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venerdì 28 febbraio 2014

Nozioni modali

Ci sono testi che, pur nella loro veste manualistica, e, perciò, sintesi stringate, vanno comunque letti ed apprezzati.



Penso che sia anche il caso del recente volume di Massimo Mugnai intorno ad una topica molto fiorente, ma nel contempo problematica, della storia della filosofia occidentale, la dinamica possibile/necessario.


Un tema non solamente di interesse per i modalisti, ma che dovrebbe incontrare quello di tutti i cultori di questa materia sul viale del tramonto ...


Mi riservo di recensire il presente volume in futuro, per il momento ne segnalo la bontà e la rilevanza per tutti coloro, spero non pochi, interessati a chiarirsi le idee in merito alla riflessione sulle due nozioni relate, soprattutto con riferimento al dibattito medievale e moderno.



Cos'altro aggiungere per il momento? Nulla. Buona lettura!


Più riguardo a Possibile/necessario

giovedì 27 febbraio 2014

Caro Matteo, ti scrivo ...

(su invito dell'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri - non Premier, come erroneamente si dice da più parti, mi sono permesso di inviare stamane la seguente mail, che pubblico in questa sede per conformità ...)



Caro Matteo,

come avevi invitato a fare, ti scrivo per esporti quelle che, a mio modesto avviso, in qualità di lavoratore nel mondo della scuola, sono le “vere” emergenze da affrontare. Siccome, però, sono scettico rispetto alle tue reali intenzioni o alle tue effettive possibilità di incidere sulla materia, la presente non sarà una mera esposizione di “lamentele” o doglianze di categoria, una tra le altre cose meno ascoltata o presa sul serio in questo nostro disgraziato Paese, ma anche una serie di misure che, per quanto finanziarmente gravose – ma non sta mica a me pensare anche a dove trovare il denaro -, possono contribuire a ben indirizzare verso felice soluzione la situazione attuale, a patto però che si desideri davvero affrontare le emergenze del sistema d'istruzione.


Veniamo alle emergenze:

1) edilizia scolastica (inutile nascondercelo: le scuole pubbliche italiane sono trappole mortali sia per gli utenti che per gli operatori);
2) dequalificazione professionale (inutile tacerlo: attualmente gli operatori sono vessati da una deriva verticistica dell'organizzazione del servizio scolastico ed esposti ad una costante proletarizzazione del proprio ruolo sociale);
3) la sostanziale anomia morale degli utenti (inutile fa finta di nulla: scomparse le famiglie, i nostri alunni sono “animali” cresciuti da soli, rispetto ai quali nessuna norma di buon senso o di costumanza appare credibile).

Non vi sono altre criticità, a mio modo di vedere.
Veniamo ora alle proposte:

