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giovedì 31 dicembre 2015

Dialogo tra ipotetici studenti adolescenti e Cartesio

Gli studenti chiedono, Cartesio risponde

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Studente1: Cartesio, ma cosa si fumava?
Studente2: lo stesso mi chiedo io
Cartesio: miei buoni giovani amici, eccetto qualche tirata con la pipa, nient’altro!
Studente1: ma la tua filosofia mi è cosa così strana …
Studente2: per non dire orribile! Oscura e poco comprensibile!
Cartesio: e tuttavia l’avete quanto meno studiata!
Studente1: … err … sì, ma la mia valutazione resta negativa!
Sturdente2: pure la mia! Negativa! Zero!
Cartesio: ma vi è perlomeno chiaro il mio punto di partenza? Vi rammento, a giovamento di tutti, le regole iniziali della ricerca. Prima: accettare solamente le informazioni chiare e distinte a tal punto da non prestare nemmeno fianco al rischio del dubbio. Seconda: scomporre i problemi complessi in tanti sotto – problemi più semplici, ammesso, e non concesso, che ciò sia possibile. Terza: procedere con ordine e con gradualità, passando dalle conoscenze più semplici a quelle più complesse. Quarta: passare in rassegna i risultati raggiunti e valutare se il mio modo d’operare abbia rispettato tutte le regole qui presenti …
Studente2: già mi gira la testa. Ma credo di aver compreso a cosa alludi. Parli dell’evidenza? Sì, certo! Ma da qui a costruire una teoria valida ce ne corre!
Cartesio: è proprio questo il mio stesso problema! Trovare un saldo punto di partenza e un criterio quanto più semplice e chiaro ma contemporaneamente capace di garantire il passaggio da un’evidenza ad un’altra! E questo perché la massima aspirazione umana consiste nel conoscere rettamente la realtà esterna. Ma una conoscenza senza verità non è affatto una conoscenza quanto, e piuttosto, solamente una fantasia o, comunque, un insieme più o meno aggregato di informazioni non in possesso, però, di alcun adeguato fondamento. Perché una conoscenza sia vera deve essere ottenuta seguendo un procedimento determinato, un  insieme di passaggi concatenati gli uni agli altri e finalizzati a conoscere le cose e a potersi fidare di tale loro conoscenza. Ma perché ciascuno di noi possa fidarsi, è necessario che sugli oggetti di conoscenza non sia possibile nutrire alcun legittimo dubbio, e, quindi, questi stessi debbono apparire, sotto ogni punto di vista, chiari, evidenti …
Studente1: stop! Fermi tutti! Just a moment! Inutile correre, caro mio!
Studente2: qual è il problema?
Cartesio: infatti, cosa non è chiaro?
Studente1: intanto quale sarebbe questo famoso, per voi, non per me, punto di partenza?
Cartesio: il modello matematico! È a quello che mi ispiro! Solo il rigore matematico sembra poterci guidare in mezzo agli erramenti lungo il sentiero che conduce alla verità, vale a dire una conoscenza affidabile …
Studente2: come la matematica? Non era l’evidenza?
Cartesio: l’evidenza deriva dalla matematica: nella misura in cui aspiriamo ad una conoscenza certa, chiara ed indubitate come quello proprio della matematica, non possiamo che ispirarci al suo metodo …
Studente1: ma perché la matematica ha un metodo?
Studente2: … in effetti … posta così la questione, manco a me è più chiaro il discorso …
Cartesio: miei cari amici, forse non vi è chiaro che 2 + 2 = 4? Le stesse proposizioni matematiche sono prive di dubbio, prive di incertezza, chiare ed evidenti per tutti gli abitanti del globo terracqueo. Ora, la nostra conoscenza deve trarre tanto ispirazione quanto giovamento da questo tipo del tutto peculiare di conoscenza. 2 + 2 non fa per tutti, e in modo chiaro, distinto e senza dubbio 4?
Studente2: ovviamente sì!
Studente1: ci mancherebbe, zio!
