E com'è il
paradosso della vittima?
Anche in questo caso
la contraddizione coinvolge direttamente, e senza mezzi termini, il
principio [P], ossia il principio secondo il quale se qualcosa
implica uno stato di cose vietato è di per sé vietato. Assumiamo
allora il caso di una vittima di qualche offesa personale, mettiamo
un furto. Abbiamo, di conseguenza, la seguente situazione malformata:
se la vittima di un
ladro lamenta il suo destino di essere stata derubata, allora ha
avuto luogo una rapina;
è vietato che
abbiano luogo rapine;
ergo,
(a causa dell'applicazione del princio [P]) è vietato che la
vittima di una rapina lamenti il proprio destino di esser rapinata.
Senza alcun dubbio
in merito, la conclusione (3) è del tutto paradossale, è cioé una
contraddizione con la prima premessa, ovvero una falsità senza
possibilità alcuna di redenzione. Come a dire, oltre al danno, il
furto, anche la beffa, vietato lamentarsi. Aggiungiamo che la
conclusione in questione, sebbene falsa perché contraddittoria (con
la premessa (1)), è legittimamente derivata dall'insieme delle
premesse e in coordinazione appunto con il principio [P]. Cosa
dobbiamo dedurne? Che il suddetto principio è falso oppure, cosa più
probabile, che l'eccessiva rigidità della logica deontica sia
l'unica responsabile di questo stato di cose? Ovvero, della
generazione senza posa di efferati paradossi? A mio avviso, è un
problema notazionale della stessa, del tutto incapace di evitare
derivazioni incoerenti[1].
Si tratta di
contraddizioni notevoli. Cosa accade invece nel caso del paradosso
del ladro?
Il colpevole è
sempre il principio [P]. Assumiamo l'ipotetico caso seguente:
il ladro pentito
della sua rapina implica che una rapina ha avuto luogo;
è vietato che
abbiano luogo rapine.
Similmente al caso
del Buon Samaritano, si ottiene la seguente conclusione
dell’inferenza deontica:
(3) è vietato che
il ladro si penta della sua rapina
Ovviamente,
la conclusione deontica (3) è paradossale perché si tratta di una
formula incoerente
dato che vengono affermate due enunciazioni contrarie tra loro, la
(1) e la (3). Per di più, appare problematico che dalla verità
delle premesse possa derivarsi, e per di più correttamente, una
conclusione falsa!
E il paradosso di
Platone?
A
rigore si deve precisare subito come non sia propriamente “farina”
del sacco della logica deontica, ma è pur sempre un'utile occasione
per mettere a fuoco un problema formale grave. Nello stesso tempo va
detto pure come esso possa venir accostato ai dilemmi
morali, ossia a tutti quei casi
per I quali la declinazione in concreto di principi generali fallisce
e nel corso dei quali il singolo agente è del tutto impossibilitato
a scegliere, razionalmente quanto sensatamente, tra una delle due
alternative confliggenti[2]. Seguiamo adesso la presentazione che
viene offerta da Lemmon[3]: si ponga caso che un amico lasci in
custodia la sua pistola con la promessa da parte di rendergliela
quando la chiederà indietro. Si conceda che dopo qualche tempo
questo amico si presenti chiedendo indietro la sua pistola perché
deve lavare il suo onore in quanto ha scoperto che la moglie gli è
infedele. Pertanto, il risultato è di trovarsi nell’indesiderabile
situazione di esser presi tra due obblighi confliggenti restituire
e non restituire la
pistola. Infatti, in base a
quanto promesso si deve
rendergliela ma siccome è prevedibile quale uso ne seguirà si è
anche obbligati a non
restituirla. Ringraziando Platone per aver formulato per primo questa
situazione dilemmatica[4], vediamo di attenzionarla alla luce della
logica deontica. Il paradosso è costruito sull’opposizione tra due
obbligazioni prima facie
di eguale importanza. Ma uno dei principi della logica deontica è
che due obbligazioni opposte non possono mai darsi. E tuttavia questo
caso concreto sembra costituire un contro-esempio al principio
stesso. Allora chiediamoci: è falso l'esempio oppure il principio?