a) messa in sicurezza dell'intera rete scolastica (inconcepibile, ad esempio, che i comuni non bonifichino edifici costruiti in amianto …);
b) gli operatori della scuola hanno un contratto nazionale scaduto nel 2009. Siccome non è ragionevole pensare che nel frattempo l'inflazione sia rimasta ferma, che aspettiamo a recuperare il potere d'acquisto delle retribuzioni? Per inciso: devono essere ancora, come sempre, i lavoratori dipendenti della scuola a pagare manovre economiche e revisioni di spesa? Oppure, vi sono altri settori sui quali poter intervenire? Detto in breve: la nostra parte l'abbiamo fatta, ora tocca ad altri;
c) come ulteriore specificazione del punto (b): non ha senso prefigurare un'abolizione dell'attuale sistema, benché “ibernato”, di progressioni automatiche delle retribuzioni in base all'anzianità di servizio. Se si vuole premiare davvero i docenti, a detta della “gente”, meritevole, si deve pensare ad un sistema parallelo ed integrativo a quello per anzianità e che prenda in considerazione non le performances – che brutta parola! - degli alunni, peraltro v'è utenza e utenza – basta che tocchi in (mala)sorte un istituto professionale di periferia del profondo sud e addio aumenti salariali! -, ma l'effettivo numero di ore di lavoro del diretto interessato. Peraltro, noi docenti siamo i soli, credo, che terminato l'orario scolastico, continuano a lavorare a casa, a gratis s'intende, come peraltro ben saprai, caro Matteo, attraverso tua moglie, con produzione di prove, preparazione di lezioni, correzione di compiti, auto-aggiornamento, anch'esso a gratis s'intende, etc. Dateci allora un luogo idoneo, un cartellino e una tabella di emolumenti su base oraria, e possiamo farti vedere che aumento di produttività! Certo se, al contrario, tale aumento di produzione la si desidera senza ulteriori oneri per lo Stato, allora che parliamo a fare?
d) ancora due modeste proposte, come completamento dei punti (b) e (c): x) bisogna integrare gli attuali emolumenti con una indennità da rischio per tutti gli operatori che lavorino in istituti professionali e/o tecnici, esposti come sono, anche rispetto alla propria incolumità fisica, con l'utenza di più bassa qualità in assoluto!; xx) introdurre il riconoscimento di “professione usurante” per tutto il personale, penso in primo luogo ai docenti di sostegno, che lavora a diretto contatto con gli alunni disabili. In breve, prevedere una corrispondenza tra annualità lavorativa e raddoppio figurativo dell'anzianità contributiva. Per cui, ad esempio, se un docente di sostegno lavora in maniera continuativa per dieci anni sul sostegno, potrà vantare un'anzianità contributiva pari a venti anni. Insomma, se ci si usura, perché non “premiare” con un anticipo sull'età utile per il pensionamento (senza però penalizzazioni sull'assegno pensionistico)? In un Paese civile, si dovrebbe fare …
e) la scuola, e penso alle realtà più disagiate e con la peggior utenza possibile, contesti che rasentano il riformatorio o la comunità, dovrebbe ristabilire la propria funzione educativa di luogo civile. Non si può tollerare tutto, non si possono accogliere tutti … Intendo dire che un sistema sanzionatorio che unisca efficacia a tempestività, con regole certe sull'intero territorio nazionale, sarebbe utile sia a tutelare chi lavora in simili situazioni sia ad assicurare un più efficace investimento sulle risorse umane (del futuro). No? La scuola dell'accoglienza serve solo come attività meschina e pietosa di baby – sitteraggio, di surroga, peraltro inadeguata, delle mancanze familiari …. cambiamo, invece, il messaggio: non puoi fare quel che vuoi, perché ti espelliamo seduta stante dal sistema, ma se t'impegni, ti sorreggiamo per davvero lungo l'intero percorso!
f) caro Matteo, non voglio tediarti ancora, ma c'è un'ultima emergenza da affrontare: gli attuali stipendi, soprattutto di personale ATA, del personale precario e dei primi due ordini di scuola, oltre al livello iniziale di quello docente, sono troppo bassi. Una società dell'informazione dovrebbe premiare i lavoratori della conoscenza, non umiliarli in questo modo. Allora, ti suggerisco la seguente idea: raddoppiamo da subito il livello stipendiale più basso (certo non diminuendolo agli altri, s'intende! E come una bieca idea politica attuale vorrebbe invece suggerire ….). 


In conclusione, ti chiedo: vuoi davvero ascoltare chi, come me, lavora a scuola e sa di cosa parla? Oppure, vuoi solo farti bello? Le emergenze ci sono, latitano le risposte della politica …

Alessandro Pizzo
Docente


(immagine tratta da: http://notizie.tiscali.it/media_agencies/14/01/14/ba406ea9ef35747d70b5cf3a30a8663a.jpg_415368877.jpg)

mercoledì 26 febbraio 2014

Pamenide, venerando e travisato!

La celebre "interpretazione" di Severino sulla filosofia di Parmenide.




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martedì 25 febbraio 2014

Scatti sì, scatti no!


(spazio offerto da chi di scatti stipendiali per anzianità sinora non ha mai usufruito, nonostante sia nelle condizioni di avvantaggiarsene...)



La ministra di cosa parla quando sostiene che gli scatti automatici vanno abrogati e sostituiti con un non meglio precisato sistema premiale?




Questa la reazione registrata sul blog di Lerner.




E qui un articolo del Corriere ove i sindacati non la mandano a dire alla titolare dell'Istruzione.