Cartesio: non credo di essere tuo zio, ma accetto i vostri modi informali e spicci …
Studente2: spicci! Com’è moderno il nostro Cartesio!
Cartesio: chi, sia pure a suo modo, non è moderno?
Studente1: d’accordo! Ma torniamo al problema … dunque, per ottenere una conoscenza certa, chiara e priva di dubbio, dovremmo imitare la matematica?
Cartesio: esatto! O, perlomeno, il suo modo di procedere …
Studente2: ma perché come procede la matematica? Ho una professoressa di mate che è proprio una gran palla! E non penso che proceda in modo chiaro, evidente o, comunque, privo di dubbi … tant’è che non ci capisco proprio nulla ed ogni volta che chiedo lumi, si limita a ripetere quanto ha appena finito di spiegare …
Studente1: dovresti vedere la mia, allora!
Cartesio: non divaghiamo, cari giovani amici, e mi spiace per voi, ma la matematica cui mi riferisco non è quella scolastica!
Studente2: ah no?
Studente1: bella questa! E a quale allora?
Cartesio: alla disciplina matematica, non alla materia matematica, nonostante che questa derivi dall’altra …
Studente2: ah … e quindi?
Studente1: sono curioso …
Cartesio: la matemática non accetta alcuna informazione o dato privo di chiarezza, di evidenza o che presenti qualche aspetto fonte di dubbio …
Studente2: ah … quindi in questo senso dovremmo ispirarci alla matematica?
Cartesio: esattamente! Fare nostro il suo modo di procedere, e non accettare, di conseguenza, alcuna conoscenza che non sia massimamente chiara, evidente, priva di dubbio!
Studente1: frenate un po’, voi due! Io non vi seguo! Imitiamo la matematica, d’accordo, ispiriamo la nostra conoscenza alle regole di chiarezza, evidenza e certezza, va bene, ma non trovate che difficilmente la conoscenza umana possa adeguarsi al metodo seguito dalla matematica? Intendo dire, non sono due cose troppo diverse?
Studente2: così è, ma in termini metaforici l’analogia mi pare possibile …
Cartesio: è più di una metafora, caro ragazzo, ma comprendo i motivi di tale difficoltà … e tuttavia ribadisco che la matematica ci offre un modello che è tanto più valido quanto più ne deriviamo il modo di procedere … e a questo livello termina il punto di partenza!
Studente1: d’accordo, imitiamo in qualche modo la matematica, ma poi, in concreto, come agiamo? Voglio dire: come ci muoviamo?
Cartesio: per prima cosa non accettiamo nessuna informazione del tutto chiara, evidente, certa, sulla quale, cioè, non sia possibile essere del tutto certi in merito alla sua verità!
Studente2: che cosa stupida!
Studente1: perché? Ha la sua ragione …
Studente2: macché! Se ragioniamo in questi termini, di cosa possiamo davvero essere certi? In verità, di tutto possiamo dubitare, altro che certezza!
Studente1: … sai che hai ragione? Volendo, cosa è davvero del tutto chiaro? Cosa del tutto evidente? Cosa del tutto certo? Ovvero, quale informazione sarebbe veramente degna di considerazione?
Studente2: ammesso, e non concesso, che noi si operi come funziona la matematica …
Cartesio: Non vi nascondo che proprio questa è la difficoltà più grande quando si intraprende la mia opera di fondazione della conoscenza umana. Ma mi proposi di fare come gli scettici antichi, non per emularne i magri risultati conoscitivi, per quando suadenti possano apparire, difatti sono meramente nichilistici, ma solo in funzione strumentale, vale a dire per sottoporre ad esame critico ogni mia informazione, ogni mio dato sensoriale, ogni mia impressione, ogni mia concezione, e valutare, di conseguenza, se possano superare il giudizio inerente alla dovuta chiarezza, alla richiesta evidenza, alla necessaria mancanza di dubbio. Quindi, e se i sensi ci ingannassero?
Studente1: in tal caso, di cosa potremmo essere certi?
