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mercoledì 29 aprile 2015

Filosofi e modernità. Antichi e nuovi sentieri

E' finalmente uscito il volume collettaneo a cura mia e di Ivan Pozzoni dal titolo Filosofi e modernità. Antichi e nuovi sentieri.






Qui il link per la descrizione del volume. Buona lettura!

lunedì 27 aprile 2015

Profili della scuola di oggi ... 6

"L’attribuzione dell’autonomia alle istituzioni scolastiche, le sollecita a cercare, individuare e perseguire il proprio senso formativo, la cosiddetta mission dell’istituto. La quale mette a fuoco gli interessi da coltivare in riferimento alle mete da raggiungere, tra finalità comuni a tutte le altre scuole e scopi educativi e formativi specifici della singola scuola"

(G. Mondelli, Dirigere la scuola al tempo della globalizzazione. L’azione del dirigente scolastico nella società della conoscenza, Anicia, Roma, 2012, p. 308)

Mission ...

Vision ...

Merito ...

Miglioramento ...

Qualità ...

Competenze ...

Organizzazione ...

Delega ...

Autonomia ...

Dirigenza ...

Funzioni strumentali ...

Organi collegiali ...

Governance ...

Leadership ...

School Manager ...

Di quanti e quali mantra si nutre il 'fare scuola' oggi? Forse troppi ...

E mai l'unico veramente efficace: investire nuove risorse nel servizio pubblico di istruzione! 

Che tristezza!

venerdì 24 aprile 2015

La filosofia antica (secondo Centrone)



Recensione brevissima a: B. Centrone, Prima lezione di filosofia antica, Laterza, Roma - Bari, 2015, pp. 204






(url immagine: http://www.laterza.it/immagini/copertine-big/9788858117262.jpg)

Centrone si propone di indicare le condizioni di «nascita della filosofia» (p. 3), vale a dire i momenti salienti di fissazione «di un lessico specializzato» (p. 4). Dunque, può dirsi come non sia suo compito fornire non una sintesi generale «di filosofia antica» (p. 4), ma al più una semplice introduzione. 


L’autore scorre avanti e indietro nel tempo la cultura greca, dai primordi omerici sino ai due autori massimi dell’antichità, vale a dire Platone ed Aristotele. Il leit – motiv è, comunque, l'individuazione della «capacità di astrazione» (p. 18) in virtù della quale consente la costruzione «del lessico fondamentale della filosofia antica» (p. 28), alla cui analisi dei termini principali si dedica appunto l’autore.


La prima questione da affrontare è il termine philosophia. Centrone ne definisce i contorni semantici attorno al significato noto di filosofare «amare la sapienza» (p. 32). La sapienza è «conoscenza e contemplazione dsinteressata della natura» (p. 37) mentre il filosofo «è colui che ama questa sapienza» (p. 37). Pertanto, la sapienza mostra il suo volto non strumentale. Allora, il lemma philosophia consente due diverse interpretazioni sulla base della sua etimologia, «desiderio di un sapere che non si possiede» (p. 46) oppure «amore disinteressato per un sapere che si può arrivare a possedere» (p. 46).

La seconda questione verte sulla controversia tra i sophistès e la correlativa condanna platonica. Se l’emergere della filosofia come nuova forma del sapere comporta «una nuova semantica del termine» (p. 48), non può certo dire che ciò sia accaduto senza contrasti. Esempio lampante ne sia la diatriba tra i sophistès e i philosophoi. Eppure, suggerisce l'autore, il problema è dato dalla etimologia di sophìzesthai, escogitare stratagemmi. Da qui è evidente pertanto «lo scivolamento al negativo» (p. 49) del termine stesso. Il sofista è colui che escogita stratagemmi, colui che adopera «argomenti capziosi» (p. 49). E da qui derivano le «sofisticherie o sofismi» (p. 49). Platone cerca di definirne meglio i contorni. Eppure, vi riesce solo in parte perché i sofisti e i filosofi condividono un patrimonio lessicale e culturale comune. Nel Sofista Platone descrive il metodo dialettico dei sofisti, ma concede pure qualcosa all’agonismo della contesa polemica così come al procedimento dell’èlenchos che «ricorda le pratiche refutatorie tipiche dei sofisti» (p. 52). E comunque Platone ne proclama la condanna definitiva, il sofista è «un produttore e un venditore di false immagini, di illusioni nei discorsi, ma soprattutto un ignorante che a dispetto della sapienza evocata dal suo nome, non ha una reale conoscenza di ciò di cui parla» (p. 54). La storia della contesa tra i sophistès e Platone è, sotto molti punti di vista, istruttiva perché mostra un processo di «trasformazione semantica» (p. 55) di termini preesistenti in nuove costruzioni e nuovi significati.

