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venerdì 31 gennaio 2014

Fine della storia?

"Più che sulla fine della storia, dunque, dovremmo piuttosto interrogarci sulla "fine della geografia", e chiederci quale senso possa ancora avere l'antica indicazione del "finis terrae""

(S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma - Bari, 2012, p. 22)

Lungo il difficile transito della società-mondo, è terminata la storia, come incessante procedere vero il progresso, oppure è terminata la geografia, come perimetro territoriale alle esistenze dei soggetti?

E quali le conseguenze, in primo luogo, sulle persone stesse?


(immagine tratta da: http://www.mantovacontrocanto.eu/Public/image/persone_arancione_1.jpg)

giovedì 30 gennaio 2014

Auschwitz ...



"Auschwitz costituisce il più sistematico tentativo di cancellare dal mondo il popolo ebraico e la sua memoria. La Shoà è la più grande tragedia mai avvenuta nella storia del popolo ebraico. Con Auschwi­tz la storia e il nome di Israele hanno rischiato di essere annientate per sempre"



(M. Giuliani, Auschwitz nel pensiero ebraico. Frammenti dalle «teologie dell'Olocausto», Morcelliana, Brescia, 1998, p. 26)


(immagine tratta da: http://www.partecipiamo.it/giornata_della/auschwitz_birkenau__II_b_n_w_by_everona.jpg)

martedì 28 gennaio 2014

Considerate se questo è un uomo ...

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case


Voi che trovate tornando a sera


Il cibo caldo e visi amici


Considerate se questo è un uomo


Che lavora nel fango


Che non conosce pace


Che lotta per mezzo pane


Che muore per un sì o per un no


Considerate se questa è una donna


Senza capelli e senza nome


Senza più forza di ricordare


Vuoti gli occhi e freddo il grembo


Come una rana d’inverno


Meditate che questo è stato


Vi comando queste parole


Scolpitele nel vostro cuore


Stando in casa andando per via


Coricandovi alzandovi


Ripetetele ai vostri figli


O vi si sfaccia la casa


La malattia vi impedisca


I vostri nati torcano il viso da voi

(P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 2005, p. 7)



Parole e memorie da ricordare a tutti quegli stupidi ed utili idioti che sprecano risorse nel tentativo, vano, di negare quel che accadde.

lunedì 27 gennaio 2014

Oggi come ieri ...

"Nulla di tutto ciò può essere di una qualche utilità per comprendere l'evento che ha nome Auschwitz. Non vi è più posto per fedeltà o infedeltà, fede o agnosticismo, colpa e pena, o per termini come testi­monianza, prova, e speranza di salvezza, e neppure per forza e debolezza, eroismo o viltà, resistenza o rassegnazione"

(H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Il Melangolo, Genova, 200413, p. 21)

Meditazione jonasiana su luoghi jobici di "messa alla prova" e di tremendum storico.

Oggi, 27 Gennaio 2014.

Ieri, 27 Gennaio 1945.



(immagine tratta da: http://www.hajrtp.org/images/arbeit_macht_frei_1.jpg)


(per approfondire il discorso jonasiano, clicca qui)

domenica 26 gennaio 2014

Quella logica là ...




"La logica non è semplicemente un operare tecnico – simbolico, ma il luogo in cui deve radicarsi ogni sapere […] La logica, dunque, proprio in virtù della sua formalità, è il presupposto di ogni pensare, e ad essa deve conformarsi ogni procedere razionale"


(V. Costa, Husserl, Carocci, Roma, 2009, p. 67)


Husserl si è dedicato anche a ricerche logiche oppure solamente a (neokantiane) ricerche epistemologiche?


Il problema resta aperto e, temo, anche privo di futura possibile soluzione.


Meditazioni (non cartesiane) in corso di stesura e di pubblicazione ...


Frammenti di filosofia novecentesca ...


... schegge (quasi) impazzite di filosofia contemporanea ...

Per dire cosa, infine?