Infine, mi chiedo: e noi dipendenti direttamente toccati cosa faremo? Resteremo inerti a subire? Oppure, e finalmente, faremo sentire davvero la nostra voce?




Il futuro, si sa, è scritto nelle acque che scorrono agili ...

lunedì 24 febbraio 2014

Cosa ti verrà chiesto?



Prima di prendere congedo dalla vita, fai un bilancio della tua esistenza e punta all'essenziale.


domenica 23 febbraio 2014

La scuola - estesa

(esempio di intenzioni della neoministra all'istruzione. Non ce ne voglia la diretta interessata, ovviamente si scherza!)


Tutti sanno che solo l'Università può comprendere, e, quindi, salvare la scuola italiana. Solo per questo, sono stata scelta io per questo ministero importante. E solo per questo meglio io, una esterna, che un operatore della scuola, un interno, troppo legato a interessi di parte e a clientele locali.



Finalmente è venuto il tempo della scuola normale!



Dopo la retorica del passato, dobbiamo davvero porre le basi per una scuola che funzioni!



Questo il mio programma per rilanciare l'istruzione, la formazione professionale e la ricerca nel nostro Paese:


1) riduzione delle indennità stipendiali al solo lordo tabellare senza altre voci; 
2) premio annuale di qualche centinaia di euro per i meritevoli (individuati sulla base delle prove INVALSI, per il tramite delle performances degli alunni); 
3) scuola - estesa: aperta la mattina dalle ore 6:00, aperta il pomeriggio dalle ore 14, aperta la sera dalle ore 19, aperta la notte dalle ore 21, senza ulteriori oneri rispetto ad ora; 
4) apertura scolastica i giorni festivi e tutta l'estate per orientamento alunni e aggiornamento, obbligatorio e gratuito, del personale scolastico; 
5) sanzioni economiche sino al 30% mensili ai docenti che osano ammalarsi; 
6) cancellazione di qualsiasi progressione automatica;
7) chiamata diretta del personale;
8) possibilità di licenziare i lavoratori improduttivi;
9) raddoppio delle indennità per i dirigenti scolastici, senza i quali il servizio non potrebbe avere luogo;
10) insegnamenti in lingua straniera per tutto il curriculo.



Ovviamente, perché tale progetto sia vincente è bene spezzare ogni resistenza, ogni ostruzionismo naturalmente posto in essere da soggetti adusi ai privilegi e all'attuale eccesso di tutele. Ma i lavoratori devono farsi da parte in nome del superiore interesse del Paese, se tutti fanno sacrifici, perché gli operatori della scuola dovrebbero esserne esclusi?




(immagine tratta da: http://www.giornalettismo.com/wp-content/uploads/2014/02/stefania-giannini-ministro-dellistruzione-5.jpg)

sabato 22 febbraio 2014

Renzie e Grillo, un confronto surreale ma normale in Italia ...



Pensatela come volete, ma, a mio avviso, tra Renzie e Grillone la figura peggiore l'ha fatta il secondo. Infatti, come si può confondere un confronto democratico con un proclama urlato stile pubblicitario? Come si fa ad equivocare tra dialogo e proclama via web? D'altra parte, era stato inviato lì mica per discutere, ma solo per urlare come piace agli umori anti - sistemici del movimento pentastellato. E penso pure che il primo fosse a conoscenza del rischio, ma cos'altro doveva o poteva fare? Ci ha provato ... tutto qua. Penso pure che dal secondo niente di più o di diverso fosse possibile attendersi: un comico mica può improvvisarsi politico, no?


ps

oh grillo, lascia perdere la coerenza! Quella è un'altra cosa ...

giovedì 20 febbraio 2014

Frontiere della giustizia sociale





Nussbaum indaga i limiti della teoria politica contrattuale occidentale e moderna, rilevando il limite principale alla costituzione di una comunità politica di liberi, eguali e indipendenti.




In fin dei conti, si chiede l'autrice, cos'hanno fatto le innumerevoli teorie della giustizia per risolvere i molti problemi inerenti al mancato riconoscimento di intere categorie (disabili, donne, popoli terzomondisti) in seno alla comunità politica (oggi sempre più globale)? 