La terza questione è l’essere. La questione ontologica nasce quando «si passa a domandare in che consista per le cose il loro essere» (p. 56). Dalle riflessioni dei primi naturalisti sull’essere delle cose discende l’interrogazione sui diversi sensi in cui si dice che qualcosa “è”. La questione dell’essere, allora, consiste nell’esplorazione dei diversi «significati dell’essere» (p. 57). A dispetto delle attese, il problema ontologico è assente in Parmenide ove l’essere viene inteso nei termini di hèn e synechès, ossia «le cose che sono costituiscono un’unica totalità ininterrotta» (p. 62). Piuttosto è in Platone che la questione raggiunge una sua individuazione e precisazione, perché il filosofo introduce per primo «una definizione (hòros) dell’essere che può essere considerata una risposta […] al problema di fondo» (p. 65). E ciò viene fatto in relazione alla sistemazione linguistica del termine usìa che esprime «l’esserci delle cose» (p. 68), l’essenza di queste ultime. S0lo così si perviene alla nominalizzazione della domanda “che cos’è X? Ne deriva come il termine usìa sia tanto il predicato di una cosa quanto il soggetto di una cosa. Tale duplicità semantica regge l’ambiguità del discorrere socratico. E tuttavia lo stesso indica un superamento della filosofia aristotelica per la quale, al contrario, l’usìa «è sostrato ontologico delle proprietà e soggetto logico» (p. 76).

La quarta questione è la semantizzazione del termine alètheia, verità. Il momento iniziale è la contrapposizione tra la verità da un lato e la falsità dall’altro lato, che spinge nella ricerca di una sua compiuta definizione. Ed è «solo in Platone e Aristotele» (p. 81) che si «ha la formulazione di una teoria» (p. 81). In Platone, alètheia «non è una verità logico-proposizionale» (p. 89), una conformità del discorso alla realtà, «ma una verità ontologica» (p. 89), vale a dire che nel discorso platonico vero significa reale. E questa stessa concezione ontologica della alètheia «convive in Platone con la prima formulazione di una teoria della verità come corrispondenza» (p. 92). È, però, in Aristotele che «si compie la definitiva separazione tra verità ontologica e verità logico-proposizionale» (p. 93). Riprendendo infatti un possibile uso della lingua greca, nello stagirita l’essere significa l’essere vero, così come il non essere significa il non essere vero. Così, nella Metafisica, «vengono fornite precisazioni definitive» (p. 93), in virtù delle quali il vero e il falso «non sono nelle cose» (p. 93), «ma nel pensiero» (p. 93) e riguardano la connessione, sýntesis, e la divisione, dihàiresis. In altre parole, il vero è «l’affermazione di ciò che è congiunto e la negazione di ciò che è disgiunto» (p. 94). La possibilità contraria identifica il falso.

La quinta questione riguarda la conoscenza. I protagonisti della conoscenza sono «il soggetto e l’oggetto» (p. 98), in una polarità per noi moderni del tutto ovvia. Tuttavia, si tratta di «uno sviluppo tardivo» (p. 98). In Omero nùs sembra designare ancora «un organo fisico» (p. 101) mentre in altre fonti «ha già un significato astratto» (p. 101). In Empedocle, invece, il noèin «è sempre relativo a un oggetto di pensiero» (p. 102). Il processo di riconoscimento dell’attività noetica farà «emergere progressivamente la potenziale autonomia del nùs» (p. 102). In Aristotele si assiste ad una vera e propria stabilizzazione del «significato di osservazione o contemplazione» (p. 105). Dalla metafora visiva si giunge, pertanto, alla theorìa, categoria fondamentale per tutta la filosofia. Ma accanto alle metafore visive, giocano un certo ruolo anche le metafore tattili le quali consentono di codificare la categoria di epistème la quale «designa sia il fenomeno della conoscenza nella sua processualità, sia una disposizione dell’anima, sia una modalità stabile del sapere» (p. 107). La polisemia del termine certo rende conto della pluralità di sfumature della categoria in questione. Nel Fedone sono presenti queste caratteristiche, anche se il suo spazio semantico non comprende ancora la stabilità del sapere scientifico. Tuttavia, nell’allievo di Socrate, prevale la prospettiva in virtù della quale la riflessione sulla conoscenza si svolge in polemica con l’opinione, vale a dire con la dòxa. Con Aristotele, infine, si assiste alla definitiva sistemazione concettuale.