Semplice.

Sì, si occupò di logica, tanto per dire ...


(immagine tratta da: http://hilobrow.com/wp-content/uploads/2009/07/Husserl-1.jpg)

lunedì 20 gennaio 2014

Anteprima

(anteprima tratta da: A. Pizzo, Parva Logicalia. Volume I. Didattica, logica e filosofia, Roma, ISBN: 9788891067074, pp. 95 - 113)





Di', se riesci.
Il dilemma della “prima mossa” nell'elenchòs aristotelico

Il ruolo “positivo” della contraddizione, e del suo corrispettivo divieto, nella costruzione di una teoria filosofica è difficilmente sottostimabile, benché si registri oggi una tendenza piuttosto consolidata a rivalutarne il ruolo “negativo”. Infatti, è solo grazie al suo divieto che diventa possibile edificare un'architettonica del “vero”, del “credibile”, del “sensato”, e così via. Sostanzialmente, per ruolo “positivo” s'intende l'esclusione della con­traddizione, e, di conseguenza, anche dell'incoerenza, dalla teoria. Di con­verso, diventa così anche comprensibile cosa s'intenda con ruolo “negati­vo”, valutazione che incontra certamente i gusti, la sensibilità e i desideri di una certa tendenza in filosofia. Personalmente, però, m'interessa esclu­sivamente il ruolo “positivo” della contraddizione, e segnatamente il suo divieto, per la natura fondamentale che vi ravvedo nella costruzione di un pensieri coerente, il che equivale a dire sensato, razionale, coerente[1].

In effetti, un pensiero è coerente se funzione secondo le coordinate es­senziali definite, rispettivamente, dal principio di non contraddizione e del principio del terzo escluso. Nella presente ricognizione parleremo sol­tanto del primo. Concludendo questa riflessione inaugurale, ripetiamo con Da Costa che le formulazioni di questi due principi sono le seguenti:

  1. Principio di non contraddizione: fra due proposizioni contradditto­rie A e non A, una è falsa.
  2. Principio del terzo escluso: fra due proposizioni contraddittorie A e non A, una è vera[2]
Il principio di non contraddizione, allora, consente di distinguere tra proposizioni vere e proposizioni false, esattamente come consente di av­vertire la presenza di errori, magari non del tutto riconosciuti come tali. Ma dove viene formulato il principio di non contraddizione? Dove trova piena espressione il divieto di contraddizione, ruolo “positivo” svolto da quest'ultimo?


Il topos classico, per quanto concerne il principio di (non) contraddi­zione (PDNC) è certamente Metafisica IV ove Aristotele cerca di dimo­strare la natura fondamentale dello stesso, evitando nel contempo di cade­re in una facile petitio principii, data la sua strutturazione esigenziale.


Possiamo leggere, nella traduzione del Reale, come

Ci sono alcuni […] i quali affermano che la stessa cosa può essere e non essere, e, anche, che in questo modo si può pensare […] Noi, invece, abbiamo stabilito che è impossibile che una cosa, nello stesso tempo, sia e non sia; e, in base a questa impossibilità, abbiamo mostrato che questo è il più sicuro di tutti i princi­pi. Ora alcuni ritengono, per ignoranza, che anche questo principio debba essere dimostrato: infatti è ignoranza il non sapere di quali cose si debba ricercare una dimostrazione e di quali, invece, non si debba ricercare. Infatti, in generale, è impossibile che ci sia dimostrazione di tutto: in tal caso si procederebbe all'infi­nito, e in questo modo, per conseguenza non ci sarebbe affatto dimostrazione. Se, dunque, di alcune cose non si deve ricercare una dimostrazione, essi non po­trebbero, certo, indicare altro principio che più di questo non abbia bisogno di dimostrazione[3]

Solo chi ignora il (PDNC) potrebbe, a detta dello stagirita, desiderarne anche una dimostrazione. Questo, però, è impossibile dato che esso è il principio alla base di tutto. 