Forse, e più ragionevolmente, nessuna delle due. Secondo Hansson[5],
la logica deontica è semplicemente, oltre che gravemente, incapace
di impedire derivazioni contraddittorie, come le presenti.
Si tratta di
un'incapacità grave, anche perché rende possibili situazioni
complesse di contraddizioni. É anche il caso del paradosso di
Sartre?
Sì, senza dubbio.
Anche se il presente è un caso più affine a quello di Platone che
ai precedenti, vale a dire ci troviamo di fronte ad un tipico caso di
'dilemma morale' più che di un paradosso deontico in senso proprio.
Ma lasciamo che sia Sartre[6] stesso ad illuminarci:
citerò il caso di
un mio allievo, venuto a chiedermi consiglio nelle circostanze
seguenti. Nella sua famiglia i rapporti tra il padre e la madre si
erano guastati e d’altra parte il padre tendeva a collaborare con i
tedeschi; il figlio maggiore era caduto durante l’offensiva
germanica del ’40, mentre il figlio minore, i mio allievo, giovane
dotato di sentimenti un po’ primitivi ma generosi, lo voleva
vendicare. La madre viveva sola con l’unico figlio rimastole,
affranta per il mezzo tradimento del marito e per la fine dell’altro
figlio, e vedeva in lui la sola consolazione. Quel giovane in quel
momento poteva scegliere tra partire per l’Inghilterra e arruolarsi
nelle Forze Francesi di Liberazione – e quindi abbandonare la madre
– o restare presso la madre e consolarne l’esistenza. Si rendeva
ben conto che la donna viveva solo per lui e che il suo andarsene via
– e forse la sua morte – l’avrebbero gettata nella disperazione
Il
problema, in fin dei conti, è che il soggetto non può
scegliere in quanto non ha argomenti conclusivi a favore dell’una
come dell’altra scelta, benché entrambe si configurino quali
doveri. Come si vede,
non è esattamente un paradosso deontico ma se si volesse
formalizzare con il linguaggio della logica deontica giungeremmo ad
una chiara quanto inequivocabile situazione contraddittoria.
Allora potremmo
aggiungere, in un'ottica più generale, come la logica deontica non
sia in grado di gestire i dilemmi morali?
Esattamente, in un
dilemma morale entrambe le alternative sono obbligatorie, e, quindi,
richieste, oppure sono entrambe vietate, e, quindi, da evitare,
eppure il soggetto non è in grado di scegliere adeguatamentre l'una
piuttosto che la l'altra[7]. Il che, comunque, è da un punto di
vista squisitamente logico strano oltre che inquietante: non era
esclusa la possibilità di conflitti tra doveri?
Cosa accade, invece,
nel caso del paradosso dell'Imperativo contrario al dovere?
Semplificando, si
può tener conto dello strano meccanismo logico operante nel caso del
paradosso del Buon Samaritano, e considerare adesso la situazione
seguente:
Nicola deruba
Giorgio;
Nicola deve
non derubare
Giorgio;
Deve darsi il
caso che se Nicola non derubi Giorgio, egli non sia punito;
Se Nicola deruba
Giorgio, allora egli deve essere punito.
Chishoml[8] chiama
la conclusione (d) un imperativo contrario al dovere, vale a dire un
obbligo contrario ad dovere precedentemente espresso in (b).
Siccome temo che
l'esempio presente renda poco perspicuo lo specifico del paradosso in
questione, seguiamo Poli[9]:
(a) Deve essere che
Smith si astenga dal derubare Jones.
(b) Smith deruba
Jones.
(c) Se Smith deruba
Jones, egli deve essere punito per il furto.
Deve essere che, se
Smith si astiene dal derubare Jones, egli non venga punito per il
furto.
L'iter del
ragionamento appare quantomeno strano. Infatti, la conclusione
paradossale non ha un carattere generale, ma discende esclusivamente
dall'espressione di un nesso di causalità. IL fatto che la logica
deontica stenti a darne un'adeguata epsressione è, a mio avviso,
un'ulteriore conferma dei limiti della disciplina. Per Føllesdal e
Hilpinen[10], infatti, l'Imperativo contrario al dovere ci dice solo
cosa andrebbe fatto una volta che sia già stato violato un dovere.