Sostanzialmente nulla!

Da qui l'esigenza di cambiare approccio, guardando non soltanto alla disponibilità di risorse pro capite, ma alla globalità della personalità e al suo benessere.






Più riguardo a Le nuove frontiere della giustizia

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mercoledì 19 febbraio 2014

Considerazioni in merito alla disabilità

(sviluppo in fieri del lavoro su disabilità e filosofia)


"Se un bambino disabile viene immesso inaspettatamente in un gruppo di bambini, tutti lo guarderanno dapprima con curiosità o stupore o sgomento, secondo l’inesorabilità dei punti di vista. Gli unici che conserveranno un’attenzione concentrata, una partecipazione ambigua e un occhio torbido saranno quelli che cercano in lui uno specchio. Alcuni, avvinti quanto sopraffatti dalla paura di riconoscersi, reagiranno addirittura con la fuga o l’aggressività. Ma tornare è il loro destino vischioso, la loro sconfitta rassicurante"

(G. Pontiggia, Nati due volte, Mondadori, Milano, 2012, pp. 42 - 3)

Paura. Fuga. Ritorno. È attorno a questa triade che, a mio modesto avviso, si deve costruire un'etica della disabilità. Ma per far questo bisogna prima chiarire i termini generali della questione. 


Se il disabile, generalmente, trova ostacoli e notevoli difficoltà ad una vita autonoma, quale dev'essere il nostro rapporto con lui? Se fuggiamo, rinneghiamo il nostro stesso essere uomini. Se torniamo presso di lui, ma inerti come prima, manchiamo di riconoscerlo uomo, o donna, come noi. 


Dunque, se come uomini non possiamo che sentirci legati gli uni agli altri in un destino comune, l'essere parte del medesimo destino, accomunati dall'appartenenza alla stessa specie, un'etica della disabilità non potrà che essere un'etica della cura. Sì, come espressione di quella solidarietà, sentimento che esprime appieno la nostra unione come parti della stessa specie, i cosiddetti “normali” sono legati ai “disabili”, alla stessa maniera di come lo sono questi ultimi ai primi. Pertanto, bisogna prendersi cura dei disabili, ma non per soffocarne i bisogni reali in quanto persone come noi, ma per aiutarle a divenire ancor più persone. I disabili esprimono un bisogno di aiuto e spingono tutti noi a divenire, a nostra volta, ancora più persone, interessandoci di loro ed aiutandoli concretamente. Pertanto, la loro stessa esistenza, la loro presenza, il loro sguardo interpellano direttamente la nostra libertà, chiedendoci, e con imperio, di farne buon uso, mettendo in pratica iniziative volte a sollevarli di alcuni pesi. La presa in cura, infatti, non significa solamente prestare loro delle cure frettolose, come farebbe un'infermiera ospedaliera, ma addossare sulle nostre spalle un po' del peso che loro quotidianamente vivono. 


Non intendo dire che dovremmo esperire saltuariamente o sporadicamente cosa significhi la condizione disabile, ma soltanto, e non è certo poco, a dire il vero, essere pronti ad agire conseguentemente al riconoscimento della loro umanità, all'aver scorto in loro la presenza della medesima fiammella che palpita dentro di noi. È per rispetto a quest'ultima, è per sollecitudine nei confronti della comune umanità che dobbiamo andare incontro ai disabili e averne cura, come, penso, avremmo normalmente cura, e responsabilità, nei confronti di chiunque sia fragile, debole, non autonomo. Non ne abbiamo, forse, nei confronti dei neonati? O nei confronti dei bambini ammalati? O degli anziani che lentamente si spengono? 


Penso sia corretta l'impostazione del discorso sulla disabilità ad opera dell'OMS secondo il quale, infatti, la disabilità non coincide con la menomazione, temporanea o definitiva, ma consiste nell'oggettivazione della menomazione. Di conseguenza, tale nozione riflette bene le ripercussioni o gli effetti della menomazione sulle persone divenute così incapaci di compiere una determinata azione nel modo o nell'ampiezza considerati normali per un essere umano.