Anzi, Aristotele sembra anche dire che è pro­prio grazie all'esistenza del (PDNC) che è possibile fornire dimostrazione di altri principi. Di conseguenza, il (PDNC) regge l'intero edificio specu­lativo, assicurando sensatezza, coerenza, credibilità, verità alle proposi­zioni di quest'ultimo. La stessa metafisica, in quando scienza che mira a studiare l'essere in quanto essere, si fonda sul (PDNC), a sua volta, per­tanto, garanzia di dimostrazione. 


Pertanto, come può il (PDNC) esaudire i desideri degli ignoranti i quali, non convinti della bontà dello stesso, chie­dono una sua dimostrazione? Simpliciter, il (PDNC) non può dimostrare il (PDNC): un procedere in questo modo sarebbe vizioso, circolare. Se il (PDNC) cercasse di dimostrare sé stesso avremmo la situazione parados­sale, quanto innaturale, seguente: lo strumento della dimostrazione che desidera dimostrare sé stesso. Come può il (PDNC) dimostrare il (PDNC)? Come può lo strumento farsi a sua volta fine? E come può darsi, in ultima istanza, questo fine se si dovesse realizzare la condizione se­guente: uno strumento che si fa strumento di sé? 


Per questo motivo, solo per ignoranza, dià apaideusían, si può volere una dimostrazione del (PDNC), chiederne una prova: è solo in virtù del (PDNC) che è possibile dare dimostrazione. Come chiedere dimostrazione dell'organo di ogni di­mostrazione? Semplicemente, non è possibile, è insensato farlo.



In precedenza, sempre Aristotele aveva sottolineato la natura essenzia­le del (PDNC) per una scienza dell'essere in quanto essere, episthéme tis hé theoreî tò òn hê òn[4], e, per lo stesso motivo, i medievali hanno conia­to la famosa espressione firmissimum principium, ossia il principio più saldo (di tutti), peraltro traduzione latina dell'espressione aristotelica be­baiotáte archè, principio saldissimo[5].


(continua)

Note
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[1] Cfr. F. Berto, Teorie dell’assurdo. I rivali del Principio di Non-Contraddizione, Carocci, Roma, 2009, p. 37: «le sfide più cogenti al (PNC) nel pensiero contemporaneo vengono dai paradossi logici». In questa sede, non ci occuperemo dei paradossi ma è rilevante osservare come l'attuale messa in que­stione del principio di non contraddizione si leghi ad un discreto gusto per il paradosso, non visto più come una minaccia per la coerenza di sistemi teorici, ma come una conseguenza inevitabile della fragi­lità umana. Si tratta, invariabilmente, di un gusto consono ai molteplici e vari atteggiamenti postmoder­ni. Peraltro, comunque, il fascino stesso dei paradossi nasce dalla constatazione di trovarsi di fronte una contraddizione la quale, per svariati motivi, risulta inemendabile. Cfr. F. D’Agostini, Paradossi, Ca­rocci, Roma, 2009, p. 21: «è abbastanza intuitiva l’idea che l’aspetto interessante e caratteristico dei pa­radossi sia il fatto imbarazzante (e sorprendente) di una contraddizione che per qualche ragione risulta ineliminabile».
[2] Cfr. n. c. a. da costa, Prefazione, a: n. grana, Contraddizione e incompletezza, Liguori, Napoli, 1990, p. 9.
[3] Cfr. aristotele, Metafisica, Bompiani, Milano, 2000, p. 145 (1005b 35 – 1006a 1 – 10).
[4] Ivi, p. 131 (1003a 20).

