Cerca nel blog

giovedì 30 marzo 2017

Conoscenza (Florenskij) #4

"Distinguere la conoscenza dalla nescienza è conoscere la conoscenza, giacché nel distinguere almeno confusamente, conosciamo ciò che ci fa distinguere la conoscenza dalla nescienza, ne conosciamo l'essenza"

(P. Florenskij, L'infinito nella conoscenza, Mimesis, Milano, 2014, p. 22)


(url: http://photos1.blogger.com/blogger/8011/2074/400/florenski1899I.jpg)

domenica 26 marzo 2017

Video lezione Locke #1

Mettiamoci in gioco!

Riprendendo, sia pure in maniera del tutto sporadica, il progetto pensato l'anno scorso, comincio da oggi una breve serie sulla dottrina gnoseologica di Locke.

La qualità non è professionale, ma, d'altro canto, non è confezionare video la mia professione! E orecchio ai contenuti!

Per il resto, e come sempre, buona visione e buono studio!


sabato 25 marzo 2017

Contrattualismo moderno #5

"Qui vediamo il vero volto dell’idea contrattualista: per quanto si possa moralizzare il punto di partenza, ci scontriamo comunque con il fatto che il motivo fondamentale per deviare dallo stato di natura è trarre benefici dalla cooperazione reciproca e i benefici sono definiti da tutti i teorici con termini economici piuttosto noti. Una tale visione della cooperazione è intimamente connessa all’idea che si debba restringere il gruppo iniziale dei contraenti a coloro che posseggono «normali» capacità produttive"

(Le nuove frontiere della giustizia, p. 138)


(url: http://images.indianexpress.com/2015/07/untitled-11.jpg?w=400)

giovedì 23 marzo 2017

Conoscenza (Florenskij) #3

"della conoscenza sappiamo che essa non è nescienza, non-conoscenza. sappiamo che la conoscenza non equivale alla nescienza [...] La conoscenza sa di se stessa, cioè sa di essere proprio conoscenza e non qualcos'altro"

(P. Florenskij, L'infinito della conoscenza, Mimesis, Milano, 2014, p. 21)


(url: http://www.laconfederazioneitaliana.it/wp-content/uploads/2016/01/flor_nab.jpg)

lunedì 20 marzo 2017

Contrattualismo moderno #4

"I principi di giustizia sono frutto di un accordo. È mio scopo presentare una concezione della giustizia che generalizza e porta a un più alto livello di astrazione la nota teoria del contratto sociale quale si trova ad esempio in Locke, Rousseau e Kant. A questo scopo, non dobbiamo pensare che il contratto originario dia luogo a una particolare società o istituisca una particolare forma di governo. L'idea guida è piuttosto quella che i principi di giustizia per la struttura fondamentale della società sono oggetto dell'accordo originario. Questi sono i principi che persone libere e razionali, preoccupate di perseguire i propri interessi, accetterebbero in una posizione iniziale di eguaglianza per definire i termini fondamentali della loro associazione. Questi principi devono regolare tutti gli accordi successivi; essi specificano i tipi di cooperazione sociale che possono essere messi in atto e le forme di governo della società che possono essere istituite. Chiamerò giustizia come equità questo modo di considerare i principi di giustizia"

(J. Rawls, Una teoria della giustizia)

(url: http://www.vitellaro.it/silvio/storia%20e%20filosofia/Appunti/Rawls%20e%20Sen%20-%20Teorie%20della%20giustizia.pdf)


(url: https://giuseppecapograssi.files.wordpress.com/2014/08/rawls.jpg)

venerdì 17 marzo 2017

Conoscenza (Florenskij) #2

"La bipolarità soggetto-oggetto dell'atto conoscitivo costituisce in sostanza il dato di partenza e l'oggetto della ricerca gnoseologica [..] E' chiaro, pertanto, che il vero intendimento della teoria della conoscenza sia sciogliere questo nodo problematico, rimuovere dalla dualità dell'atto conoscitivo l'aura di meraviglia e predisporre per il pensiero delle "balestre di sospensione" tali che esso possa procedere lungo la via della conoscenza [...] La teoria della conoscenza è e deve essere monista"

