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A mio modo di vedere, due sono i momenti distinti, ma non anche irrelati, della ricerca von wrighitana intorno alla sensatezza delle proposizioni pratiche:
1) un primo momento, coincidente con i decenni ’50 – ’60 del secolo scorso; e,
2) un secondo momento, coincidente in linea di massima con i decenni seguenti.
Mentre il primo momento configura la ricerca di von Wright come espressamente logica, il secondo momento invece qualifica l’itinerario speculativo dello stesso in chiave marcatamente analitica.
Per dirla in altro modo, nel primo momento, von Wright cerca di venire a capo dell’enigmaticità della razionalità del discorso pratico tramite una cassetta degli attrezzi di tipo formale, mentre nel secondo tramite una cassetta degli attrezzi di tipo analitico. Non si tratta puntualmente di due momenti slegati, ma di due tappe di un unico progetto originario: render conto della razionalità del discorso pratico.
Tra i suoi molteplici interessi, quello inerente alla razionalità del discorso pratico ha segnato l’intera speculazione del compianto filosofo finlandese, un itinerario teoretico preciso e sorretto da un profondo ottimismo nei confronti del futuro dell’umanità, specie dopo la catastrofe del secondo conflitto mondiale. Questo atteggiamento di fondo si riverbera nella maniera con cui attende a render conto logicamente della razionalità del discorso pratico. Infatti, appare convinto della chiave di volta logica, e che, dunque, in qualche modo fosse pure possibile indicare riflesso nel rigore del linguaggio formale la nitidezza della razionalità del discorso pratico. Era, cioè, convinto del fatto che la perfetta geometria della logica formale potesse riflettere la razionalità delle enunciazioni pratiche.
Negli anni ’50 venne a contatto con la logica modale, e scorse un’analogia tra «i quantificatori e i concetti modali» grazie alla quale si convinse di poter catturare all’interno delle reti formali il comportamento razionale delle enunciazioni linguistiche del discorso pratico. Aggiungendo uno specifico operatore modale ad uno dei noti sistemi russelliani, vale a dire le logiche proposizionali, diventava possibile estendere il range di funzionamento della logica oltre i normali confini vero – funzionali.
Intendo sostenere che von Wright affronta di petto la problematica conosciuta come dilemma di Jørgensen, e secondo la quale è problematica la discussione intorno al carattere logico delle proposizioni pratiche dal momento che queste ultime non descrivono stati di cose, e, pertanto, sono aleticamente adiafori, il che significa affermare che non «sussistano relazioni logiche» fra imperativi e norme. Piuttosto, scorgendo un’analogia tra logica modale aletica e logica deontica non aletica, di modo che sia possibile sottoporre ad analisi logica anche le proposizioni pratiche, si aggira l’ostacolo costituito dalla loro eterogeneità ai valori vero – funzionali.
Facendo ciò, von Wright mostra l’estremo fascino della logica deontica, problematica sì, ma interessante perché consente di estendere il dominio della logica oltre i limiti del regno della verità. Ciò significava, infatti, imbrigliare le enunciazioni intensive, quali quelle del discorso pratico, entro un formalismo logico che attribuisse un significato “modale” alle usuali enunciazioni estensive.
Se consideriamo le analogie scorte da von Wright tra logica e linguaggio, penso si possa scorgere l’evoluzione successiva del suo pensiero che muove dall’analisi del linguaggio formale in direzione dell’analisi del linguaggio ordinario. Il che significa spostare l’attenzione dalla razionalità del discorso morale, malamente riflessa dalla razionalità del discorso formale, al discorso morale in quanto tale.
A partire dagli anni ’60 von Wright si concentra sull’azione, sul cambiamento, sul tempo. Non si tratta di meri allargamenti di interessi speculativi, ma di necessari progressi nella sua considerazione intorno alla razionalità del discorso pratico. Detto altrimenti, infatti, già a partire della fine degli anni ’50 a più interlocutori la sua logica deontica appariva priva «di solide fondamenta» la sua stessa storia sia stata costellata da innumerevoli quanto gravi malfunzionamenti formali, chiamati, in genere, paradossi, ma aventi una natura profondamente diversa dai ben noti paradossi semantici, vale a dire derivazioni tanto sorprendenti quanto sgradevoli.