Si tratterebbe, dunque, di un dovere “riparatorio”
dell'infrazione precedente. Ma la logica deontica fallisce nel
tentativo di render conto anche di siffatte situazioni condizionali o
di distinzione tra doveri prima facie e doveri attuali.
Ancora una volta,
dunque, le difficoltà della disciplina appiono sconcertanti ed
inquietanti. Ma rimane ancora un caso da considerare, vero?
Certamente, abbiamo
da prendere in considerazione ancora il paradosso del dovere
epistemico. Poniamo che un addetto alla sicurezza interna di un
supermercato debba vigilare sui taccheggi. Se qualche cliente
taccheggia, l'addetto deve sapere chi sta taccheggiando. Ora, però,
se lo stesso sa che Maria sta taccheggiando, allora Maria sta
taccheggiando. Per lo schematismo della logica deontica, otteniamo
infine come sia obbligatorio che Maria taccheggi[11]. Ancora una
volta, il formalismo della logica deontica consente di ottenere
conclusioni paradossali, ovvero contraddizioni le quali, pur essendo
delle asserzioni false, vanno accettate come vere.
Sconcertante, anche
se, in certo qual modo, ugualmente stimolante. In conclusione, cosa
può dirsi in generale sui paradossi della logica deontica?
La scoperta di
limiti interni alla teoria se sulle prime sconvolge perché comunica
l'impressione che la teoria stessa sia incosistente a causa delle
varie contraddizioni in cui la stessa cade, tuttavia è sorgente di
progressi futuri, anche nel tentativo di risolvere, se non tutte,
almeno buona parte, delle difficoltà in cui si dibatte la
disciplina. Per Poli[12], ad esempio, proprio lo studio dei paradossi
ha consentito l'evoluzione della logica deontica. In questo senso,
infatti, sembra di poter individuare due sole alternative allo stato
di cose attuale: I) o ridurre il corpus degli assiomi, teoremi
e linguaggio formale agli aspetti minimali, con applicazione delgi
operatori a descrizioni di azione; II) oppure bisogna costruire una
logica “più forte” in grando di render conto anche di situazioni
nuove, come i nessi di condizionalità
oppure le relazioni tra gerarchie diverse di obblighi oppure gestire
più variabili contemporaneamente. Anche se, a volerla dire tutta, la
storia della logica deontica è sempre stata una storia di
risoluzione dei paradossi e riproposizione di nuovi paradossi[13].
Per Makinson[14], d'altra parte, ed anche, pur con le dovute
differenze, per von Wright[15], tutti I problemi della materia
derivano dalla tensione tra le nostre intuizioni normative, che
intenzionano le azioni in un senso “morale”, e il formalismo
logico, il quale è del tutto eterogeneo al meccanismo della
valutazione morale. Per Rescher[16], infatti, quel che davvero fa, e
potrebbe fare solamente, la logica deontica è dare espressione
inadeguata al contenuto razionale delle nostre intuizioni morali. In
ogni caso, quelli che seguono sono, a mio sommesso parere, I casi di
difficoltà la cui trattazione genera paradossi in logica deontica:
(1) relazioni di
causalità tra modali
deontici;
(2) relazioni di
condizionalità
(primaria e secondaria) tra proposizioni deontiche;
(3) iterazione
di modali deontici;
(4) iterazione
modale (modalità miste);
(5) difettibilità,
e relativa apertura a tempi,
agenti e contenuti
differenti, delle
proposizioni deontiche;
vincoli di
coerenza basati sul principio di contraddizione.
Non c'è proprio
speranza, allora?
Possiamo parlare
solo del passato e, in certa stretta misura, anche del presente. Ma
del futuro chi è abilitato a parlare? Magari un giorno potremo
parlare di una logica deontica “perfetta”. Intanto, però,
possiamo solo prendere atto delle difficoltà entro le quali deve
barcamenarsi la materia.
Note
---------------------------------------------------------------------------------------------
[1]
Cfr. C. H. Huisjes, Norms and Logic,
Copiëerinrichting v. d. Berg, Kampen, 1981, p. 45.