(P. Florenskij, L'infinito nella conoscenza, Mimesis, Milano, 2014, pp. 15 - 6)


(url: http://www.ilsussidiario.net/img/_THUMBWEB/Betti_florenski_439x302_ok_thumb400x275.jpg)

mercoledì 15 marzo 2017

contrattualismo moderno #3



"Ma, poiché non ci può essere né può sussistere nessuna società politica, che non abbia essa stessa il potere di conservare la proprietà e, a questo fine, di punire le offese di tutti quelli che costituiscono i membri di quella società, la società politica c'è se e soltanto se ciascuno dei suoi membri ha abbandonato questo potere naturale, lo ha rassegnato nelle mani della comunità in tutti i casi che non gli precludono di appellarsi, per ottenere protezione, alla legge stabilita dalla comunità. E cosí, essendo escluso ogni giudizio di ciascun membro particolare, la comunità diventa arbitra, in base a regole stabilite, stabili, indifferenti e uguali per tutte le parti. Per opera di uomini, che hanno autorità dalla comunità, per l'esecuzione di quelle regole, essa decide tutte le controversie che possono sorgere tra membri di quella società, riguardanti una qualsiasi materia di diritto, punisce le offese che un membro qualsiasi ha commesso contro la società, con le pene che la legge ha stabilito. [...]
E cosí la società politica ottiene il potere di stabilire quale punizione corrisponde alle diverse trasgressioni commesse dai membri della società ritenuti meritevoli di punizione; e questo è il potere di fare le leggi. Ma essa ottiene anche il potere di punire qualsiasi torto fatto a uno dei suoi membri da uno che non appartenga alla società; e questo è il potere di guerra e di pace. E tutto ciò ha come fine la preservazione della proprietà di tutti i membri di quella società, nella misura maggiore possibile. Ma, sebbene ogni uomo che è entrato a far parte della società civile, ed è diventato membro di una comunità, abbia con ciò abbandonato il potere di punire le offese contro la legge di natura, traducendo in pratica il suo giudizio privato, tuttavia, insieme con il giudizio delle offese che egli ha rassegnato nelle mani del potere legislativo in tutti i casi in cui può appellarsi al magistrato, ha dato anche il diritto alla comunità di impiegare la sua forza per l'esecuzione dei giudizi della comunità, in tutti i casi in cui egli sarà chiamato a dare il contributo della propria forza; e in realtà si tratta dei suoi propri giudizi, perché essi sono dati da lui stesso o dai suoi rappresentanti.
[...] Come è stato detto, tutti gli uomini sono per natura liberi, uguali e indipendenti, e nessuno può essere tolto da questo stato e sottomesso al potere politico di un altro senza il proprio consenso. L'unico modo in cui uno si priva della propria libertà naturale e accetta i vincoli della società civile è l'accordo con gli altri uomini di congiungersi e unirsi in una comunità per convivere gli uni con gli altri in maniera comoda, sicura e pacifica, nel godimento sicuro delle loro proprietà e con una maggiore sicurezza contro chiunque non faccia parte di quella comunità. Questo può essere fatto da un numero qualsiasi di uomini, perché non reca danno alla libertà degli altri, che sono lasciati come se fossero nello stato di libertà proprio dello stato di natura. Quando un numero qualsiasi di uomini hanno a questo modo consentito di fare una comunità o un governo, essi sono immediatamente incorporati, e costituiscono un unico corpo politico; nel quale la maggioranza ha il diritto di agire e di concludere per il resto.
Se l'uomo nello stato di natura è cosí libero, come è stato detto, se egli è l'assoluto signore della sua persona e delle sue proprietà, se è uguale al piú grande degli uomini e soggetto a nessuno, perché egli vorrà privarsi della propria libertà? Perché vorrà liberarsi di questa sovranità e assoggettarsi al dominio e al controllo di un altro potere? La risposta è ovvia: sebbene nello stato di natura abbia un diritto di questo genere, tuttavia il godimento di esso è molto incerto e costantemente esposto all'usurpazione degli altri. Infatti tutti sono re come lo è lui, tutti sono uguali a lui, e la maggior parte non osserva strettamente l'equità e la giustizia, sicché il godimento della proprietà che egli ha in questo stato è molto insicura e molto incerta. Questo fa sí che egli voglia abbandonare una condizione che, per quanto libera, è piena di paure e di continui pericoli. Perciò non senza ragione cerca e desidera di unirsi in società con altri che sono già uniti o hanno intenzione di unirsi per la mutua conservazione delle loro vite, libertà e beni, che io chiamo, con un nome generale, “proprietà”.
Perciò il fine grande e principale per cui gli uomini si riuniscono in comunità politiche e si sottopongono a un governo è la conservazione della loro proprietà. A questo fine infatti nello stato di natura mancano molte cose. In primo luogo manca una legge stabilita, fissa e conosciuta. In secondo luogo, nello stato di natura manca un giudice noto e imparziale, con l'autorità di decidere tutte le controversie in base ad una legge stabilita. In terzo luogo, nello stato di natura manca spesso un potere che sostenga e sorregga la sentenza, quando essa è giusta, e ne dia la dovuta esecuzione.
Ma, sebbene gli uomini, quando entrano a far parte della società, rinuncino all'eguaglianza, libertà e potere esecutivo che avevano nello stato di natura, per riporre queste cose nelle mani della società, affinché il potere legislativo ne disponga nella misura richiesta dal bene della società, tuttavia, poiché ciascuno fa ciò soltanto con l'intenzione di meglio conservare per se stesso la libertà e la proprietà (dal momento che non si può supporre che nessuna creatura razionale cambi la propria condizione con l'intenzione di peggiorarla), non si può mai supporre che il potere della società, ossia il potere legislativo costituito dai membri della società, si estenda al di là del bene comune; anzi esso è obbligato ad assicurare a ciascuno la sua proprietà, prendendo provvedimenti contro quei tre difetti sopra menzionati, che fanno lo stato di natura cosí insicuro e disagevole. Perciò chiunque abbia il potere legislativo, ossia il potere supremo, di una comunità politica, è tenuto a governare con leggi stabilite e fisse, promulgate e rese note al popolo, e non con decreti estemporanei; deve servirsi di giudici imparziali e giusti, che devono decidere le controversie in base a quelle leggi; deve impiegare la forza della comunità all'interno soltanto per eseguire quelle leggi, o all'esterno per prevenire o riparare torti provocati da stranieri, e assicurare la comunità da incursioni e invasioni. E tutto ciò deve essere diretto a nessun altro fine, se non alla pace, alla sicurezza e al bene pubblico del popolo"