Così, dovremmo averne nei confronti dei disabili, valorizzando il significato proprio della nostra umanità e facendo, nel contempo, un buon uso della nostra libertà.

(prosegue)


(immagine tratta da: http://static.leonardo.it/wp-content/uploads/sites/4/2012/10/Un-bimbo-diversamente-abile-da-sostenere-non-da-emarginare.jpg)

martedì 18 febbraio 2014

Colloquio con il capo ...



Stamane mi sono recato a colloquio con il mio Dirigente per inoltrare una richiesta di utilizzo di ore per il diritto allo studio.



Al di là dei modi spicci e "dirigenziali" adoperati, ivi inclusa la riserva di concedermi o meno le suddette ore, estrapolo alcune proposizioni che, a mio modesto avviso, sono molto indicative della direzione lungo la quale corre, o scivola, a seconda dei punti di vista, la scuola pubblica italiana.


La prima: "compatibilmente con le esigenze di ufficio" ... vorrei vedere in caso contrario.



La seconda: "lei sa che le è stato affidato un alunno, che necessita di cure, se invece lei va in diritto allo studio ..." ... normale che sia così, ma l'alunno non è affidato a me soltanto, mio caro dirigente, e calo un velo, davvero pietoso, sulla prassi di ledere ai diritti di suddetto alunno adoperandomi come "tappabuchi" o jolly per coprire classi scoperte, facendo, con ogni evenienza, risparmiare codesta istituzione scolastica (io sono già pagato e se la supplenza non si fa fare ad altri ...)



La terza: "ma lei tutte deve prendersele?" ... risposta mia: "Lei che pensa?".



La quarta: "e tutte le 150 ore vorrebbe prendere?" ... risposta mia: "Sono 52 per lo studio individuale ..."



La quinta: "Vero che i diritti sono diritti, ma continuando così domani non potremo lamentarci di non averne più" ... forse che i diritti si consumano se goduti? Mah!




La sesta: "Se ce ne freghiamo della scuola, poi abbiamo insegnanti frustrati ..." ... orpo! Non pensavo di godere di una considerazione tanto bassa! Ma evidentemente, dal momento che occupo la penultima posizione nella gerarchia verticale del lavoro scolastico dipendente (l'ultima, ahinoi, è occupata da valentissimi colleghi precari), questa è la considerazione che merito. Certo, se ci raddoppiassero lo stipendio attuale e ci evitassero colloqui così frustranti, modalità tanto verticistiche, toni così autoritari quanto dirigenziali ... magari ...



La settima: "Lei cosa mi dice?" ... uno sfrontato tono di sfida che non raccolgo ... risposta mia: "Non dico nulla, signor preside" e lui, di rimando, ma un po' turbato: "Ecco, non aggiunga nulla" ... ma tu guarda!



L'ottava: "Vedrò la richiesta e valuterò" ... forse c'è un equivoco di fondo che mi permetto di dirimere, nel mio piccolo: non è che il D.S. concede tale diritto, solamente assicura le procedure burocratiche di sostituzione del sottoscritto, peraltro già autorizzato a fruire di suddette ore da parte dell'Ambito Territoriale di competenza .... a meno che il summenzionato dirigente non vorrà farmi mica credere che quando manca un insegnante di sostegno viene adeguatamente sostituito ...


Come concludere questa ridda di proposizioni altamente significative sulla concreta prassi scolastica?


Come "Via col vento": francamente, me ne infischio!


(immagine tratta da: http://www.veja.it/wp-content/uploads/2010/03/dirigente_scolastico1.jpg)



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domenica 16 febbraio 2014

L'originale domanda fondamentale secondo Leibniz



"Perchè esiste qualcosa piuttosto che nulla?"

(G. W. Leibniz, I principi razionali della Natura e della Grazia, in G. W. Leibniz, Monadologia, Bompiani, Milano, 20083, p. 47)




Ecco il verbum leibniziano prima delle sovrainterpretazioni heideggeriane ...



Come mai v'è qualcosa e non nulla?



Questo il problema.

Questa la questione.

Questa la domanda.




Ma quale la soluzione?




Quale la risposta?