Studente2: manco di quello che vediamo o sentiamo o gustiamo … tutto potrebbe essere falso o, comunque, un inganno!
Cartesio: e così è, infatti! Anche quando sogniamo pensiamo che tutto sia vero, ma non lo è!
Studente1: questo è poco ma sicuro!
Cartesio: e, volendo esagerare, cosa ci garantisce che anche ora non si stia sognando?
Studente2: potremmo pure ingannarci e scambiare per veglia quanto invece è sogno …
Studente1: va bene, ma non esageriamo!
Studente2: e perché? È del tutto plausibile, invece!
Cartesio: non litigate, miei cari giovani amici, eppure il discorso è questo: se dobbiamo accettare come dati solamente quanto è chiaro, evidente e certo, di cosa possiamo davvero fidarci? Non delle sensazioni! Non delle tradizioni! Non di quanto si dice in giro! Ed allora di cosa?
Studente1: … ma allora tutto è ingannevole!
Studente2: zio, come ne usciamo?
Cartesio: ditemi, voi che adesso dubitate di tutto, esistete?
Studente1: te pareva! Certo che esistiamo!
Cartesio: e cosa vi dà la piena contezza di ciò?
Studente2: … esistiamo … esistiamo … certo … anche se non abbiamo una risposta alla tua domanda …
Cartesio:  e ditemi ancora: ma senza esistere, potreste ancora nondimeno dubitare?
Studente1: intendi dire che senza esistere non potremmo dubitare?
Studente2: senza esistere, non si può dubitare …
Studente1: va bene, ma quindi se dubito, esisto?
Studente2: se non esistessi, non potrei dubitare!
Cartesio: se dubito, o penso, o immagino, o ragiono, sicuramente penso!
Studente2: sì …
Studente1: beh … può starci!
Cartesio: e il fatto stesso che dubito, non è forse anche la mia prima e fondamentale certezza? Senza esistere, non posso dubitare. Ma il fatto stesso che dubito non mi dà la prima ed assoluta certezza di essere un qualcosa, anziché un niente? Dubitando, mi accorgo che esisto, ossia che sono un qualcosa, quale che sia per davvero, che pensa, che dubita, che immagina, che ragiona!
Studente1: ah … ecco!
Studente2: questo mi pare chiaro, ma solo ora, zio!
Studente1: sì, però noi che pensiamo cosa siamo? Dico, appurato che dubitiamo e che proprio perché dubitiamo esistiamo, in quali termini esistiamo? Come corpi? Come anime? Come cose?
Cartesio: sicuramente, al di là di tutti i possibili dubbi sin qui tirati fuori e possibili, almeno in considerazione teorica, siamo delle cose che pensano, ovvero che dubitano, così come immaginano o ragionano. E, ahimè, nulla, ma proprio nulla, possiamo dire sulla natura del nostro esistere, se siamo corpi o anime o altro! La certezza del dubitare ci dà certezza esclusivamente del nostro essere, in generale, e non del nostro essere qualcosa di determinato
Studente1: ma se esistiamo, in che modo lo siamo?
Studente2: mi sta venendo il mal di testa!
Cartesio: Seguitemi, senza sforzo o pena alcuni. Se dubitiamo, siamo, e non mi pare ci siano difficoltà in proposito. O no?
Studente2: no
Studente1: non direi, ma …
Cartesio: e se esistiamo, siamo certamente qualcosa, delle cose che pensano. No?
Studente1: sì, ma che vuol dire ‘cose pensanti’?
Studente2: allora i telefoni sarebbero ‘cose telefonanti’?
Cartesio: a prima vista, sono certo possibili tante obiezioni, ma nulla di preciso, intendo dire di determinato, in senso effettivo, dico intorno al come del nostro essere. E questo perché niente mi consente di potermi esprimere in proposito con la dovuta chiarezza, o con l’importante evidenza oppure con la totale assenza di dubbio. So soltanto che dubito e che lo faccio perché esisto. Se sono un qualcosa, quale che sia, allora sicuramente sono una cosa che pensa!