(J. Locke, Secondo trattato sul governo, parr. 87, 88, 95, 123-126, 131)

(url: http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaL/LOCKE_%20LA%20SOCIETA%20POLITICA%20E%20IL%20.htm)


(url: http://www.homolaicus.com/teorici/locke/Jo_Locke.jpg)

sabato 11 marzo 2017

Segnalazione!

Nella mia pagina 'didattica', raggiungibile da qui, è possibile accedere ad una nuova risorsa, sviluppata tramite Thinglink, che evidenzia i tratti principali del contrattualismo moderno, nonché la celebre critica mossa da Nussbaum.



Sperando di fare cosa gradita, vi auguro, come sempre, buono studio!

venerdì 10 marzo 2017

Erinni

Le furie, le Erinni arriveranno ...

Ma non sarà la fine.

Per ultime, le pie e rugose Litai seguiranno alle cagne furiose ...

mercoledì 8 marzo 2017

Conoscenza (Florenskij) #1

"Ogni ricercatore della conoscenza [...] deve muovere indubbiamente da un punto comune a tutte le teorie della conoscenza, il quale contempli nel medesimo atto conoscitivo la compresenza di soggetto e oggetto di conoscenza"

(P. Florenskij, L'infinito nella conoscenza, Mimesis, Milano, 2014, p. 15)


