendo di colpo l'offerta formativa a un mero tecnicismo professionale, i governi, cioè, «preferiscono inseguire il profitto a breve termine garantito dai saperi tecnico-scientifici più idonei a tale scopo»[5].


Questi cambiamenti educativi, mandati ad effetto dalle nostre classi politiche negli ultimi anni, pur paventando conseguenze, umane, sociali, culturali, psicologiche, pure economiche, non indifferenti, ma radicali, sono passati sostanzialmente sotto silenzio. 


Pur riguardandoci direttamente, o perché vi lavoriamo o perchè ci sta a cuore il futuro dei nostri figli, questi cambiamenti, queste opzioni pubbliche di preferenza politica sul modello d'istruzione da avviare d'ora in avanti, non «li abbiamo discussi»[6], e già stanno limitando, e determinando, «il nostro futuro»[7].






Cosa aggiungere?

Si tratta sicuramente di un testo da leggere, se si desidera comprendere come la cultura umanistica sia davvero importante, al di là delle retoriche di maniera.


Comunque, si fa presto a dire "crisi", più difficile è prevedere come sarà il nostro Paese dopo i tagli, imposti dalla crisi - si dice - ,all'intero sistema istruzione. 


Le decisioni, però, come spesso accade, e in misura maggiore quando si tratta di scuola e università, sono passate sopra le nostre teste, senza che ci coinvolgessero, senza che si aprisse un reale e condiviso dibattito pubblico. Qualcuno ha deciso, e tutti gli altri hanno calato il capo.

Solo che le logiche ragiogneristiche non funzionano quando si tratta di scuola, gli alunni, esattamente come gli operatori che vi lavorano, non sono meri numeri da mettere in ordine, ma destini esistenziali, progetti di vita, persone con nome e cognome, carne ed ossa, precise storie personali ...


(immagine tratta da: http://www.temperamente.it/wp-content/uploads/2011/10/19-No-Profit.jpg)


Note

[1] Cfr. D. Chiesa - C. T. Zagrebelsky, La mia scuola. chi insegna si racconta, Einaudi, Torino, 2005, p. 39.
[2] Cfr. M. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 21.
[3] Ivi, pp. 21 – 2.
[4] Ivi, p. 22.
[5] ibidem.
[6] Supra.
[7] Ibidem.



Alessandro Pizzo

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