[5] Ivi, p. 143 (1005b 15).

venerdì 17 gennaio 2014

Coming soon

(anteprima tratta da: A. Pizzo, Parva Logicalia. Volume I. Didattica, filosofia, logica, Roma, 2014, ISBN: , pp. 71 - 94)


(immagine tratta da: http://static.lafeltrinelli.it/static/images-1/l/822/5430822.jpg)



Memorie di un mentitore: cosa il cane (non) disse a Parmenide e a Nessuno!
(Divagazioni narrative a partire dalla topica italiana sul realismo, vecchio e nuovo)


Il dialogo a più voci che segue è una finzione narrativa che intende fare il verso alla polemica sorta di recente intorno al realismo, tra fautori di un non meglio preci­sato “nuovo realismo” e un'ampia consorteria di antirealisti, di vecchia e nuova ma­niera. É mia intenzione, nel canzonare e gli uni e gli altri, rendere un buon servizio alla filosofia italiana più interessata, almeno in apparenza, alla polemica che allo scambio di idee e di vedute.
Solo recuperando il garbo delle finzioni ironiche è, a mio sommesso parere, possi­bile guardare le cose con uno sguardo neutro, privo cioè di quella verve dialettica fine a sé stessa che cristalizza le idee degli uni e le idee degli altri in un'astratta quan­to autoreferenziale opposizione. Invece, gli uni e gli altri dicono cose rilevanti che andrebbero trattate con l'opportuna considerazione. Naturalmente, nascondersi die­tro la narrazione, com'è ovvio che sia, non significa affatto neutralità dell'autore ma, al contrario, indicazione sommessa di quegli spunti che l'attuale dibattito potrebbe offrire alla seria riflessione, degli uni come degli altri.
Spero che i lettori si divertano almeno tanto quanto mi son divertito a scriverlo.

[Legenda: personaggi e abbreviazioni

Eubulide: introduttore – narratore (E)
Parmenide (P)
Nessuno (N)
Isocrate (I)
Liudvig (L)
Okin (O)
Sisifo (S)
Froid (F)
Saggio1 (S1)
Saggio2 (S2)
Saggio3 (S3)
Cane (C)]

E: Io, Eubulide, nel pieno possesso delle mie facoltà e sicuro quanto basta dei miei ricordi, attesto quanto segue: cerco, sia pure malamente, di riprodurre il fruttuoso scambio di idee ed opinioni che fortunosamente noi mortali avemmo in quella ridente quanto ventosa cittadina sita all'estremi­tà occidentale dell'isola a tre punte, dialogo inverecondo circa una delle questioni capitali che più grande ed intensa mai gli umani ingegni partorirono, e con acuto dolore, e della quale verremo pure a discutere. Eravamo io, il venerando quanto terribile Parmenide[1], Ulisse, che chiameremo giocosamente “Nessuno”, Isocrate, noto storico locale, Sisifo, oscuro politico del luogo, tre anziani del posto, un cane e tre curiosi quanto strani uomini i quali hanno affermato di non appartenere alla nostra epoca. E non dubito delle loro amene parole avendo avuto il privilegio di guardare con i miei occhi il loro bislacco abbigliamento ... Francamente, la cosa mi appare in sé quantomeno dubbia, ma come posso mettere in discussione le loro amabili parole? Come posso non fidarmi di codeste inconsuete persone? Insomma, perché avrebbero dovuto mentirci? Nemmeno io mento sempre[2], quindi abbiamo preso per buone le loro parole e, in nome dell'antica usanza ellenica dell'ospitalità, li abbiamo ospitati al nostro banchetto. Forse, però, abbiamo esagerato con il vino, delizia degli dei, tanto che, in preda ai fumi della digestione, ci siamo accomodati all'ombra sulla pubblica piazza e qui qualcuno, non ricordo esattamente chi, ha tirato fuori una questione molto di moda presso i pascoli, al punto che non temo diventi argomento famoso anche presso le cornacchie sui tetti prima che la stagione cambi. Siccome, però, di quella discussione sono il solo testimone, chi legge prenda sul serio le mie parole[3] e non faccia come i poeti che, notoriamente, sono a tal punto gelosi dei loro versi da considerare gli dei invidiosi. Non sono geloso di queste mie memorie, non le considero parte di me, ma solo affabulazioni giocose di un burlone della mia risma … ma c'è forse qualcuno che può non prendermi sul serio? Che motivo potrebbero avere per temere ch'io dica cose false? Solo che provengo dalla brulla Creta? E allora? Ulisse, mio notissimo figlio della medesima terra, non andava forse in giro a spacciare menzogne? Eppure, lui gode di fama nobile, astuto e geniale, io invece per quale oscuro motivo dovrei esser considerato un bugiardo? Allora, narrerò quella giornata come s'io la vedessi ora davanti a me e mi nasconderò dietro le parole e i pensieri di chi partecipò alla conversazione in quella occasione. Tu che le leggi, accetta queste mie memorie, apocrife forse, ma veritiere. E qualora dovessero mancare di corrispondere a come andarono i fatti in tale occasione, non considerare di conseguenza come falso tutto quello che narrerò, ma come verità mancate quel che non appare del tutto vero e buone le altre cose che vi narro.

