"Eppure
la scuola è chiamata a cambiare se consideriamo il mutamento
continuo della società con cui deve confrontarsi. La scuola non è
estranea al mondo: dialoga, entra in rapporto con esso e contribuisce
alla sua trasformazione"
(D. Chiesa - C. T. Zagrebelsky, La mia scuola. chi insegna si racconta, Einaudi, Torino, 2005, p. 16)
Quanto vero c'è in queste parole? Sicuramente la scuola non è né una "torre d'avorio" né una monade, nel senso deteriore del termine, che possa, unilateralmente, pretendere di "starsene per i fatti propri".
Cambiamento
sembra così la nuova parola d'ordine della scuola. Ma, lo si
permetta, è vecchia almeno quanto l'istituzione che pure vorrebbe
guidare verso il cambiamento.
Eppure, proprio l'insistenza sul
cambiamento consente
di comprendere meglio l'attuale crisi d'identità dell'istituzione
stessa, e di chi vi vive dentro, operatori e utenti.
La scuola
cambia, esattamente come cambia il mondo. La trasformazione non va in
alcun modo vista in maniera negativa.
Almeno non di per sé. Eppure solleva parecchi problemi, e quasi tutti di non facile soluzione.
Personalmente, non ho soluzioni da proporre e/o proposte da avanzare. Mi limito a raccogliere l'immagine attuale della scuola, un'inferma immobile nel suo capezzale, derisa e sbeffeggiata da (quasi) tutti ...
Come si può chiedere di più? Come chiedere un trattamento migliore? Nella realtà ipocrita e legata a false mitologie pubbliche, la scuola viene percepita quale non è, un paese di bengodi dove abbondano ricchezza e spensieratezza ... invece manca anche l'acqua per i servizi igienici ...
Si cambia, ma verso dove? Si naviga, ma verso quali porti?
(immagine tratta da: http://www.chiamamilano.it/media/00files/110421adrianoscuola.gif)
Questo post segue altri sul medesimo argomento. L'ultimo in ordine cronologico lo trovi qui.
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