[2]
Cfr. H. N. Castañeda, Thinking and Doing,
Reidel, Dordrecht, 1975, pp. 26 – 31.
[3]
Cfr.
E.
J. Lemmon,
Moral
Dilemmas,
“The Philosophical Review”, 2, 1962, p. 148: «Here
is a simple example, borrowed from Plato. A
friend leaves me with a gun, saying that when he calls. He arrives in
a distraught condition, demands his gun, and announces that he is
going to shoot his wife because she has been unfaithful. I ought to
return the gun, since I promised to do so – a case of obligation.
And yet I ought not to do, since to do so would be to be indirectly
responsible for a murder, and my moral principles are such that I
regard this a wrong. I am in an extremely straightforward moral
dilemma, evidently resolved by not returning the gun».
[4]
Cfr. Platone,
La
Repubblica,
Laterza, Roma – Bari, 200610,
p. 33 (I, 331 c): «Ti
faccio un caso: se uno ha ricevuto armi da un amico sano di mente e
se le sente richiedere da quell’amico impazzito, chiunque dovrebbe
dire, a mio avviso, che non bisogna ridargliele e che non sarebbe
giusto chi gliele ridesse».
[5]
Cfr.
S. O.
Hansson,
op.cit.,
p. 170: «in
standard deontic logic (SDL), it is possible conclude form Op and Op
that Oq for any argument q of the operator. Hence, in the presence of
a moral dilemma, everything is obligatory».
[6]
Cfr. J.
P. Sartre,
L’esistenzialismo è un umanismo,
Mursia, Milano, 1996, pp. 43 – 4.
[7]
Cfr. R.
Ohlsson,
Who Can Accept Moral Dilemmas?,
“The Journal of Philosophy”, 8, 1993, p. 405: «In
a moral dilemma, the agent acts wrongly whatever she does. Either all
avaible alternatives are forbidden, or two or more actions that
cannot conjointly be performed are morally required in the same
situation, or one and the same action is both forbidden and
absolutely obligatory».
[8]
Cfr.
R.
M. Chisholm,
Contrary –
to – Duty Imperatives,
“Analysis”, 24, 1963, pp. 33 – 36.
[9]
Cfr. R.
Poli,
op.
cit.(I),
p. 338 e sgg.
[10]
Cfr.
F.
Føllesdal
– R. Hilpinen,
Deontic Logic:
An Introduction,
in R.
Hilpinen
(ed.), Deontic Logic:
Introductory and Systematic Readings,
D. Reidel Publishing Company, Dordrecht – Holland, 1971, pp. 25 –
6: «A
contrary-to-duty imperatives says what a person ought to do if he has
violated his duties».
[11]
Cfr. G.
Sartor,
Legal Reasoning. A
Cognitive Approach to the Law,
Springer, Dordrecht, 2005, p. 477: «the
premise that John ought to know that Mary is stealing surprisingly
entails, in standard deontic logic, that Mary ought to steal».
[12]
Cfr. R.
Poli,
op. cit.,
p. 338: «la
scoperta dei paradossi presenti nel sistema di von Wright fu però
uno dei motivi, anche se non il solo e forse nemmeno il principale
che stimolarono la ricerca di nuovi sistemi».
[13]
Cfr. A.
Artosi,
op. cit.,
p. 139.
[14]
Cfr. D.
Makinson,
On a Fundamental
Problem of Deontic Logic,
in P.
McNamarra
- H. Prakken,
Norms, Logics and
Information Systems. New Studies in Deontic Logic and Computer
Science,
IOS, Amsterdam, 1999, p. 29.
[15]
Cfr.
G.
H. von Wright,
On
the Logic of Norms and Action,
in R.
Hilpinen
(ed.), New
Studies in Deontic Logic,
Reidel, Dordrecht, 1981, p. 7: «There
is a singular tension between the philosophy of norms and the formal
work of deontic logicians».
[16]
Cfr. N.
Rescher,
Topics in Philosophical
Logic,
Reidel, Dordrecht, 1969, p. 321.
(G. H. von Wright 1916 - 2003)
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