Nell'antica Lilybaeum, un gruppo di allegri personaggi siede su dei sedili nella pubblica piazza, al riparo dal sole, e, tra un sorso di vino rosso e una risata, si con­frontano su un tema difficile: la realtà.

P: eppur, per quanto la calura e questo caldo vento siriano mi offuschi­no il pensiero ed il rigore, penso che una cosa sola possa dirsi della realtà …

I: che cosa, o sommo Parmenide?

N: sì, dicci saggio vegliardo, cosa può dirsi?

P: è ovvio, però, per la barba di Eracle! Una cosa, ed una soltanto: che è[4]!

N: il lume del tuo genio immortale ancora riverbera e bagna questa lan­da aspra e brulla appena qua e là spruzzata dai toni severi degli olivi. E tale possanza sembra anche mostrare la tua dimostrazione, che agevol­mente svolgesti in altra sede[5], nondimeno dimmi, oh caro maestro, se della realtà può dirsi solo che è, cosa può dirsi, invece, del sogno?

I: inusitata silloge, questa, a parer mio, ma interessante metafora! Il so­gno non è realtà eppure, al pari delle cose che sono, esiste … come ne usciamo, sommo Parmenide?

P: non abbiam bisogno di uscirne, ritengo io, se è vero che quando Pan­dora incautamente scoperchiò il vaso, solo una virtù rimase sul suo fondo, la speranza …

O: parole arcaiche volano alte per l'aere, credo, ma sogno e realtà non sono la medesima cosa sembra …

L: e dici bene, mio caro amico ignoto, ma più che le cose che sono quel che sono, mi interessa sapere cosa succede, se succede, quando le mie pa­role incontrano le cose che sono

P: e dici il vero, mio caro amico (di bevute) …

L: d'altra parte, se è vero, come penso, che i confini del mondo sono i confini del mio linguaggio, quando quest'ultimo riesce a rappresentare le cose del mondo? E cosa accade quando ciò succede?

I: qualcosa di simile mi chiedo io quando studio il passato … abbiamo non oggetti, che pur furono un tempo, ossia cose che non sono eppure dobbiamo trattarle come se fossero

P: quel che le cose sono, è comunque ben oltre quel che possiamo sa­perne e pensarne e dirne, ma da questi sentieri perniciosi con veemenza vi invito a distogliere i passi. Certo quando dico che la realtà esiste, dal mo­mento che la realtà esiste per davvero, allora dico qualcosa di vero, altri­menti mentirei al riguardo, e sarei come i cretesi che mentono sempre, al­meno così narrano le cornacchie sui tetti, no?

L: allora, per intenderti, se non fallo, che tutte le volte in cui una mia proposizione rispecchia l'ordine delle cose che descrivo, le proposizioni sono vere? Altrimenti sono false?

I: e come potrebbe essere altrimenti, mio caro sconosciuto del tempo che ancora dev'essere?