(immagine tratta da: http://www.mathematik.ch/mathematiker/Leibniz.jpg)




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venerdì 14 febbraio 2014

La domanda fondamentale della filosofia

"Perchè vi è, in generale, l'essente e non il nulla?"

(M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano, 1990, p. 13)

Questa la domanda fondamentale, che rende tale qualsiasi interrogazione filosofica, per il peggior allievo di Husserl che ripete, malamente, la medesima domanda essenziale posta nel XVIII secolo da Leibniz, uno dei filosofi più fraintesi nell'intera storia della filosofia occidentale.

E noi che risposta diamo a questa domanda?

Come mai v'è qualcosa anziché esservi un niente?


(immagine tratta da: http://people.bu.edu/wwildman/WeirdWildWeb/media/galleries/philosophy/modern_late/heidegger5.jpg)



giovedì 13 febbraio 2014

Interpretazione di cosa?



"L’interpretazione, si dice, non è interpretazione di qualcosa: non esistono cose o fatti o verità da interpretare, ma solo interpretazioni e interpretazioni di interpretazioni. Penso che ciò non sia conforme al concetto di interpretazione, la quale o è interpretazione di qualcosa o non lo è: l’interpretazione che dissolve in sé stessa ciò ch’essa ha da interpretare, e che quindi vi si sostituisce, cessa con ciò stesso d’essere interpretazione"


(L. Pareyson, Pensiero ermeneutico e pensiero tragico, in J. Jacobelli (a cura di), Dove va la filosofia italiana?, Laterza, Roma – Bari, 1986, pp. 136 – 137)



Buon vecchio Pareyson: chi ci libererà dal collasso su sé stesso del pensiero occidentale?



Di quella, per dirla altrimenti, particolare turba che viene chiamato anche postpensiero?



Sarebbe bello saperlo, per intanto, cerchiamo di interpretare quel che altri ci offrono all'interpretazione.




(immagine tratta da: http://www.pareyson.unito.it/par800.jpg)

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martedì 11 febbraio 2014

Filosofia o favola?



"Tutti i «pensieri» sono «deboli», sì; ma, poi, ce n’è sempre uno meno «debole» o più «forte» degli altri. Ed uno di questi «pensieri», si può ritenere, è proprio quello attraverso il quale, anche contraddittoriamente, si assicura, per dir così, l’insicurezza di ogni affermazione, di ogni azione; e, soprattutto, l’instabilità o, addirittura, la nullità di ogni cosa […] È chiaro, poi, che, in questa «sicurezza», o in questa «forza», tutto sommato dogmatica del «pensiero debole», è possibile leggere […] una precisa opzione ideologica"



(A. Negri, Una filosofia farsa, in J. Jacobelli (a cura di), Dove va la filosofia italiana?, Laterza, Roma – Bari, 1986, p.131)




Debole sì, debole no ...




Insomma: il pensiero è pensiero o favola?




Questo, in soldoni, in estrema sintesi, la natura della questione, e della diatriba, tra pro e contra il pensiero cd. "debole".







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domenica 9 febbraio 2014

Filosofia e disabilità

(cooming soon: lavoro su filosofia e disabilità)

    Premessa

Nel corso del presente contributo, mi prefiggo di attenzionare un tema scarsamente filosofico come la “disabilità”, cercando di mettere in mostra, al contrario, come sia teoricamente rilevante e come abbia ricadute non ininfluenti sull'intera categoria umana. Infatti, la disabilità mostra in maniera radicale la strutturazione materiale, e, quindi, transitoria e caduca, della condizione umana. Nelle persone disabili, allora, possiamo scorgere la medesima trama dei nostri percorsi esistenziali, la cifra dell'umanità, sia in positivo sia in negativo. Fare questo, a mio modesto avviso, consiste nell'avvicinare al tema presente la considerazione filosofica generale, più attenta, in genere, alla nozione rarefatta e disincarnata di ragione che alle maniere concrete di attualizzazione e di declinazione materiale di quest'ultima. Una volta che la ragione si fonde con la materia bruta, comincia la disabilità, vale a dire la condizione umana che tutti noi siamo: potenzialità e limitazione; frammento d'infinito e scheggia nelle carni; aspirazione all'immortalità ed inevitabile caducità; gratuità di senso e oblio della ricordanza.
Ma per fare questo, lungo appare il cammino del discorso filosofico, esito rispetto al quale mi propongo, in questa sede, solamente di sondare il terreno, di gettare le basi per un discorso più articolato, di giustificare teoricamente un discorso sulla disabilità, uno rispetto ai tanti che pure sarebbe possibile mandare ad effetto, abbozzare una singola possibilità di discorso filosofico sulla disabilità che attraversi gli infidi stagni della metafisica (rispondere alla domanda: chi è il disabile?), dell'etica (rispondere alla domanda: quale etica per le persone disabili?) e, infine, del riconoscimento politico (rispondere alla domanda: quale il posto delle persone disabili nella società politica?). Come si vede, certo, compiti non da poco, ma che, con impegno e rigore cerco di affrontare.