Studente1: d’accordo, ma allora potremmo pure pensare che siccome passeggio, sono una passeggiata, no?
Studente2: bella questa! … da chi l’hai rubata?
Cartesio: ma mentre non passeggio costantemente, l’attività del dubitare o del pensare, quanto mai più affini tra loro, non mi abbandona mai. Quindi, l’obiezione manca il suo obiettivo nel senso che contesta qualcosa che non è, vale a dire che dal pensare si derivi l’esistenza. Piuttosto, è l’esatto contrario
Studente2: ma se siamo delle cose pensanti, allora tutte quelle che non pensano cosa sono?
Cartesio: questa obiezione è tanto più interessante quanto chiedersi se gli asini volano!
Studente1: e tuttavia dovremo pur prenderla in considerazione, no?
Cartesio: affatto!
Studente2: ma se così è, non si corre il rischio di identificare la ‘sostanza’ con il ‘pensare’?
Studente1: o il dubitare stesso?
Cartesio: ma considerate, miei cari amici, che proprio l’attività del pensare è la principale dell’uomo
Studente2: ma questo non ci autorizza a identificare quest’ultimo con la prima!
Studente1: sono dello stesso avviso!
Cartesio: ma il punto non è né identificarli né tantomeno equivocarli. Solo che dobbiamo ragionare adoperando e combinando tra loro delle precise evidenze. E la prima è che siamo pensiero, qualunque cosa ciò significhi per davvero! Invece la seconda è che siamo sostanze che pensano, qualunque cosa ciò significhi davvero!
Studente2: va bene. Ma l’uomo svolge così tante altre attività che mi pare quasi tu voglia, caro Cartesio, ridurlo ad una soltanto, ovvero al pensare!
Studente1: e d’altra parte, se penso, e, dunque, sono, perché mai non dovrei abbreviare ancora lo stesso ragionamento e dire dunque ‘sono pensante, e, dunque, sono pensiero’?
Cartesio: sarebbe un’abbreviazione pregna di significato, oltre che indubbiamente interessante, e sotto molti profili, ma non mi appartiene. Quando asserisco che ‘penso, dunque sono’ non sto ragionando, né in termini logici né tantomeno in termini sillogistici! Il mio cogito è solamente una formula che condensa in pochi passaggi chiari ed evidenti oltre che privi di dubbio la prima e fondamentale certezza che si dispiega davanti all’uomo, ovvero che siamo sostanze pensanti
Studente2: ma allora non ci stai dicendo qualcosa che è frutto di un ragionamento?
Cartesio: se per ‘frutto’ intendi la ‘conclusione’ di un procedimento di ragionamento, no nel modo più sicuro!
Studente1: e quindi, credo di capire, il cogito non è un ragionamento?
Cartesio: assolutamente no! E, d’altra parte, come potrebbe esserlo? Piuttosto, la percezione di tale certezza iniziale e fondamentale è più simile ad un’intuizione, almeno in un vago senso agostiniano, che al risultato di un’inferenza!
Studente2: ma a scuola ce la presentano come un iter di ragionamento … qualcosa del tipo ‘se penso, sono; penso, dunque, sono’ … sono in torto?
Cartesio: nella maniera più assoluta, sì! Mai ho intenso presentare questa mia certezza fondamentale come il frutto di un ragionamento! Ma solo come un’intuizione di chiara, evidente e priva di dubbio certezza!
Studente2: va bene, ma ancora non è mi è chiara una cosa!
Cartesio: dimmi, caro amico …
Studente2: ma il cogito è chiaro oppure l’evidenza è fondata perché preceduta dal cogito? Insomma, cosa viene prima? L’evidenza o il cogito?
Cartesio: caro amico, non fraintendermi, anche se, lo ammetto, talora le mie proposizioni potrebbero pure indurre in tali errori. L’evidenza non fonda il cogito perché quest’ultimo vale di per sé solo, e, quindi, non necessita di altro per valere. Piuttosto, l’evidenza ha bisogno del cogito per poter sussistere. Cosa potremmo farcene, infatti, di un’evidenza non giustificata dal soggetto che la concepisce?