Questo allargamento, tuttavia, consente di integrare lo scarno simbolismo formale delle prime versioni di logica deontica con un linguaggio più evoluto e maggiormente capace di cogliere la razionalità pratica. Per Artosi, «ci sono parecchie questioni in logica deontica» che potrebbero risultate rilevanti per il discorso pratico, nonostante le indubbie difficoltà. Se a partire dagli anni ’40 si cominciò a discutere delle possibili conseguenze per l’etica «degli sviluppi della logica», è anche vero come proprio la logica deontica abbia costituito un indubbio «risultato principale di questo allargamento del campo di indagine». Infatti, essa consente di render conto, entro certi limiti, della razionalità del discorso pratico. Intendo dire che sicuramente essa «doveva mettere in luce il funzionamento degli operatori caratteristici del ragionamento normativo» ma è altrettanto certo che da sola non è sufficiente allo scopo, riuscendo a mala pena a catturare solo un pezzetto della razionalità suddetta.
In tempi recenti, von Wright ha sostenuto che il formalismo del linguaggio logico illumina solo un aspetto della razionalità pratica, ossia la sua normatività, ma è del tutto incapace di render conto della dinamicità concreta dei ragionamenti pratici, diversamente essenziali per un discorso pratico realmente tale. Dunque, par di capire, quest’ultimo sembra continuare a sfuggire alla logica. Una condizione del tutto spiacevole dal momento che consegna la morale all’arbitrio, all’irrazionale, all’ingiustificato. Mentre, e certamente, «il pensiero pratico è pur sempre pensiero e, come tale, deve soddisfare i requisiti e le leggi della logica».
Come conciliare, allora, le esigenze della logica con la natura problematica del discorso pratico? Per Poli, «il pensiero pratico è pensiero sul mondo in relazione a specifici concetti essenzialmente pratici. Pensiamo praticamente quando emettiamo ordini e comandi e quando prendiamo decisioni. In tal modo, il pensiero pratico include il pensiero non pratico in quanto implica la conoscenza dell’ambiente e delle circostanze in cui operiamo». E ciò è, in fin dei conti, coerente con la storia della logica deontica stessa, un vero e proprio tentativo di cogliere «the underlying structure, of our moral discourse». Vale a dire, di tradurre formalmente le intuizioni morali che viceversa esprimiamo con il discorso pratico.
Pensare, al contrario, che la logica possa dirci come agire, vale a dire esprimere nel contempo tanto la forma quanto il contenuto del discorso pratico appare del tutto insensato. Al massimo, ci descrive la cornice linguistica delle enunciazioni pratiche, ma non sembra in grado di attingere al relativo contenuto, il quale resta legato alle intuizioni morali che noi, in qualità di agenti umani razionali, produciamo ed esperiamo.
Secondo alcune interpretazioni, proprio la tensione irriducibile tra il primo e le seconde potrebbe essere una delle cause principali dei paradossi deontici, una particolare tensione tra il lavoro dei logici formali e la filosofia delle norme.
Dopo trent’anni nel labirinto della logica deontica, von Wright modifica la sua logica deontica in termini di filosofia delle norme. Pur non rinnegando le sue idee precedenti, svolge un discorso del tutto differente rispetto a prima. Così, giungiamo al secondo momento di svolgimento della sua speculazione. Non più una logica, ma una praxeologia della legislazione umana. Detto altrimenti, la logica deontica non può dirimere le questioni trattate nel discorso pratico, ma «will help to clarify disputes between particular theories». Nel 1983 von Wright introduce la metafora del legislatore razionale per esprimere il succo della sua teoria intorno alla razionalità del discorso pratico.
Per il Nostro, infatti, vi sono alcune particolari condizioni affinché delle norme siano razionali: a) la possibilità che non sempre vengano rispettate; b) impossibilità di rispettarle; c) manifesta irrazionalità delle stesse. Nel caso (a), è normale che nel corso degli eventi alcune norme siano non rispettate, può occasionalmente accadere. Nel caso (b), invece, von Wright insiste sul carattere ‘umano’ dei desiderata del legislatore: nessuna norma non soddisfacibile, per i più vari motivi storici, o fuori dalla portata di agenti umani, razionali sì ma del tutto fallibili, può venir soddisfatta egualmente. Più interessante, a mio avviso, è il caso (c). Infatti, il Nostro sta asserendo che il legislatore non può mai ordinare una contraddizione, come ad esempio fare X-e-non-X. In quest’ultimo caso, il legislatore è irrazionale per aver ordinato di soddisfare due norme contraddittorie, le quali possono essere soddisfatte solo una alla volta nel normale corso storico, e mai insieme nello stesso tempo storico.