La sesta questione riguarda il bene. In merito, appare bene osservare come non si tratti di invenzione di termini nuovi, ma di una definizione formale delle nozioni fondamentali. Dei vari significati originari, Aristotele contribuisce, anche stavolta in maniera definitiva, «stabilendo che bello in quest’ambito è ciò che è oggetto di lode, in quanto degno di essere scelto di per sé» (p. 137). Nella cultura greca, infatti, è attivo il collegamento tra bellezza esteriore e bellezza interiore. Tuttavia, l’originalità della riflessione filosofica antica «consiste nell’aver elaborato [...] un criterio fondamentale di moralità dell’azione, quello dell’intenzionalità dell’agente» (p. 148).

La settima questione riguarda l’anima. Essa viene intesa nei termini di «sede delle facoltà razionali» (p. 150). Non a caso, l’etimologia ravvisa un collegamento tra il termine, psychè, e il verbo psýchein. Tuttavia, la sua concezione nei termini di «centro coordinatore sia delle funzioni vitali di base che della vita intellettuale ed emotiva» (p. 151) non si avrà prima di Platone. Nei poemi omerici, la morte «comporta l’abbandono del corpo da parte della psychè» (p. 153) la quale esce attraverso la bocca, ossia «la via attraverso la quale passa il respiro» (p. 153). La morte, quindi, è la cessazione del respiro. Eppure, nella cultura greca sopravvive una versione secondo la quale la psychè sopravvive alla cessazione del respiro. Tuttavia, si tratta di una sopravvivenza poco nobile perché la gloria dei defunti è di gran lunga inferiore a quella dei mortali. In altri termini, la vita post mortem «è un simulacro di vita» (p. 156). L’idea di una sopravvivenza alla morte è molto antica nella cultura greca, e possiamo senza dubbio attribuirla anche a Pitagora, sia pure nella forma della metempsicosi. Tuttavia, è solo con Eraclito che diviene «visibile una distinzione precisa tra corpo e anima» (p. 162). Platone «elabora per la prima volta una teoria in cui la psychè diviene il centro coordinatore delle varie funzioni sino ad allora separate da organi differenti» (pp. 164 – 5). Ne consegue, pertanto, che essendo la psychè «ciò che apporta la vita» (p. 165), «non potrà mai partecipare del suo contrario, la morte, e dunque sarà immortale» (p. 165). L’anima diviene progressivamente, allora, «il vero soggetto del percepire» (p. 166), «il soggetto della vita morale» (p. 167). L’evoluzione del concetto giunge così alla sua sistemazione definitiva come avente «una sua consistenza sostanziale» (p. 168), una «sua esistenza separata» (p. 168). Aristotele, invece, rovescia la riflessione secolare al riguardo, considerando la psychè «solo come attualità di un corpo» (pp. 168 – 9), negandole, dunque, l’immortalità.

L’ottava questione affrontata è quella del lògos, «il termine più variegato del lessico filosofico» (p. 170), e che indica «un modo specifico di parlare che obbedisce a certe regole» (p. 171). Per Aristotele, nei filosofi precedenti è mancata la dialettica, vale a dire la «ricerca della definizione» (p. 172). Le indagini precedenti difetterebbero della ricerca della «essenza delle cose» (p. 172). Con Platone, invece, registriamo una svolta perché viene introdotta la dottrina delle idee. Socrate andava in cerca di una definizione delle cose, ossia della loro «causa formale» (p. 174), dal momento che chiedeva ragione delle cose. Ora, dare «ragione di qualcosa (lògon didònai) […] significa fornire il discorso che esprime ciò che una cosa è, la sua usìa o essenza» (p. 175). Il lògos, pertanto, è la definizione, o «sua ragione formale» (p. 175). Nel Fedone si vene bene come il metodo d’indagine «basato sui lògoi» (p. 179) sia l’unico «che permette di indagare e definire l’essere e l’essenza delle cose» (p. 179). Dare conto del principio formale delle cose «rappresenta per Aristotele la sostanza delle cose» (p. 181).