1.Disabile, chi?

C'è un bellissimo passo di un giornalista francese che ha dedicato un libro alla memoria dei due figli disabili che recita così:

Caro Mathieu,
Caro Thomas,

Quando eravate piccoli, qualche volta a Natale ho avuto la tentazione di regalarvi un libro, un TinTin per esempio. Dopo, avremmo potuto parlarne insieme. Conosco bene TinTin, ho letto tutti gli episodi diverse volte. Alla fine, però,m non l'ho mai fatto, non era il caso, voi non sapevate leggere. Né avreste mai imparato. Fino alla fine, i vostri regali di Natale saranno costruzioni e macchinine … Adesso che Mathieu è andato a cercare la sua palla in un posto in cui non potremo aiutarlo a riprenderla, adesso che Thomas è ancora su questa Terra ma con la testa sempre più tra le nuvole, ho deciso di regalarvi comunque un libro. Il libro che ho scritto per voi. Perché non veniate dimenticati, perché siate qualcosa di più di una foto su un certificato d'invalidità. Per dirvi cose che non ho mai detto. Rimorsi, forse. Non sono stato un buon padre. Spesso non riuscivo a sopportarvi, non era facile amarvi. Con voi ci voleva la pazienza di un santo, e io non sono un santo. Per dirvi che mi dispiace che non abbiamo potuto essere felici insieme, e forse, anche, per chiedervi scusa di non avervi fatto come si deve. Non abbiamo avuto troppo fortuna, voi e io. Dal cielo ci è piovuta la proverbiale tegola in testa. Ma ora la smetto di lamentarmi. Quando si parla di bambini handicappati, si assume sempre un'aria di circostanza, come quando si parla di una catastrofe. Per una volta, vorrei provare a parlare di voi con il sorriso sulle labbra. Mi avete fatto ridere, e non sempre involontariamente. Grazie a voi, ho avuto dei vantaggi che i genitori dei bambini normali non hanno, nessun ansia per i vostri studi né per il vostro futuro professionale. Non ci siamo arrovellati per decidere tra liceo classico e liceo scientifico. Né ci siamo dovuti preoccupare di quello che aveste fatto da grandi, è stato chiaro quasi subito: niente. E soprattutto, per molti anni, ho beneficiato del bollo di circolazione gratuito. Grazie a voi, mi sono potuto permettere splendide macchine americane[1]