N: temo, però, che sospinti dalle agili spinte di Eolo noi ci stiamo un po' allontanando dalla questione in discussione: che la realtà esiste mi pare una cosa banale, quasi inutile discuterne sopra, mi incuriosisce di più, al contrario, indagare la sua negazione, come il sogno, ad esempio, che non è reale eppure esiste al pari di … di me, di voi, di questa città!

P: Oh, nessuno, ardita e pericolosa è la tua lingua, scavezzacollo alfine, ma ragionevole il tuo discorso: se della realtà può dirsi che è, cosa può dirsi del sogno? Non è eppure esiste, come il sole, la terra, le donne …

I: o i fatti del passato, non sono più eppure esistono per noi storici[6] …

S: per non parlare, miei cari, dei fatti sociali, di per sé abbiamo a che fare con astute invenzioni teoriche, eppure, in qualche modo, siamo co­stretti a pensarli come esistenti, alla stessa stregua delle cose del mondo

F: ancora non potete saperlo, signori di una volta, ma molti secoli a se­guire, scoprirete l'esistenza di tante altre cose che sfuggono pure alla luce degli occhi!

L: non anticipare i tempi, oh Froid! Lascia pure che si cullino ancora, sia pure per poco, nell'innocenza che solo la mancata conoscenza assicu­ra, anche se deuprata da tutto quel che biologico e fisico v'è connesso[7]! Ma torniamo al momento in cui dire che la realtà esiste coincida con l'esi­stenza della realtà: cosa accade in questo caso? Posso dire di incontrare la verità?[8]

N: verità? Cos'è la verità? Dov'è la verità

I: esiste qualcosa come la verità? Non fatemi ridere, ve ne prego, per la feta di Minosse

O: se esiste qualcosa che noi tutti si possa chiamare univocamente veri­tà, allora dovremmo sbarazzarci di tutta quella complessità che le scienze oramai han raggiunto. Ma, semplificando alquanto le nostre parole, pos­siamo pure dire che la verità è quel luogo ove le distanze tra le proposi­zioni linguistiche e la realtà delle cose quasi si annullano, se non fosse che comunque le prime e la seconda sono comunque due cose di natura del tutto different

F: hai detto bene, mio caro Okin, nemmeno io avrei saputo dirlo me­glio, sempre che il mio fantasma non prenda il sopravvento sulla mia de­bole indole

N: non seguo bene di cosa parlino lor signori, ma insisto nella ripropo­sizione del mio problema: il linguaggio che tutti noi adoperiamo non ci consente, però, di parlare solo di quel che esiste, ma anche di quel che non esiste. Allora, chi o cosa ci garantisce nella verità? E peraltro non ha alcun senso parlare di 'verità' come di cosa che esista fuori di noi quanto, piuttosto, assume senso se, e solo se, la consideriamo una proprietà di enunciati[9]


P: simili affermazioni, però, mi fan raggelare il sangue nelle vene: qua­le uso dissennato del linguaggio può condurre a dire cose siffatte? Quale perverso gioco dell'immaginazione ti conduce lungo le sponde trace ove non v'è più civiltà né educazione? Solo là non contano più i fatti o gli og­getti o le cose, ma esclusivamente la mera violenza![10]


L: per scriteriate che siano, e lo sono, comunque le parole di Nessuno dicono una porzione di verità: qual è il fondamento che invera le nostre proposizioni? D'altra parte, sono convinto che se è contraddittorio asserire che qualcosa non esista è parimenti tautologico asserire che tutto esiste, ed intendo con 'tautologico' qualcosa privo d'interesse![11]

O: i fatti, forse?

N: ma perché esistono i fatti forse

I: il discorso si fa interessante, a parer mio, infatti quelli del passato li chiamiamo fatti, ma esistono forse

N: non sono, e allora come possiamo parlarne dal momento che solo di quel esiste dovremmo poter parlare?


