(anteprima tratta da: A. Pizzo, Parva Logicalia. Volume I. Didattica, filosofia, logica, Roma, 2014, ISBN: , pp. 71 - 94)
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Memorie di un
mentitore: cosa il cane (non) disse a Parmenide e a Nessuno!
(Divagazioni
narrative a partire dalla topica italiana sul realismo, vecchio e
nuovo)
Il dialogo a più
voci che segue è una finzione narrativa che intende fare il verso
alla polemica sorta di recente intorno al realismo, tra fautori di un
non meglio precisato “nuovo realismo” e un'ampia consorteria
di antirealisti, di vecchia e nuova maniera. É mia intenzione,
nel canzonare e gli uni e gli altri, rendere un buon servizio alla
filosofia italiana più interessata, almeno in apparenza, alla
polemica che allo scambio di idee e di vedute.
Solo recuperando
il garbo delle finzioni ironiche è, a mio sommesso parere,
possibile guardare le cose con uno sguardo neutro, privo cioè
di quella verve dialettica fine a sé stessa che cristalizza le idee
degli uni e le idee degli altri in un'astratta quanto
autoreferenziale opposizione. Invece, gli uni e gli altri dicono cose
rilevanti che andrebbero trattate con l'opportuna considerazione.
Naturalmente, nascondersi dietro la narrazione, com'è ovvio che
sia, non significa affatto neutralità dell'autore ma, al contrario,
indicazione sommessa di quegli spunti che l'attuale dibattito
potrebbe offrire alla seria riflessione, degli uni come degli altri.
Spero che i
lettori si divertano almeno tanto quanto mi son divertito a
scriverlo.
[Legenda:
personaggi e abbreviazioni
Eubulide:
introduttore – narratore (E)
Parmenide
(P)
Nessuno
(N)
Isocrate
(I)
Liudvig
(L)
Okin
(O)
Sisifo
(S)
Froid
(F)
Saggio1
(S1)
Saggio2
(S2)
Saggio3
(S3)
Cane
(C)]
E: Io, Eubulide, nel
pieno possesso delle mie facoltà e sicuro quanto basta dei miei
ricordi, attesto quanto segue: cerco, sia pure malamente, di
riprodurre il fruttuoso scambio di idee ed opinioni che
fortunosamente noi mortali avemmo in quella ridente quanto ventosa
cittadina sita all'estremità occidentale dell'isola a tre
punte, dialogo inverecondo circa una delle questioni capitali che più
grande ed intensa mai gli umani ingegni partorirono, e con acuto
dolore, e della quale verremo pure a discutere. Eravamo io, il
venerando quanto terribile Parmenide[1],
Ulisse, che chiameremo giocosamente “Nessuno”, Isocrate, noto
storico locale, Sisifo, oscuro politico del luogo, tre anziani del
posto, un cane e tre curiosi quanto strani uomini i quali hanno
affermato di non appartenere alla nostra epoca. E non dubito delle
loro amene parole avendo avuto il privilegio di guardare con i miei
occhi il loro bislacco abbigliamento ... Francamente, la cosa mi
appare in sé quantomeno dubbia, ma come posso mettere in discussione
le loro amabili parole? Come posso non fidarmi di codeste inconsuete
persone? Insomma, perché avrebbero dovuto mentirci? Nemmeno io mento
sempre[2],
quindi abbiamo preso per buone le loro parole e, in nome dell'antica
usanza ellenica dell'ospitalità, li abbiamo ospitati al nostro
banchetto. Forse, però, abbiamo esagerato con il vino, delizia degli
dei, tanto che, in preda ai fumi della digestione, ci siamo
accomodati all'ombra sulla pubblica piazza e qui qualcuno, non
ricordo esattamente chi, ha tirato fuori una questione molto di moda
presso i pascoli, al punto che non temo diventi argomento famoso
anche presso le cornacchie sui tetti prima che la stagione cambi.
Siccome, però, di quella discussione sono il solo testimone, chi
legge prenda sul serio le mie parole[3] e non faccia come i poeti che, notoriamente, sono a tal punto gelosi
dei loro versi da considerare gli dei invidiosi. Non sono geloso di
queste mie memorie, non le considero parte di me, ma solo
affabulazioni giocose di un burlone della mia risma … ma c'è forse
qualcuno che può non prendermi sul serio? Che motivo potrebbero
avere per temere ch'io dica cose false? Solo che provengo dalla
brulla Creta? E allora? Ulisse, mio notissimo figlio della medesima
terra, non andava forse in giro a spacciare menzogne? Eppure, lui
gode di fama nobile, astuto e geniale, io invece per quale oscuro
motivo dovrei esser considerato un bugiardo? Allora, narrerò quella
giornata come s'io la vedessi ora davanti a me e mi nasconderò
dietro le parole e i pensieri di chi partecipò alla conversazione in
quella occasione. Tu che le leggi, accetta queste mie memorie,
apocrife forse, ma veritiere. E qualora dovessero mancare di
corrispondere a come andarono i fatti in tale occasione, non
considerare di conseguenza come falso tutto quello che narrerò, ma
come verità mancate quel che non appare del tutto vero e buone le
altre cose che vi narro.