Non è facile parlare di disabilità perché è, in genere, pietra di scandalo per l'umanità, perché mette in mostra, talvolta in maniera davvero oscena, tutti i limiti dell'umano, l'estrema imperfezione e fragilità della nostra condizione umana. Con molte movenze, molte anche davvero inconsce, cerchiamo di esorcizzarla, di dislocarla in ambiti circoscritti e separati da noi, di allontanarla dai nostri destini, di separarla dalla nostra quotidianità. Ma quando facciamo così, oltre ad essere profondamente sciocchi, immancabilmente falliamo perché la disabilità non è mai la sfortunata condizione di altri o un problema di terzi o singole eccezioni umane, ma riguarda direttamente ciascuno di noi, interpella senza mediazioni il nostro essere, connota e delimita il nostro essere umani, volenti o nolenti, consci o inconsci.
Ecco, vorrei dedicare un saggio filosofico al tema in questione, per rivalutare, filosoficamente palando, la disabilità. É difficile, infatti, trovare autori che vi si siano dedicati, e, ugualmente, è davvero difficile anche trovare esempi nei fiumi d'inchiostro dei filosofi. Molto più semplicemente, come scandalo per la razionalità ideale, i disabili sembra che non esistano punto per i filosofi, sembra quasi che la disabilità non sia concreta, reale, al massimo un difetto minimo e limitato degli armonici sistemi filosofici, dei nei sostanzialmente da ignorare. Non la penso così. La disabilità, al contrario, non è la sfortuna che Madre Natura, nel ruolo di madre arcigna ed ingrata, per oscure ragioni, dispensa a singoli, la disabilità non è una combinazione eccezionale e circoscritta, ma la cifra esatta della nostra condizione umana. Per dirla altrimenti, la disabilità abita da sempre l'esistenza umana, la determina, la perimetra, la funzionalizza, le conferisce un senso di limitazione, di fragilità, di aderenza al pianeta che calpestiamo che rende tutti noi davvero umani. Se i filosofi preferiscono chiudersi in un loro splendido isolamento, nelle loro torri d'avorio, beandosi di una razionalità rarefatta senza collegamento con la carne, meditando su una personalità disincarnata o su uno spirito che fluttua libero dalle catene della nostra condizione materiale, alla fin fine cercano anch'essi di esorcizzare l'oscuro nemico della disabilità.

(omissis)


Note
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[1] Cfr. J. L. Fournier, Dove andiamo, papà? Vivere, piangere, ridere con due figli diversi dagli altri, Rizzoli, Milano, 2009, pp. 7 – 8.



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sabato 8 febbraio 2014

Bisogni educativi speciali ...

"Faccio un sogno. Non un sogno d'infanzia, un sogno di oggi, mentre scrivo questo libro. Subito dopo il capitolo precedente, per essere precisi. Sono seduto, in pigiama, sul bordo del letto. Grossi numeri di plastica, come quelli con cui giocano i bambini sono sparpagliati sul tappeto, davanti a me. Devo “mettere in ordine i numeri”. È questa la consegna. L'operazione mi sembra facile, sono contento. Mi chino e tendo le braccia verso i numeri. E mi accorgo che le mie mani sono sparite. Non ci sono più mani in fondo al mio pigiama. Le maniche sono vuote. A gettarmi nel panico non è la scomparsa delle mani, è il fatto di non potere raggiungere quei numeri per metterli in ordine. Cosa che sarei stato in grado di fare"

(D. Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, Milano, 20085, p. 24)


(immagine tratta da: http://www.fashionlife.it/wp-content/uploads/2010/07/pennac.jpg)

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giovedì 6 febbraio 2014

Internet ci rende stupidi?

"La disabilità è la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale"

(da: http://it.wikipedia.org/wiki/Disabilit%C3%A0)


Non amo wikipedia, per ragioni attinenti in misura maggiore allo stile prescelto e alla maniera di esporre i contenuti.

Amo wikipedia, per ragioni attinenti in misura maggiore alle possibilità insight di farsi un'idea di massima dei temi, un'infarinatura approssimativa e da approfondire altrove.

Siccome sto sviluppando un certo discorso filosofico sull'handicap, ho deciso di consultare la posizione di wikipedia sull'argomento.

Voce sicuramente dettagliata, ma riduttiva, come molte cose su internet, anche per limiti propri al mezzo.

Ora, la disabilità è certamente questo, ma certo non solo.

Ed una volta che ci siamo fatti un'idea di massima, è il caso di approfondire su altre fonti, e su altri media, l'argomento stesso.

Come spesso accade, internet ci dà solo l'illusione della conoscenza, per non dire della cultura, ma non ci dà nemmeno un congruo numero di informazioni sufficienti a conoscere in maniera adeguata un argomento.

Internet ci illude, non dandoci proprio nulla in termini di acquisto conoscitivo.

Per questo motivo, ma certo non solo, dovrò documentarmi altrove sulla disabilità.

Non ci rende stupidi, ma sicuramente molto più pigri e non riflessivi.