Studente1: e allora quanti ti criticano per la natura del cogito? Cosa possiamo dire di loro?
Cartesio: francamente, posso parlare solo di me medesimo, e tacere, per logica conseguenza, di tutti gli altri! Cosa vogliano criticare delle tre caratteristiche fondamentali del metodo, ossia evidenza, chiarezza e mancanza di dubbio, e detto sinceramente, proprio non lo so. Piuttosto, trovo sintomatico il loro voler evitare a tutti i costi la direzione soggettivistica che il mio stesso cogito inevitabilmente presenta …
Studente1: frena, frena, frena! Cosa dici? Che vuoi dirci?
Cartesio: mi pare piano. Se sono un cogito, e, quindi, sono qualcosa che esiste, e che è nella specifica forma di un’essenza pensante, sarò di sicuro un soggetto che fa tutto questo, no?
Studente2: … chiaro …
Studente1: adamantino, direi …
Cartesio: ma qual è, allora, il correlato ôntico di tale soggetto pensante?
Studente1: Intendi dire di cosa si sostanzia tale soggetto che pensa?
Cartesio: esattamente!
Studente1: vediamo … cosa direbbe Aristotele?
Cartesio: lasciamo stare il divino stagirita, e ragioniamo tra moderni. Abbiamo un pensiero che esiste e che è la prima fondamentale certezza! Giusto?
Studente2: sì
Studente1: idem
Cartesio: bene, come esiste allora tale pensiero?
Studente1: come soggetto che pensa …
Studente2: sì, buonanotte!
Cartesio: il soggetto di tale pensiero è l’ente che compie la funzione stessa del pensare, no?
Studente1: va bene, ma in che senso ‘correlato ontico’?
Cartesio: questo stesso ente, cui compete l’atto del pensare, cos’è? Dico, se esiste, in che modo è?
Studente2: come ente!
Studente1: ma scusa, cosa diavolo è l’ente?
Studente2: ignorante! Il ‘cosa’ che esiste!
Cartesio: il quid che è, ossia la sostanza che ha consistenza materiale e svolge la funzione del pensare!
Studente1: allora vorresti farci credere che il problema ora sia giustificare il passaggio dal pensiero in astratto al pensare in concreto?
Studente2: o che al soggetto debba corrispondere una sostanzialità?
Cartesio: ovviamente, sì! Altrimenti, tale soggetto sarebbe o un inganno o un errore o una falsità o un frutto della nostra immaginazione!
Studente2: un frutto davvero indigesto!
Studente1: per non dire, avvelenato!
Cartesio: ma qui si staglia il nostro problema: possiamo essere certi solamente di esistere come qualcosa che pensa, ma nulla possiamo dire, con altrettanta certezza, su cosa sia questo qualcosa che esiste e che pensa
Studente1: come ne usciamo, Cartesio?
Studente2: scommetto che una soluzione l’hai, vero? Furbacchione!
Cartesio: lo ammetto, mi sono fatto una mia idea. E se vi interessa ve ne metto a parte, altrimenti la tengo solo per me …
Studente2: eh no! Ci hai impegnati per mezz’ora almeno, ora ce la dici!
Studente1: informaci! Giunti a questo punto …
Cartesio: torniamo all’evidenza prima. Siamo pensiero! Esistiamo in quanto pensiero! Allora, abbiamo detto, siamo qualcosa di pensante. Bene, se non sappiamo, o  non possiamo sapere con chiarezza cosa siamo davvero, allora dobbiamo fermarci al livello zero di tale certezza. Ossia, dobbiamo, e possiamo, dire solo questo: che siamo cose che esistono perché pensano!
Studente1. Più che sostanze, delle cose?
Cartesio: diciamolo à la latini: res cogitans! Una cosa pensante!
Studente2: ma la res, proprio per essere tale, non sarà pure una sostanza?