Nell'antica
Lilybaeum, un gruppo di allegri personaggi siede su dei sedili nella
pubblica piazza, al riparo dal sole, e, tra un sorso di vino rosso e
una risata, si confrontano su un tema difficile: la realtà.
P: eppur, per quanto
la calura e questo caldo vento siriano mi offuschino il pensiero
ed il rigore, penso che una cosa sola possa dirsi della realtà …
I: che cosa, o sommo
Parmenide?
N: sì, dicci saggio
vegliardo, cosa può dirsi?
P: è ovvio, però,
per la barba di Eracle! Una cosa, ed una soltanto: che è[4]!
N: il lume del tuo
genio immortale ancora riverbera e bagna questa landa aspra e
brulla appena qua e là spruzzata dai toni severi degli olivi. E tale
possanza sembra anche mostrare la tua dimostrazione, che agevolmente
svolgesti in altra sede[5],
nondimeno dimmi, oh caro maestro, se della realtà può dirsi solo
che è, cosa può dirsi, invece, del sogno?
I: inusitata
silloge, questa, a parer mio, ma interessante metafora! Il sogno
non è realtà eppure, al pari delle cose che sono, esiste … come
ne usciamo, sommo Parmenide?
P: non abbiam
bisogno di uscirne, ritengo io, se è vero che quando Pandora
incautamente scoperchiò il vaso, solo una virtù rimase sul suo
fondo, la speranza …
O: parole arcaiche
volano alte per l'aere, credo, ma sogno e realtà non sono la
medesima cosa sembra …
L: e dici bene, mio
caro amico ignoto, ma più che le cose che sono quel che sono, mi
interessa sapere cosa succede, se succede, quando le mie parole
incontrano le cose che sono
P: e dici il vero,
mio caro amico (di bevute) …
L: d'altra parte, se
è vero, come penso, che i confini del mondo sono i confini del mio
linguaggio, quando quest'ultimo riesce a rappresentare le cose del
mondo? E cosa accade quando ciò succede?
I: qualcosa di
simile mi chiedo io quando studio il passato … abbiamo non oggetti,
che pur furono un tempo, ossia cose che non sono eppure dobbiamo
trattarle come se fossero
P: quel che le cose
sono, è comunque ben oltre quel che possiamo saperne e pensarne
e dirne, ma da questi sentieri perniciosi con veemenza vi invito a
distogliere i passi. Certo quando dico che la realtà esiste, dal
momento che la realtà esiste per davvero, allora dico qualcosa
di vero, altrimenti mentirei al riguardo, e sarei come i cretesi
che mentono sempre, almeno così narrano le cornacchie sui
tetti, no?
L: allora, per
intenderti, se non fallo, che tutte le volte in cui una mia
proposizione rispecchia l'ordine delle cose che descrivo, le
proposizioni sono vere? Altrimenti sono false?
I: e come potrebbe
essere altrimenti, mio caro sconosciuto del tempo che ancora
dev'essere?
N: temo, però, che
sospinti dalle agili spinte di Eolo noi ci stiamo un po' allontanando
dalla questione in discussione: che la realtà esiste mi pare una
cosa banale, quasi inutile discuterne sopra, mi incuriosisce di più,
al contrario, indagare la sua negazione, come il sogno, ad esempio,
che non è reale eppure esiste al pari di … di me, di voi, di
questa città!
P: Oh, nessuno,
ardita e pericolosa è la tua lingua, scavezzacollo alfine, ma
ragionevole il tuo discorso: se della realtà può dirsi che è, cosa
può dirsi del sogno? Non è eppure esiste, come il sole, la terra,
le donne …
I: o i fatti del
passato, non sono più eppure esistono per noi storici[6] …
S: per non parlare,
miei cari, dei fatti sociali, di per sé abbiamo a che fare con
astute invenzioni teoriche, eppure, in qualche modo, siamo costretti
a pensarli come esistenti, alla stessa stregua delle cose del mondo
F: ancora non potete
saperlo, signori di una volta, ma molti secoli a seguire,
scoprirete l'esistenza di tante altre cose che sfuggono pure alla
luce degli occhi!
L: non anticipare i
tempi, oh Froid! Lascia pure che si cullino ancora, sia pure per
poco, nell'innocenza che solo la mancata conoscenza assicura,
anche se deuprata da tutto quel che biologico e fisico v'è
connesso[7]!