L: e nella misura in cui ne diamo descrizione per mezzo del linguaggio, le nostre enunciazioni sono anche vere e false[12]

F: eppure, noi sentiamo, percepiamo, conosciamo e parliamo anche di cose che affatto sono, come le pulsioni che ci agitano e, in qualche modo, ci influenzano … e tuttavia se non sono, come possiamo parlarne?

I: penso, addirittura, se non erro, perché certo posso pure non dire cose veritiere, che in certi casi i fatti o le cose di cui siamo certi circa la loro esistenza, siamo proprio noi a costruirli, così come, almeno nel campo del sapere in cui mi muovo, la direzione che va da 'oggi' a 'ieri' non si arresta lì, ma torna poi indietro ad 'oggi' e prevedendo ancora vari viaggi avanti e indietro nel tempo[13] …

P: qual corbelleria son costretto a sentire

S1: non adirarti, caro venerabile, bisogna pur indagare la faccenda, per­lomeno per stabilire se, e in quali casi, quel che esiste, esiste davvero 

S2: Oppure, se, e in quali circostanze, qualcosa possa pure non esistere 

S3: Che, detto in altri termini, significa, né più né meno, stabilire cosa possiamo conoscere, non trovate?

P: si potrebbe anche pensarla in questi termini, sì, a patto, però, di ac­cordare la sensazione della certezza con la verità che solo la conoscenza può garantire[14]

N: ovviamente

I: certamente

O: senza dubbio

L: dissodiamo, allora, senza posa, il marmoreo linguaggio[15]

F: e disveliamo gli inganni che con cura l'inconscio deposita qua e là 

P: non so cosa sia tale inconscio, ma penso sia qualcosa di simile al so­gno, no? Allora, la realtà sicuramente esiste 

I: e chi lo dice, oh caro Parmenide?

P: come fai, mio caro amico, a mettere in dubbio proprio la base, peral­tro comune a tutti gli uomini, di ogni conoscenza?

N: ma chi dice che sia davvero la base della conoscenza? E chi ci assi­cura che sia comune a tutti gli uomini? Io posso dire che l'acqua è fredda mentre un altro che è calda … chi dice il vero? E chi il falso? E chi o cosa assicura che qualcuno dica il vero e qualcuno il falso?


P: il linguaggio, però, entro certi limiti, rispecchia la realtà, così come la verità è, entro certi limiti, uno dei fondamenti del pensiero[16]. Quindi, se uno dice che l'acqua è fredda mentre un altro dice che è calda, è la real­tà stessa a decidere della rispettiva verità o falsità

(continua) 