L'opera presente di Centrone, dunque, si configura come un'utile prefazione alla storia vera e propria della filosofia antica che, però, ha l'indubbio vantaggio di storicizzare i processi di semantizzazione di molti concetti e molti termini divenuti solo in seguito patrimonio comune del discorso filosofico.

mercoledì 22 aprile 2015

Empowerment e decisori politici

"Nella prospettiva dell’empowerment, i riformatori ex lege, allora, quando presentano i cambiamenti normativi proposti come radicalmente diversi e affatto nuovi (come riforme epocali, in discontinuità rispetto al passato) fanno il gioco contrario all’empowerment perché, di fatti, chiedono agli operatori della scuola di adeguarsi al nuovo che avanza, sconfessando quella stessa professionalità docente sulla quale si è basato finora il proprio potere. Le persone che restano dentro un’organizzazione di lavoro con compiti imprecisi, impoveriti, di scarso peso e deprivati di significato sociale sono un vero e proprio boomerang per un progetto di empowerment in quel sistema organizzativo"

(I. Summa, Empowerment: una leva per l’innovazione, in G. Cerini (cur.), Il nuovo dirigente scolastico tra leadership e management, Maggioli, 2010, p. 200)

Non è forse quel che fanno i decisori politici ad ogni cambio della maggioranza relativa in Parlamento?

Potremmo anche dire che ogni legislatura ha la sua vision di scuola, il suo modello di empowerment, la sua idea di istruzione ...

Ma ogni volta si sconfessa quanto fatto sino ad allora, in tempi di tagli lineari al settore, con sempre meno risorse e in condizioni ambientali sempre più difficili, dagli operatori scolastici ...

Questa non è valorizzazione delle professioni scolastiche, ma mera dequalificazione professionale, soprattutto in seno alla costruzione sociale del loro ruolo istituzionale.

Sorge solo un dubbio; quest'ultimo effetto è colposo o doloso? Francamente, non so cosa pensare al riguardo. Nel primo caso, si configura un'ipotesi di sostanziale miopia pedagogica ed organizzativa di chi decide; nel secondo, invece, una concreta ipotesi di una progettualità politica di ampio respiro volta a distruggere, e, quindi, a indebolire, la discrezionalità operativa degli operatori scolastici. 

Allora, quale delle due?


(url immagine: http://www.lavorofisso.com/wp-content/uploads/2007/11/27122015X86-680x365_c.jpg)

lunedì 20 aprile 2015

Profili della scuola di oggi ... 5

"È la Scuola Comunità di Apprendimento l’orizzonte di riferimento pedagogico, sociale, ‘politico’ e, al tempo stesso, formativo, didattico e organizzativo per la messa in atto di simili condizioni. È ad essa che conviene guardare, o meglio, è alla sua costruzione che dovremmo/dovremo lavorare. È alla Scuola Comunità, quindi, che deve orientare la sua azione, in primo luogo, il dirigente scolastico nell’espletare le sue funzioni di impulso, coordinamento e direzione a riguardo dell’erogazione del servizio pubblico educativo e di istruzione nell’istituzione scolastica alla quale è preposto"

(G. Mondelli, Dirigere la scuola al tempo della globalizzazione. L’azione del dirigente scolastico nella società della conoscenza, Anicia, Roma, 2012, p. 356)

Questo sarebbe un bene per tutti, operatori ed utenti, il problema, però, è altrove: come si può pensare di migliorare generalmente il servizio mentre contemporaneamente si tagliano le risorse che dovrebbero finanziarlo? Da noi è un problema pluridecennale, ma sta ormai rasentando l'interruzione del servizio stesso.

D'altra parte, non è ragionevole pretendere che gli operatori lavorino (quasi) gratis e comunque con retribuzioni ben al di sotto del costo della vita ...

Delle due l'una: o al decisore politico non importa infine un fico secco del servizio pubblico di istruzione oppure scova altrove le risorse necessarie al fabbisogno dello Stato ...

Al lettore la scelta di una o dell'altra possibilità!

sabato 18 aprile 2015

giovedì 16 aprile 2015

Petizione contro DDL "La Buona Scuola"


Firma anche tu la petizione contro il DDL chiamato famigeratamente "La Buona Scuola". Salva anche tu la scuola pubblica italiana dal progetto dissennato di aumentare a dismisura i poteri dei dirigenti e di violare la libertà d'insegnamento e di mobilità dei docenti. Fai una scelta libera. Scegli la libertà della scuola da padroni autoritari e senza vincoli ...