Cartesio: per gli antichi il passaggio è immediato, per noi moderni no. Possiamo pure immaginare che sia così, ma non disponiamo di alcuna certezza al riguardo. Quel che sappiamo per certo è solamente che esistiamo in quanto cose che pensano! Punto!
Studente2: ma per esistere tali cose non dovranno avere un corpo?
Studente1: già, almeno un’estensione materiale?
Cartesio: vi piace crocifiggermi, mi pare, dal momento che sollevate obiezioni continue. Eppure, che vi piaccia o meno, per essere cose pensanti queste stesse dovranno avere pure un’estensione, ossia configurarsi in termini di corpi estesi nello spazio! Per essere cose pensanti, le stesse dovranno pure essere delle cose estese …
Studente2: ah no! Ora stai esagerando, caro Cartesio!
Studente1: concordo!
Cartesio: che volete dire, miei cari giovani amici?
Studente2: passi che il cogito esisti nella forma di una cosa pensante, di una res cogitans, ma dare per scontato che questa stessa sia pure una cosa estesa mi pare arbitrario!
Studente1: del tutto ingiustificato, aggiungo! D’altra parte, se non vogliamo cadere nella fallacia del ridurre l’una all’altra, allora dobbiamo salvaguardare la differenza ontica tra la res cogitans e la res extensa. Ma, essendo l’una differente dall’altra, come spieghiamo i rapporti tra le due?
Studente2: ben detto! Come?
Cartesio: a voi giovani piace cogliere in fallo e mettere in difficoltà il prossimo, soprattutto se quest’ultimo è avanti con gli anni. Ma ritengo sia una caratteristica della sfrontatezza giovanile. Nondimeno, recenti scoperti fisiologiche mi hanno suggerito un’idea che supera la difficoltà che mi avete testé posto, vale a dire che esiste una ghiandola pineale la quale non è né tutta spirituale né tutta materiale, ma per metà dell’una e per metà dell’altra, che rende possibile l’interazione tra le due res
Studente2: aspetta un attimo … vorresti farci credere di cavartela così?
Studente1: ma come! Criterio, evidenza, rigore, metodo e finisci con questa sciocchezza?
Cartesio: perché la considerate una sciocchezza?
Studente1: Cartesio, passi la generazione di un dualismo, ma attendersi che noi ci si contenti di questa sciocchezza è da ingenui!
Cartesio: e perché? Tale ghiandola ha una doppia natura, metà spirituale e metà materiale, e in forza di ciò rende possibili i contatti e gli scambi tra le due cose. In questo modo, il soggetto è tanto attività spirituale, ossia pensiero, quanto realtà spaziale, ossia cosa estesa nello spazio …
Studente2: come soluzione è davvero sempliciotta, ma tant’è … piuttosto, dicci ancora Cartesio, e prendendo per buona questa tua soluzione, se nulla possiamo dire o sapere o percepire sulla concreta realtà di tale res cogitans, chi può garantirci circa l’evidenza della res extensa?
Cartesio: puoi, gentilmente, spiegarti meglio, mio giovane amico?
Studente2: voglio dire questo: abbiamo certezza solo della res cogitans, come possiamo avere certezza anche della res extensa?
Cartesio: vuoi, forse, dire come fare per garantire il passaggio dall’evidenza della prima all’evidenza della seconda?
Studente2: … errr … sì! Volevo dire proprio questo!
Studente1: povero Cartesio! Ora dovrà pur risponderci!
Cartesio: e lo farò, statene pur certi! Dunque, il problema, volendo riassumere, è il seguente: sappiamo di essere cose che pensano le quali, proprio per esistere, dovranno avere un corpo, vale a dire un’estensione spaziale, sul quale, però, non possiamo pronunciarci, almeno non in modo chiaro, evidente e privo di qualsivoglia profilo di dubbio. Allora, cosa ci garantisce nel passaggio dal cogito alle res? Cosa ci può garantire oltre il dubbio sul legame di res cogitans, della quale siamo certi, e di res extensa, della quale non siamo certi?