Note
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[1] L'immagine è quella icastica quanto storica di Platone, Parmenide, in Platone, Dialoghi, Einaudi, Torino, 2007, p. 352.
[2] Eubulide è un crestese: ergo, per la cultura ufficiale filosofica, le sue parole sono quanto meno dub­bie perché esposte alla menzogna. Essendo non affidabile, possiamo essere certi delle sue parole? Si gioca qui sul ruolo di Eubulide in quanto testimone del dialogo in questione: se mente, quel che dice è vero oppure falso? Ma se è falso, sembra allora dire il vero, il che è contraddittorio; e se è vero, allora sembra dire il falso, il che è parimenti contraddittorio. Cfr. R. G. Timossi, Imparare a ragionare. Un manuale di logica, Marietti, Genova, 2011, p. 411.
[3] Vere o false che siano, in toto o solo in parte, resta comunque il limite che sia l'unica fonte a disposi­zione. Sui limiti e le antinomie relative alle narrazioni autoreferenziali, cfr. G. Rigamonti, Corso di lo­gica, Bollati Boringhieri, Torino, 2005, p. 50.
[4] Cfr. Parmenide, Sulla natura, Milano, Bompiani, 2001, p. 45 (fr. 29). Parmenide è, a tutti gli effetti, il primo di una lunga schiera di pensatori i quali hanno sostenuto che tutto esiste. Cfr. F. Berto, L’esi­stenza non è logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili, Roma – Bari, Laterza, 2010, p. 5. Sulle mie obiezioni, cfr. A. Pizzo, Ontologia in Parmenide: come e cosa si pensa quando si dice «è», “Diale­gesthai”, anno 14 (2012) [inserito il 10 luglio 2012], ISSN 1128-5478, contenuto online: http://mondo­domani.org/dialegesthai/ap20.htm.
[5] Cfr. A. Artosi, Breve storia della ragione. Dai presocratici alle multinazionali, Liguori, Napoli, 2005, p. 49.
[6] Cfr. J. Topolski, Narrare la storia. Nuovi principi di metodologia storica, Bruno Mondadori, Mila­no, 1997, p. 42.
[7] Cfr. E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Roma – Bari, 1994, p. 3.
[8] Cfr. F. D'Agostini, Introduzione alla verità, Bollati Boringhieri, Torino, 2011, p. 35.
[9] Cfr. R. Rorty, La filosofia dopo la filosofia, Laterza, Roma – Bari, 2001, p. 10.
[10] Cfr. M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma – Bari, 20122, p. 63.
[11] Cfr. A. C. Varzi, Ontologia, Laterza, Roma – Bari, 20082, p. 3.
[12] Cfr. D. Palladino – C. Palladino, Breve dizionario di logica, Carocci, Roma, 2005, p. 31. La contraddizione, essendo un'enunciazione linguistica, sempre falsa, non consente conoscenza.
[13] Cfr. M. Cruz, I brutti scherzi del passato. Identità, responsabilità, storia, Bollati Boringhieri, Tori­no, 2010, p. 108.
[14] Cfr. M. Ferraris, op. cit., p. 105.
[15] Cfr. L. Wittgenstein, Filosofia, Donzelli, Roma, 2006, p. 77.

[16] Cfr. F. D’Agostini, Logica del nichilismo. Dialettica, differenza, ricorsività, Laterza, Roma – Bari, 2000, p. 52.

giovedì 16 gennaio 2014

Piccole cose di logica ...

Qui puoi leggere le prime diciannove pagine di anteprima alla mia ultima farneticazione editoriale ... e vorresti forse perdere l'opportunità? Che aspetti? Corri!


martedì 14 gennaio 2014

Persone


"ciò che caratterizza la personalità è la libertà, l'individualità, l'integrazione sociale e la tensione religiosa"



(R. May, L'arte del counselling, Astrolabio, Roma, 1991, p. 11)



Ora mi sia consentita la seguente semplice, eppur efficace, riflessione a gamba tesa nell'ambito dell'educazione scolastica.




Una formazione istituzionale la quale non prenda in considerazione questi assi strutturanti la personalità, a che sviluppo personale conduce? 




Questo dovremmo chiederci innanzi ai branchi belanti ma azzannanti dei nostri alunni reali quando una qualche politica governativa viene mandata ad effetto e a noi anonimi operatori scolastici impostaci "dall'alto" ...




La risposta, però, già la conosciamo: forse, a bravi mestieranti, ma di certo non a persone complete.

domenica 5 gennaio 2014

Qualcosa di determinato ...



"Il passo immediatamente seguente (21 – 31) incomincia a sua volta con un gár («infatti»), e ciò significa che tale passo indica determinatamente il fondamento dell'affermazione che il principio che è stato qualificato come il più saldo di tutti possiede il diorismós consistente nella necessità che intorno a tale principio l'uo­mo si trovi sempre nella verità, si trovi sempre all'interno di tale principio – cioè possiede il diorismós consistente nell'impossibilità che la conoscenza umana sia mai un contraddirsi"

(E. Severino, Fondamento della contraddizione, Adelphi, Milano, 2005, p. 25)

venerdì 3 gennaio 2014

Come siete parva!


Oh tu, singolo lettore, assapora la modestia dei contributi ivi raccolti!

Parva Logicalia - Alessandro Pizzo

giovedì 2 gennaio 2014