... in 63mila l'abbiamo già fatto, dai il tuo contributo!

Qui il link, di seguito il testo della petizione.

Ill.mo Presidente della Repubblica
On. Sergio Mattarella
Palazzo del Quirinale
00187 Roma
Signor Presidente,
siamo docenti di ruolo e docenti precari della Scuola Pubblica Italiana, membri di diversi gruppi fra loro collegati (non solo in rete), che in questi giorni vivono uno stato d’animo tormentato a causa del Disegno di Legge di Riforma Scolastica che sta per essere esaminato alla Camera dei Deputati.
Ci appelliamo a Lei e al Suo ruolo di Garante della Costituzione affinché siano messi in luce gli evidenti profili di incostituzionalità di quella proposta, che andrebbero a ledere in maniera definitiva e drastica la Scuola della Repubblica.
Il nostro è un urlo accorato, “dal basso”, di professionisti e lavoratori che prefigurano uno scenario clientelare, privatizzante, aziendalistico dell’Istituzione che rappresentiamo.
Consapevoli della Sua attenzione per una materia così delicata e vitale per il nostro Paese, ci permettiamo dunque di segnalarLe alcuni dei punti più critici.
Conferire al Dirigente Scolastico il potere di scelta dei docenti, istituendo albi regionali che di fatto li precarizzano, violerebbe non solo i diritti acquisiti di quei docenti, ma anche l’art. 33 Cost., secondo il quale “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. La libertà d’insegnamento, infatti, implica un’autonomia didattica e metodologica che non potrebbe essere più garantita nel momento in cui, come pretende la Riforma, si aumentasse la discrezionalità del Dirigente Scolastico fino al punto di consentirgli la selezione della sua “squadra”, scegliendo un docente rispetto a un altro in base a criteri meramente soggettivi.
Con ciò verrebbero meno i presupposti minimi di oggettività e di merito su cui dovrebbe essere improntata l’azione del pubblico impiego, specie in un settore così delicato, come quello dell’istruzione, preposto alla formazione delle persone e dei cittadini.
Verrebbero meno, inoltre, i principi di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, come sancito dall’art. 97 Cost. Il che non significa assenza di orientamento, perché non è preclusa ai funzionari pubblici la possibilità di esprimere valutazioni discrezionali, ma ciò deve avvenire nella piena osservanza della legge e senza discriminare i soggetti coinvolti.
Il principio di imparzialità, del resto, non si applica solo all’attività della P.A. (divieto di discriminazione), ma anche alla sua organizzazione: i concorsi pubblici, infatti, servono proprio ad evitare il formarsi di una burocrazia che miri a scopi personali anziché all’interesse generale. 
Come vede, si tratta di principi essenziali, di democrazia e trasparenza, che con l’approvazione del DdL non sarebbero più garantiti.
Signor Presidente, la scuola non è un’azienda e, per la sua stessa natura di “comunità”, necessita di una gestione partecipativa e non verticistica.
Quando si parla di maggiori poteri dei Dirigenti Scolastici, ci si dimentica che costoro sono a capo di un’istituzione che eroga un servizio educativo, formativo, civico.
Nei comunicati governativi leggiamo: “I dirigenti scolastici diventano leader educativi con strumenti e personale adeguati per il miglioramento dell’offerta formativa”. Si parla di un preside-sindaco, che avrà facoltà di scegliersi lo staff, nominare i docenti mentori, presiedere il nucleo di valutazione, gestire con chiamata diretta l’organico. Ma a chi risponderanno del loro operato? Chi vigilerà sui possibili abusi? E, soprattutto, a chi gioverà una tale concentrazione di poteri?
Si ha l’impressione che tutto questo finirà per minare la collaborazione all’interno del corpo docente, tratto essenziale per la buona riuscita del rapporto apprendimento-insegnamento. E viene da chiedersi che senso ha avuto, nei mesi scorsi, espletare una consultazione con i cittadini, con i docenti e con i dirigenti, se poi di quelle risposte e di quelle proposte non è stato comunicato alcunché. E’ questo il livello di serietà e di trasparenza che ispira chi ha redatto quel Disegno di Legge?
Signor Presidente, Le chiediamo di dare voce alle nostre voci, di lasciare che i lavoratori della Scuola si esprimano.
La preghiamo pertanto di concederci un’udienza per precisare le nostre ragioni.Alleghiamo alla presente un foglio di firme puramente indicativo e incompleto. E’ circolato solo pochi giorni perché, visto l’imminente avvio dell’iter parlamentare del DdL, ci premeva informarLa tempestivamente dei gravi pericoli che Le abbiamo rappresentato.
Certi della Sua comprensione e in attesa di una Sua cortese risposta, Le auguriamo buon lavoro e Le porgiamo un distinto saluto.
‪#‎LaVeraScuola‬ gessetti rotti pagina a sostegno della vera scuola
Professioneinsegnante.it (33.000 membri)
Informascuola (30.000 membri)
Roba da insegnanti (18.000 membri)
Insegnanti (18.000 membri)
Insegnanti italiani uniti (15.000 membri)
La scuola pubblica non deve finire (13.000 membri)
Collegio docenti di facebook (9.000 membri)
Docenti immobilizzati (2470 membri) 
Docenti Uniti: non al ddl scuola (2400 membri)
MSP Movimento epr la scuola pubblica
DignitàDocenti (600 membri)