Un discorso molto simile, ma in fin dei conti differente, viene compiuto per i permessi. Per von Wright, sono possibili i seguenti casi: x) la coesistenza di due permessi; xx) la non soddisfacibilità pratica di uno dei due permessi contrari; xxx) la non soddisfacibilità pratica di due permessi contraddittori. Nel caso (x) viene meramente ribadita la definizione di permesso, vale a dire di azioni lasciate all’arbitrio dell’agente umano. Nel caso (xx), invece, si contempla l’impossibilità per un dato agente di mandare ad effetto in maniera efficace due permessi su azioni tra loro contraddittorie. Nella medesima sequenza temporale, infatti, solo uno dei due permessi contrari è realizzabile, a scapito dell’altro il quale, evidentemente, non può essere adempiuto. Infine, nel caso (xxx), von Wright introduce nella riflessione pratica una specifica nozione logica, quella di contraddizione, al fine di negare l’eventualità che un legislatore conceda dei permessi su due azioni perfettamente contraddittorie. In tal caso, infatti, si tratta di due permessi che non possono rimanere validi per l’intera durata della storia. E tuttavia si deve comunque concedere che siano, da un punto di vista squisitamente pratico, del tutto possibili. Vale a dire che è del tutto razionale che sussistano entrambi.
Allora, sembra di poter asserire che von Wright formuli delle specifiche condizioni di possibilità per una razionalità normativa, vale a dire produttiva di norme razionali. Queste sono, a ben vedere, solamente due: i) la non contraddittorietà delle proposizioni del discorso pratico; e, ii) la coerenza tra le proposizioni del discorso pratico. La condizione (i) impone che il legislatore non fornisca volutamente ordini contraddittori mentre la condizione (ii) impone che tra due obblighi o permessi sussista sempre una relazione di coerenza, ovvero di consistenza tra corrispondenti corsi d’azione opposti. Senza la condizione (i), ovvero senza la non contraddizione, e senza la condizione (ii), ovvero senza la coerenza, non può darsi un discorso pratico razionalmente fondato e sensato. In ogni caso, comunque, rimane ferma la limitazione fondamentale, in virtù della quale «la logica può solo rispecchiare le nostre teorie morali».
Per Galvan, «La Logica deontica è una particolare Logica intensionale […] è praticata in misura prevalente nell'ambito della Logica proposizionale e, probabilmente, è questa la ragione che ne limita l'utilità come strumento effettivo di argomentazione nell'ambito giuridico ed etico applicativo». Trattandosi, dunque, di una particolarissima logica proposizionale di primo livello, non appare in grado di render conto della razionalità del discorso pratico, salvo, forse, alcuni minimi aspetti. Di ciò, con molta probabilità, si rese presto conto lo stesso von Wright, il quale, sottoponendo a revisione e critica la propria riflessione, pervenne infine alla sistemazione attuale che, se da un lato si configura come un superamento della stessa logica deontica, dall’altro lato si configura anche come un procedimento filosofico di natura differente dallo studio formale, vale a dire come una filosofia delle norme che descriva i canoni di una razionalità del discorso pratico.
A questo punto, mi sia consentito svolgere alcune considerazioni ulteriori.
A) La praxelogia appare come il riconoscimento di una sconfitta, che la logica deontica manca il suo scopo originario, anche se rimane alta ed ancora valida l’esigenza di fondo, di mettere a punto un trattamento formale capace di riflettere la natura della razionalità pratica.
B) L’indagine praxeologica rimane sempre e solo teorica, vale a dire von Wright la confina nell’iperuranio della teoretica fine a sé stessa. Intendo, cioè, dire che i principi di non contraddizione e consistenza non valgono per questo o quell’ordinamento pratico, ma solamente per uno ed unico ordinamento: quello ideale. Von Wright, in altri termini, circoscrive l’ambito di validità della sua analisi praxeologica alla purezza ideale di un modello teorico di legislazione umana, sì razionale, ma sempre e comunque distante, e purtroppo, dalla confusa, irrazionale e sovente pure inconsistente legislazione umana storica?
A coclusione della presente rapida rassegna di due singoli momenti della sterminata produzone e riflessione del filosofo finlandese, possiamo tranquillamente chiederci se sia poco o molto. Difficile dirlo. In ogni caso, si tratta di uno svolgimento che merita approfondimento e considerazione, più di quanto non sia possibile in questa sede.
E per quanto esista comunque una razionalità del discorso pratico e per quanto, ancora, il linguaggio umano esprima delle funzioni normative, la meta agognata, il render conto in maniera efficace e puntuale della razionalità del discorso pratico, appare ancora lontana nel suo stagliarsi al termine dell’orizzonte.