Giunge la solita triste storia di "nera", bella pronta per il consumo estivo ...
Stavolta si tratta di un triplice omicidio da parte di un uomo che, a quanto pare, improvvisamente decide di sterminare la propria famiglia ...
Ovviamente, com'è costume della comunicazione massmediatica, si comincia ad indugiare sui dettagli, sui particolari, con uno scavo quasi compulsivo nelle minuzie, con immagini e sequenze spinte fuori dallo schermo, e più sono insignificanti nell'economia generale del fatto tanto meglio ...
Ecco, vorrei svolgere alcune brevissime considerazioni, spero non scontate, senza, però, indugiare nel pettegolezzo o nella banalità liquida della comunicazione mediatica.
I mass - media ci hanno confezionato l'ennesimo boccone avvelenato: non si capisce più dove sia il fatto, che viene narrato, peraltro in modo molto incidentale, e dove l'interpretazione dello stesso, che il giornalista, o chi per lui, ci narra, con la conseguenza che siamo bombardati da dati e informazioni generanti sazietà cognitiva ma non conoscenza. Insomma, dopo ore e ore di esposizione mediatica, non ne sappiamo poi molto ...
Su questa mancata conoscenza, però, su questa oscena versione estesa del pettegolezzo da ombrellone sotto il solleone, ci viene imposta anche la valutazione etica: questo criminale ha ucciso, con scienza e coscienza, la moglie, la figlia di cinque anni e perfino il figlio di venti mesi ...
Senza poter conoscere adeguatamente i fatti, la coscienza morale comune, o, per meglio dire, la conformazione etica collettiva, ci obbliga a prendere posizione, a deciderci, cioè, per l'unica valutazione morale possibile: la condanna!
Già, ma la condanna di cosa? O, per meglio dire, la condanna per che cosa?
E mentre su internet, e sui social, abbondano i post di sdegno e di invettiva di tanti giustizieri da tastiera, o, per meglio dire, e come mi piace sottolineare, dell'anonimo giustizialista che si cela dietro lo sguardo assente di un monitor e che come tutti coloro che vivono di assoluti, e di dommi, non ammette né eccezioni né obiezioni alla propria "legge", di veri e propri ignoranti della cultura giuridica, peraltro a norma di legge, i quai urlano di dargli la pena di morte o la tortura, e tanto già basterebbe a darci riprova del livello infimo di civiltà che dimoriamo, mi chiedo umilmente, e fuori dal coro: lui pagherà, questo è certo, ma fargliela pagare compensa forse il nostro bisogno di protezione sociale? Appaga, forse, il nostro smodato desiderio di viscere? Consola, forse, la nostra insicurezza? E, soprattutto, ripaga in toto la nostra sete di giustizia morale?
Temo di no. Ed è normale che sia così, sta nell'economia della cose. Tuttavia, mi incuriosisce questo atteggiamento di purificazione pubblica, di espiazione tramite retorica pubblica di colpe, probabilmente inconsce o non ancora giunte alla soglia di coscienza, e che forse non diverranno mai consapevoli.
Come il capro espiatorio, come la vittima sacrificale, che si faceva carico delle colpe di tutta la comunità, stiamo forse cercando di caricare sopra le spalle del reo anche le nostre colpe? Anche le nostre frustrazioni? Anche le nostre umane debolezze? Anche, e soprattutto, le nostre insicurezze?
Perché ha fatto quel che ha fatto? Nessuno lo sa, e nessuno può saperlo. Probabilmente, nemmeno il diretto responsabile. Ma non è questa la domanda che dovremmo porci, anche perché è la più lontana dall'indicazione di un nostro limite, quanto piuttosto la seguente: ma cosa abbiamo fatto, in termini di società, di cultura umana, e di pubblica sicurezza, per prevenire tale crimine?
Ecco il punto saliente, e dolente, della vicenda: non è per il tramite della punizione del singolo reo che possiamo smacchiare la comune coscienza morale malata ...
Non è sacrificando un singolo che possiamo esorcizzare, e definitivamente, da noi il rischio di tramutarci a nostra volta nelle sembianze del medesimo mostro ...
La storia è copiosa di esempi di persone apparentemente normali, del tutto ordinarie, banali nelle loro esistenze umane, che, improvvisamente, assumono la maschera del mostro ...
Questo significa, a mio modesto avviso, una sola cosa: nella difficoltà di comprendere ed accettare quel che è successo, diveniamo consapevoli della fragilità che, in quanto esseri umani, ci caratterizza ...
... e, di conseguenza, dovremmo spingerci non al giudizio facile, ma alla considerazione meditata dei limiti della nostra condizione umana.
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