Associazione insegnanti in movimento
Associazione Nazionale Docenti

domenica 12 aprile 2015

Emancipazione docente!

Scrivono Maglioni e Biscaro che nell’insegnamento capovolto si inverte «il luogo dove si segue la lezione (a casa anziché a scuola) con quello in cui si studia e si fanno i compiti (a scuola anziché nella propria abitazione)» (p. 16).

In altri termini, la didattica capovolta, o flipped learning, libera i docenti dalla schiavitù del lavoro a domicilio, peraltro non retribuito ma obbligatorio, restituendo loro la certezza che, terminato l'orario di servizio, termina anche l'orario di lavoro, e restituendoli agli affetti a al tempo dello svago, in genere mortificato e sacrificato alla preparazione e correzione di lezioni, verifiche, verbali, e così via!

Se sperimentato davvero che i benefici sono questi, cosa aggiungere?

Viva la didattica capovolta! Viva la liberazione docente! Viva una scuola nella quale gli studenti assumono personalmente sulle proprie spalle la responsabilità del loro apprendimento!


(url immagine: http://image.slidesharecdn.com/ischia-130805010031-phpapp01/95/insegnare-in-un-mondo-digitale-17-638.jpg?cb=1375682495)


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M. Maglioni - F. Biscaro, La classe capovolta. Innovare la didattica con la flipped classroom, Erickson, Trento, 2014.

giovedì 9 aprile 2015

Auguri ministeriali

Questi gli auguri del ministero ...

Grazie, ma se bastasse solo questo per risolvere i molti problemi e le "sofferenze" del personale!




martedì 7 aprile 2015

Preview!

Di seguito l'immagine di preview di un saggio in fase di pubblicazione in un volume collettaneo.




Non appena il volume suddetto sarà stato pubblicato, ne darò pronta pubblicità.

venerdì 3 aprile 2015

Profili della scuola di oggi ... 4

"La scuola viene così vista sotto due aspetti: in primo luogo come organizzazione dello Stato, e, quindi, il capo di istituto è un funzionario dello Stato, è un terminale della gerarchia che dal centro, il Ministero, passa per gli organi periferici (regionali e provinciali) dell’amministrazione, per finire nella scuola. In secondo luogo, la scuola viene vista come formazione sociale, come comunità democratica ‘curata’ da un corpo professionale, gli insegnanti e il capo di istituto, quindi, è il primus inter pares degli educatori. È solo in seguito alla riforma dell’autonomia che il capo di istituto diviene dirigente dello Stato come gli altri dirigenti pubblici"

(R. Serpieri, Senza leadership: la costruzione del dirigente scolastico. Dirigenti e autonomia nella scuola italiana, Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 30 – 31)

L'annosa questione degli ultimi decenni: il dirigente scolastico è uno school manager, un capo ufficio, un educatore un po' più in alto di tutti gli altri o solamente un gestore delle risorse umane e materiali concessegli?

Non possiamo saperlo, ne conosciamo, ed esperiamo, sovente nostro malgrado, la discrezionalità operativa e gestionale della sua funzione, certamente di grado superiore alla nostra!



(url immagine: http://www.simulazione.net/wp-content/uploads/2011/03/dirigente_scolastico.jpg)