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lunedì 20 gennaio 2014

Anteprima

(anteprima tratta da: A. Pizzo, Parva Logicalia. Volume I. Didattica, logica e filosofia, Roma, ISBN: 9788891067074, pp. 95 - 113)





Di', se riesci.
Il dilemma della “prima mossa” nell'elenchòs aristotelico

Il ruolo “positivo” della contraddizione, e del suo corrispettivo divieto, nella costruzione di una teoria filosofica è difficilmente sottostimabile, benché si registri oggi una tendenza piuttosto consolidata a rivalutarne il ruolo “negativo”. Infatti, è solo grazie al suo divieto che diventa possibile edificare un'architettonica del “vero”, del “credibile”, del “sensato”, e così via. Sostanzialmente, per ruolo “positivo” s'intende l'esclusione della con­traddizione, e, di conseguenza, anche dell'incoerenza, dalla teoria. Di con­verso, diventa così anche comprensibile cosa s'intenda con ruolo “negati­vo”, valutazione che incontra certamente i gusti, la sensibilità e i desideri di una certa tendenza in filosofia. Personalmente, però, m'interessa esclu­sivamente il ruolo “positivo” della contraddizione, e segnatamente il suo divieto, per la natura fondamentale che vi ravvedo nella costruzione di un pensieri coerente, il che equivale a dire sensato, razionale, coerente[1].

In effetti, un pensiero è coerente se funzione secondo le coordinate es­senziali definite, rispettivamente, dal principio di non contraddizione e del principio del terzo escluso. Nella presente ricognizione parleremo sol­tanto del primo. Concludendo questa riflessione inaugurale, ripetiamo con Da Costa che le formulazioni di questi due principi sono le seguenti:

  1. Principio di non contraddizione: fra due proposizioni contradditto­rie A e non A, una è falsa.
  2. Principio del terzo escluso: fra due proposizioni contraddittorie A e non A, una è vera[2]
Il principio di non contraddizione, allora, consente di distinguere tra proposizioni vere e proposizioni false, esattamente come consente di av­vertire la presenza di errori, magari non del tutto riconosciuti come tali. Ma dove viene formulato il principio di non contraddizione? Dove trova piena espressione il divieto di contraddizione, ruolo “positivo” svolto da quest'ultimo?


Il topos classico, per quanto concerne il principio di (non) contraddi­zione (PDNC) è certamente Metafisica IV ove Aristotele cerca di dimo­strare la natura fondamentale dello stesso, evitando nel contempo di cade­re in una facile petitio principii, data la sua strutturazione esigenziale.


Possiamo leggere, nella traduzione del Reale, come

Ci sono alcuni […] i quali affermano che la stessa cosa può essere e non essere, e, anche, che in questo modo si può pensare […] Noi, invece, abbiamo stabilito che è impossibile che una cosa, nello stesso tempo, sia e non sia; e, in base a questa impossibilità, abbiamo mostrato che questo è il più sicuro di tutti i princi­pi. Ora alcuni ritengono, per ignoranza, che anche questo principio debba essere dimostrato: infatti è ignoranza il non sapere di quali cose si debba ricercare una dimostrazione e di quali, invece, non si debba ricercare. Infatti, in generale, è impossibile che ci sia dimostrazione di tutto: in tal caso si procederebbe all'infi­nito, e in questo modo, per conseguenza non ci sarebbe affatto dimostrazione. Se, dunque, di alcune cose non si deve ricercare una dimostrazione, essi non po­trebbero, certo, indicare altro principio che più di questo non abbia bisogno di dimostrazione[3]

Solo chi ignora il (PDNC) potrebbe, a detta dello stagirita, desiderarne anche una dimostrazione. Questo, però, è impossibile dato che esso è il principio alla base di tutto. 


Anzi, Aristotele sembra anche dire che è pro­prio grazie all'esistenza del (PDNC) che è possibile fornire dimostrazione di altri principi. Di conseguenza, il (PDNC) regge l'intero edificio specu­lativo, assicurando sensatezza, coerenza, credibilità, verità alle proposi­zioni di quest'ultimo. La stessa metafisica, in quando scienza che mira a studiare l'essere in quanto essere, si fonda sul (PDNC), a sua volta, per­tanto, garanzia di dimostrazione. 


Pertanto, come può il (PDNC) esaudire i desideri degli ignoranti i quali, non convinti della bontà dello stesso, chie­dono una sua dimostrazione? Simpliciter, il (PDNC) non può dimostrare il (PDNC): un procedere in questo modo sarebbe vizioso, circolare. Se il (PDNC) cercasse di dimostrare sé stesso avremmo la situazione parados­sale, quanto innaturale, seguente: lo strumento della dimostrazione che desidera dimostrare sé stesso. Come può il (PDNC) dimostrare il (PDNC)? Come può lo strumento farsi a sua volta fine? E come può darsi, in ultima istanza, questo fine se si dovesse realizzare la condizione se­guente: uno strumento che si fa strumento di sé? 


Per questo motivo, solo per ignoranza, dià apaideusían, si può volere una dimostrazione del (PDNC), chiederne una prova: è solo in virtù del (PDNC) che è possibile dare dimostrazione. Come chiedere dimostrazione dell'organo di ogni di­mostrazione? Semplicemente, non è possibile, è insensato farlo.



In precedenza, sempre Aristotele aveva sottolineato la natura essenzia­le del (PDNC) per una scienza dell'essere in quanto essere, episthéme tis hé theoreî tò òn hê òn[4], e, per lo stesso motivo, i medievali hanno conia­to la famosa espressione firmissimum principium, ossia il principio più saldo (di tutti), peraltro traduzione latina dell'espressione aristotelica be­baiotáte archè, principio saldissimo[5].


(continua)

Note
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[1] Cfr. F. Berto, Teorie dell’assurdo. I rivali del Principio di Non-Contraddizione, Carocci, Roma, 2009, p. 37: «le sfide più cogenti al (PNC) nel pensiero contemporaneo vengono dai paradossi logici». In questa sede, non ci occuperemo dei paradossi ma è rilevante osservare come l'attuale messa in que­stione del principio di non contraddizione si leghi ad un discreto gusto per il paradosso, non visto più come una minaccia per la coerenza di sistemi teorici, ma come una conseguenza inevitabile della fragi­lità umana. Si tratta, invariabilmente, di un gusto consono ai molteplici e vari atteggiamenti postmoder­ni. Peraltro, comunque, il fascino stesso dei paradossi nasce dalla constatazione di trovarsi di fronte una contraddizione la quale, per svariati motivi, risulta inemendabile. Cfr. F. D’Agostini, Paradossi, Ca­rocci, Roma, 2009, p. 21: «è abbastanza intuitiva l’idea che l’aspetto interessante e caratteristico dei pa­radossi sia il fatto imbarazzante (e sorprendente) di una contraddizione che per qualche ragione risulta ineliminabile».
[2] Cfr. n. c. a. da costa, Prefazione, a: n. grana, Contraddizione e incompletezza, Liguori, Napoli, 1990, p. 9.
[3] Cfr. aristotele, Metafisica, Bompiani, Milano, 2000, p. 145 (1005b 35 – 1006a 1 – 10).
[4] Ivi, p. 131 (1003a 20).

[5] Ivi, p. 143 (1005b 15).

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