Studente2: proprio così! Ma immagino che tu, da buon furbacchione francese, hai pronta la risposta, vero?
Studente1: lo stesso dico io!
Cartesio: ed è così, infatti, e in effetti
Studente2: E quindi chi ci garantisce dell’evidenza e chiarezza e assenza di dubbio circa l’esistenza della res extensa?
Cartesio: semplice, Dio!
Studente1: come Dio?
Studente2: Dio? Ma cosa c’entra?
Cartesio: Dio è garante del passaggio dall’evidenza della prima res all’evidenza della seconda res!
Studente2: eh no! Troppo facile così! Devi spiegarci come mai?
Studente1: vuoi prenderti gioco di noi, forse?
Cartesio: no. .ma comprendo le vostre difficoltà da moderni. Dio. Dov’è Dio?
Studente1: già …
Studente2: chi è Dio?
Cartesio: ma come abbiamo dovuto giustificare teoricamente l’esistenza del cogito, lo stesso dovremo fare con Dio …
Studente2: tuttavia, però, non esiste un’attività divina a partire dalla quale poi si possa dire ‘divinizza, quindi è’!
Studente1: bella questa!
Cartesio: no, infatti, abbiamo bisogno di battere altri sentieri e, quindi, di giustificare l’esistenza di Dio. Ma ci arriveremo, e presto anche. Ora ditemi, quando il soggetto pensa, cosa pensa?
Studente2: immagini?
Studente1: pensieri?
Cartesio: gli oggetti del pensiero sono sicuramente idee, ovvero rappresentazioni della realtà, dico bene?
Studente2: può darsi …
Studente1: credo di sì …
Cartesio: bene, allora vi chiedo: gli oggetti di pensiero da parte del soggetto, sono tutti frutti del suo pensare?
Studente2: intendi dire che il soggetto può avere anche pensieri non suoi?
Cartesio: non suoi nel senso che non è lui ad averli prodotti, anche se possono benissimo transitare all’interno dello spazio della sua coscienza, esattamente come se fossero suoi …
Studente1: il soggetto pensa, quindi, opera su dei pensieri …
Studente2: o delle idee … e però può anche non essere autore delle stesse?
Cartesio: infatti! In base alla sorgente delle stesse, propongo di distinguere tra tre insiemi diversi di idee: innate; avventizie e fattizie …
Studente1: va bene, ma cosa c’entra tutto questo con Dio?
Cartesio: se discorriamo di Dio, stiamo pensando all’idea di Dio, no?
Studente1: sì, ma …
Studente2: quale idea?
Cartesio: e non un’idea qualsiasi, ma un’idea ben precisa, dai contorni definiti, dalla sfumatura semantica ben determinata …
Studente1: ossia?
Cartesio: l’idea di un essere cui compete ogni perfezione! Vale a dire onnipotenza, onniscienza, eternità, etc.
Studente1: e allora?
Cartesio: ditemi, noi che pensiamo abbiamo anche ogni perfezione?
Studente2: non direi …
Studente1: assolutamente, no, ma …
Cartesio: noi che siamo imperfetti abbiamo quest’idea di un essere perfettissimo. Com’è possibile? L’abbiamo prodotta da noi stessi? Ma se lo avessimo fatto, le avremmo quantomeno dato l’esatta misura della nostra perfezione, no? Eppure, nell’idea di Dio troviamo una perfezione che, invece, è del tutto assente da noi … pertanto, questa idea di Dio non è frutto dell’ingegno umano, ma deve avere un’origine a noi esterna …
Studente1: cioè, le idee dovrebbero possedere il medesimo livello di perfezione della causa che le produce?
Cartesio: sì
Studente2: e, quindi, dato che l’ente che la pensa non si rispecchia nella perfezione espressa dall’idea, allora dobbiamo ammettere che questo ente non l’abbia generata?
Cartesio: sì
Studente1: ma se non la produce l’uomo, da dove proviene?
Cartesio: da Dio!