(url: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/34/Pavel_Florensky.jpg/220px-Pavel_Florensky.jpg)

lunedì 6 marzo 2017

Contrattualismo moderno #2

"Suppongo che gli uomini siano arrivati a quel punto in cui gli ostacoli che si oppongono alla loro conservazione nello stato di natura prendono con la loro resistenza il sopravvento sulle forze che ogni individuo può impiegare per mantenersi in tale stato. Allora questo stato primitivo non può più sussistere e il genere umano perirebbe se non cambiasse il suo modo di essere. Ora, poiché gli uomini non possono generare nuove forze, ma solo unire e dirigere quelle esistenti, non hanno più altro mezzo per conservarsi se non quello di formare per aggregazione una somma di forze che possa vincere la resistenza, mettendole in moto mediante un solo impulso e accordandole nell’azione. Questa somma di forze può nascere solo dal concorso di parecchi uomini; ma, essendo la forza e la libertà di ciascun uomo i primi strumenti della sua conservazione, come potrà impegnarli senza nuocersi o senza trascurare le cure che deve a se stesso? Tale difficoltà, riportata al mio argomento, si può enun­ciare nei seguenti termini: «Trovare una forma di associazione che protegga e difenda con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che a se stesso e resti libero come prima». Ecco il problema fondamentale di cui il contratto sociale dà la soluzione.
Le clausole di tale contratto sono talmente determinate dalla natura dell’atto che la minima modificazione le renderebbe vane e senza effetto; dimodoché, quantunque, forse, non siano mai state enunciate formalmente, son dappertutto uguali, dappertutto taci­tamente ammesse e riconosciute; fino a che, essendo stato violato il patto sociale, ciascuno non rientra nei suoi primitivi diritti e riprende la sua libertà naturale perdendo la libertà convenzionale con cui l’aveva barattata. Queste clausole, beninteso, si riducono tutte a una sola, cioè all’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità: infatti, in primo luogo, dando ognuno tutto se stesso, la condizione è uguale per tutti, e la condizione essendo uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla gravosa per gli altri. Inoltre, la mancanza di riserve nell’alienazione conferisce all’unione la maggior perfezione possibile e nessun associato ha più nulla da reclamare. Infatti, se i privati conservassero qualche diritto, poiché non vi sarebbe un superiore comune per far da arbitro nei loro contrasti con la comunità, ciascuno, essendo su qualche punto il proprio giudice, pretenderebbe ben presto di esserlo su tutti, lo stato di natura continuerebbe a sussistere e l’associazione diventerebbe necessariamente tirannica o vana. Infine, ciascuno dandosi a tutti non si dà a nessuno, e poiché su ogni associato, nessuno escluso, si acquista lo stesso diritto che gli si cede su noi stessi, si guadagna l’equivalente di tutto ciò che si perde e un aumento di forza per conservare ciò che si ha. Se dunque si esclude dal patto sociale ciò che non rientra nella sua essenza, vedremo che si riduce ai seguenti termini: Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi, come corpo, riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto. Istantaneamente, quest’atto di associazione produce, al posto delle persone private dei singoli contraenti, un corpo morale e collettivo, composto di tanti membri quanti sono i voti dell’as­semblea, che trae dal medesimo atto la sua unità, il suo io comune, la sua vita e la sua volontà. Questa persona pubblica, così formata dall’unione di tutte le altre, prendeva un tempo il nome di città, e prende oggi quello di repubblica o di corpo politico, detto dai suoi membri Stato, quand’è passivo, Sovrano, quand’è attivo, Potenza, quando lo si considera in rapporto con altre simili unità politiche. Quanto agli associati, prendono collet­tivamente il nome di popolo, mentre, in particolare, si chiamano cittadini, in quanto partecipano dell’autorità sovrana, e sudditi, in quanto soggetti alle leggi dello stato. Ma questi termini spesso si confondono e vengono scambiati; basta saperli distinguere quan­do sono usati in tutta la loro esattezza. […] La prima e più importante conseguenza dei principi stabiliti più sopra è che solo la volontà generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine della sua istituzione, che è il bene comune; infatti, se è stato il contrasto degl’interessi privati a render necessaria l’istituzione della società, è stato l’accordo dei medesimi interessi