Ma torniamo al momento in cui dire che la realtà esiste coincida con
l'esistenza della realtà: cosa accade in questo caso? Posso
dire di incontrare la verità?[8]
N: verità? Cos'è
la verità? Dov'è la verità
I: esiste qualcosa
come la verità? Non fatemi ridere, ve ne prego, per la feta di
Minosse
O: se esiste
qualcosa che noi tutti si possa chiamare univocamente verità,
allora dovremmo sbarazzarci di tutta quella complessità che le
scienze oramai han raggiunto. Ma, semplificando alquanto le nostre
parole, possiamo pure dire che la verità è quel luogo ove le
distanze tra le proposizioni linguistiche e la realtà delle
cose quasi si annullano, se non fosse che comunque le prime e la
seconda sono comunque due cose di natura del tutto different
F: hai detto bene,
mio caro Okin, nemmeno io avrei saputo dirlo meglio, sempre che
il mio fantasma non prenda il sopravvento sulla mia debole
indole
N: non seguo bene di
cosa parlino lor signori, ma insisto nella riproposizione del
mio problema: il linguaggio che tutti noi adoperiamo non ci consente,
però, di parlare solo di quel che esiste, ma anche di quel che non
esiste. Allora, chi o cosa ci garantisce nella verità? E peraltro
non ha alcun senso parlare di 'verità' come di cosa che esista fuori
di noi quanto, piuttosto, assume senso se, e solo se, la consideriamo
una proprietà di enunciati[9]
P: simili
affermazioni, però, mi fan raggelare il sangue nelle vene: quale
uso dissennato del linguaggio può condurre a dire cose siffatte?
Quale perverso gioco dell'immaginazione ti conduce lungo le sponde
trace ove non v'è più civiltà né educazione? Solo là non contano
più i fatti o gli oggetti o le cose, ma esclusivamente la mera
violenza![10]
L: per scriteriate
che siano, e lo sono, comunque le parole di Nessuno dicono una
porzione di verità: qual è il fondamento che invera le nostre
proposizioni? D'altra parte, sono convinto che se è contraddittorio
asserire che qualcosa non esista è parimenti tautologico asserire
che tutto esiste, ed intendo con 'tautologico' qualcosa privo
d'interesse![11]
O: i fatti, forse?
N: ma perché
esistono i fatti forse
I: il discorso si fa
interessante, a parer mio, infatti quelli del passato li chiamiamo
fatti, ma esistono forse
N: non sono, e
allora come possiamo parlarne dal momento che solo di quel esiste
dovremmo poter parlare?
L: e nella misura in
cui ne diamo descrizione per mezzo del linguaggio, le nostre
enunciazioni sono anche vere e false[12]
F: eppure, noi
sentiamo, percepiamo, conosciamo e parliamo anche di cose che affatto
sono, come le pulsioni che ci agitano e, in qualche modo, ci
influenzano … e tuttavia se non sono, come possiamo parlarne?
I: penso,
addirittura, se non erro, perché certo posso pure non dire cose
veritiere, che in certi casi i fatti o le cose di cui siamo certi
circa la loro esistenza, siamo proprio noi a costruirli, così come,
almeno nel campo del sapere in cui mi muovo, la direzione che va da
'oggi' a 'ieri' non si arresta lì, ma torna poi indietro ad 'oggi' e
prevedendo ancora vari viaggi avanti e indietro nel tempo[13] …
P: qual corbelleria
son costretto a sentire
S1: non adirarti,
caro venerabile, bisogna pur indagare la faccenda, perlomeno per
stabilire se, e in quali casi, quel che esiste, esiste davvero
S2: Oppure, se, e in
quali circostanze, qualcosa possa pure non esistere
S3: Che, detto in
altri termini, significa, né più né meno, stabilire cosa possiamo
conoscere, non trovate?
P: si potrebbe anche
pensarla in questi termini, sì, a patto, però, di accordare la
sensazione della certezza con la verità che solo la conoscenza può
garantire[14]
N: ovviamente
I: certamente
O: senza dubbio
L: dissodiamo,
allora, senza posa, il marmoreo linguaggio[15]
F: e disveliamo gli
inganni che con cura l'inconscio deposita qua e là
P: non so cosa sia
tale inconscio, ma penso sia qualcosa di simile al sogno, no?
Allora, la realtà sicuramente esiste
I: e chi lo dice, oh
caro Parmenide?
P: come fai, mio
caro amico, a mettere in dubbio proprio la base, peraltro comune
a tutti gli uomini, di ogni conoscenza?
N: ma chi dice che
sia davvero la base della conoscenza? E chi ci assicura che sia
comune a tutti gli uomini? Io posso dire che l'acqua è fredda mentre
un altro che è calda … chi dice il vero? E chi il falso? E chi o
cosa assicura che qualcuno dica il vero e qualcuno il falso?
P: il linguaggio,
però, entro certi limiti, rispecchia la realtà, così come la
verità è, entro certi limiti, uno dei fondamenti del pensiero[16].
Quindi, se uno dice che l'acqua è fredda mentre un altro dice che è
calda, è la realtà stessa a decidere della rispettiva verità
o falsità
(continua)
Note
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