Studente2: cioè, vuoi dire che solo un ente massimamente perfetto avrebbe potuto generare l’idea di un ente perfettissimo?
Cartesio: esattamente!
Studente1: allora, dato che l’uomo non può aver prodotto l’idea di Dio come essere perfetto, allora bisogna ammettere che esista tale essere perfetto?
Cartesio: esatto!
Studente2: ma se dobbiamo ammettere l’esistenza di Dio, allora viene meno anche l’istanza del genio malefico, no?
Cartesio: infatti! Se esiste Dio, non v’è alcun ente superiore che desidera ingannarci, e, quindi, possiamo tranquillamente passare dalla ‘cosa pensante’ alla ‘cosa estesa’! Non sono possibili errori, inganni o quant’altro!
Studente1: un attimo! Vuoi farmi credere che l’idea di Dio viene fuori dalla coscienza dell’uomo e che quindi la sua stessa esistenza è, allo stesso tempo, prova dell’esistenza di Dio e garanzia dell’esistenza di una realtà esterna al soggetto che pensa?
Cartesio: non voglio farti credere, se segui i miei passaggi teorici ti avvedrai che è così! Dio è garante di quel che c’è, e, quindi, rende possibile passare dall’evidenza di una res cogitans all’evidenza di una res extensa! In altri termini, evitiamo l’errore proprio perché esiste un Dio che non c’inganna. Quindi, come potremmo ingannarci?
Studente2: ma così non si rischia l’arbitrio del dogmatismo? Voglio dire: se la realtà riposa su(ll’idea di) Dio, non corriamo il rischio di giustificare tutto quel che accade per il semplice fatto che accade?
Cartesio: è un rischio inevitabile del razionalismo …
Studente2: e se la ragione si chiude nel vicolo cieco del giustificazionismo, non potremmo pure dire, e in maniera del tutto paradossale, che alla fine ha vinto il genio maligno?
Cartesio: che vuoi dire?
Studente2: che pure questa stessa idea potrebbe essere uno scherzo del genio maligno!
Cartesio: e perché? Per quale motivo, razionale, intendo dire, un genio maligno dovrebbe trasmetterci l’idea di un Dio perfetto? Qualora fosse così, l’unica idea che avrebbe prodotto sarebbe appunto quella di un genio maligno, e non di Dio!
Studente2: ah già, dimenticavo la clausola ‘tanta perfezione – quanta rappresentata’ … anche se non viene meno il rischio …
Cartesio: nondimeno dovremo correrlo, se desideriamo fruire di un metodo razionale che ci consenta di approdare alla verità di un mondo esterno a noi che pensiamo …
Studente1: d’altro canto, un pensiero senza soggetto che lo pensa e senza un riferimento ad una realtà esterna, sarebbe del tutto inutile o, peggio, del tutto privo d’importanza!
Cartesio: lo dico meglio: un pensiero falso, ovvero non vero nel suo riferimento alla realtà oggettiva, potrebbe essere una mera fantasticheria, e, quindi, non una conoscenza!
Studente2: oh … forse, e dico forse, solo ora ho capito qualcosa della tua teoria, Cartesio!
Studente1: il che, ovviamente, non significa pure che l’accettiamo in quanto tale, facendola nostra …
Cartesio: questa, miei cari amici, è una precisazione davvero pleonastica, ma tant’è. Più importante, invece, è che vi siano chiari i miei pensieri!
Studente2: sì, più o meno
Studente1: diciamo … ma ora che farai, caro Cartesio?
Cartesio: ho ricevuto un invito formale da parte della regina Cristina di Svezia e penso che accetterò
Studente1: ma non temi per la tua salute?
Cartesio: e perché mai?
Studente2: come perché mai? Non sia, forse, che lassù l’inverno è piuttosto rigido? Sei abituato a temperature molto basse?
Cartesio: ohibò! Un maglione in più, tanta acquavite e qualche pipa in più basteranno! Credete a me!
Studente1: contento tu, contenti tutti!
Studente2: io non mi fiderei, ma la salute è tua!