a renderla possibile. Il legame sociale risulta da ciò che in questi interessi differenti c’è di comune, e, se non ci fosse qualche punto su cui tutti gl’interessi si accordano, la società non potrebbe esistere. Ora, la società deve essere governa­ta unicamente sulla base di questo interesse comune. […] La sovranità, per la stessa ragione per cui è inalienabile, è anche indivisibile. Infatti la volontà o è generale o non lo è; è la volontà del corpo popolare o solo di una parte. Nel primo caso questa volontà dichiarata è un atto sovrano e fa legge; nel secondo è solo una volontà particolare, o un atto di magistratura; tutt’al più un decreto. Ma i nostri politici, non potendo dividere la sovranità nel suo principio, la dividono nel suo oggetto; la dividono in forza e volontà; in potere legislativo ed esecutivo; in diritto d’imposta, di giustizia e di guerra; in amministrazione interna e in potere di trattare con lo straniero; ora confondono tutte queste parti, ora le separano; fanno del sovrano un essere fantastico costituito di pezzi giustapposti, come se componessero l’uomo di più corpi, di cui uno avesse gli occhi,· un altro le braccia, un altro ancora i piedi, e nulla più. I ciarlatani del Giappone – si dice – fanno a pezzi un bambino sotto gli occhi degli spettatori, poi, gettando in aria tutte le sue membra successivamente, fanno ricadere il bam­bino vivo e ricomposto nella sua unità. Tali sono press’a poco i giuochi di bussolotti dei nostri politici; dopo aver smembrato il corpo sociale con un giuoco di prestigio da fiera, non si sa come, ne rimettono insieme i pezzi. L’errore deriva dal fatto di non essersi formate delle esatte nozioni sull’autorità sovrana e dall’aver scambiato con parti della sua autorità quelle che erano soltanto sue emanazioni. Quindi, per esempio, si sono considerati atti di sovranità dichiarare la guerra e concludere la pace, il che non è esatto, perché ciascuno di questi atti non è una legge, ma solo un’applicazione della legge, un atto particolare che determina il caso della legge, come vedremo chiaramente quando sarà fissata l’idea connessa con la parola legge. […] Da quanto si è detto consegue che la volontà generale è sempre retta e tende sempre all’utilità pubblica; ma non che le deliberazioni del popolo rivestano sempre la medesima rettitudi­ne. Si vuole sempre il proprio bene, ma non sempre si capisce qual è; il popolo non viene mai corrotto, ma spesso viene ingannato e allora soltanto sembra volere ciò che è male. Spesso c’è una gran differenza fra la volontà di tutti e la volontà generale; questa guarda soltanto all’interesse comune, quella all’interesse privato e non è che una somma di volontà particolari; ma eliminate da queste medesime volontà il più e il meno che si elidono e come somma delle differenze resta la volontà generale. Se, quando il popolo informato a sufficienza delibera, i citta­dini non avessero alcuna comunicazione fra di loro, dal gran numero delle piccole differenze risulterebbe sempre la volontà generale e la deliberazione sarebbe sempre buona. Ma quando si formano delle consorterie, delle associazioni particolari alle spese di quella grande, la volontà di ciascuna di tali associazioni diviene generale in rapporto ai suoi membri e particolare rispetto allo Stato; si può dire allora che non ci sono più tanti votanti quanti sono gli uomini, ma solo quante sono le associazioni. Le differen­ze si fanno meno numerose e il risultato ha carattere meno generale. Infine, quando una di queste associazioni è tanto gran­de da superare tutte le altre, non avete più come risultato una somma di piccole differenze, ma una differenza unica; allora non c’è più volontà generale e il parere che prevale è solo un parere particolare. Per avere la schietta enunciazione della volontà generale è dunque importante che nello Stato non ci siano società parziali e che ogni cittadino pensi solo con la propria testa. Tale fu l’unica e sublime istituzione del grande Licurgo. Se poi vi sono società parziali bisogna moltiplicarne il numero e prevenirne la disuguaglianza, come fecero Solone, Numa e Servio. Queste sono le sole precauzioni valide perché la volontà generale sia sempre illumina­ta e perché il popolo non s’inganni"

(Rosseau, Il contratto sociale, II)
(Url: http://online.scuola.zanichelli.it/lezionidifilosofia/files/2010/01/U8-L13_zanichelli_Rousseau.pdf)


(url: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/bf/AduC_004_J.-.J._Rousseau_(1712-1778).JPG/170px-AduC_004_J.-.J._Rousseau_(1712-1778).JPG)