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domenica 9 febbraio 2014

Filosofia e disabilità

(cooming soon: lavoro su filosofia e disabilità)

    Premessa

Nel corso del presente contributo, mi prefiggo di attenzionare un tema scarsamente filosofico come la “disabilità”, cercando di mettere in mostra, al contrario, come sia teoricamente rilevante e come abbia ricadute non ininfluenti sull'intera categoria umana. Infatti, la disabilità mostra in maniera radicale la strutturazione materiale, e, quindi, transitoria e caduca, della condizione umana. Nelle persone disabili, allora, possiamo scorgere la medesima trama dei nostri percorsi esistenziali, la cifra dell'umanità, sia in positivo sia in negativo. Fare questo, a mio modesto avviso, consiste nell'avvicinare al tema presente la considerazione filosofica generale, più attenta, in genere, alla nozione rarefatta e disincarnata di ragione che alle maniere concrete di attualizzazione e di declinazione materiale di quest'ultima. Una volta che la ragione si fonde con la materia bruta, comincia la disabilità, vale a dire la condizione umana che tutti noi siamo: potenzialità e limitazione; frammento d'infinito e scheggia nelle carni; aspirazione all'immortalità ed inevitabile caducità; gratuità di senso e oblio della ricordanza.
Ma per fare questo, lungo appare il cammino del discorso filosofico, esito rispetto al quale mi propongo, in questa sede, solamente di sondare il terreno, di gettare le basi per un discorso più articolato, di giustificare teoricamente un discorso sulla disabilità, uno rispetto ai tanti che pure sarebbe possibile mandare ad effetto, abbozzare una singola possibilità di discorso filosofico sulla disabilità che attraversi gli infidi stagni della metafisica (rispondere alla domanda: chi è il disabile?), dell'etica (rispondere alla domanda: quale etica per le persone disabili?) e, infine, del riconoscimento politico (rispondere alla domanda: quale il posto delle persone disabili nella società politica?). Come si vede, certo, compiti non da poco, ma che, con impegno e rigore cerco di affrontare.

1.Disabile, chi?

C'è un bellissimo passo di un giornalista francese che ha dedicato un libro alla memoria dei due figli disabili che recita così:

Caro Mathieu,
Caro Thomas,

Quando eravate piccoli, qualche volta a Natale ho avuto la tentazione di regalarvi un libro, un TinTin per esempio. Dopo, avremmo potuto parlarne insieme. Conosco bene TinTin, ho letto tutti gli episodi diverse volte. Alla fine, però,m non l'ho mai fatto, non era il caso, voi non sapevate leggere. Né avreste mai imparato. Fino alla fine, i vostri regali di Natale saranno costruzioni e macchinine … Adesso che Mathieu è andato a cercare la sua palla in un posto in cui non potremo aiutarlo a riprenderla, adesso che Thomas è ancora su questa Terra ma con la testa sempre più tra le nuvole, ho deciso di regalarvi comunque un libro. Il libro che ho scritto per voi. Perché non veniate dimenticati, perché siate qualcosa di più di una foto su un certificato d'invalidità. Per dirvi cose che non ho mai detto. Rimorsi, forse. Non sono stato un buon padre. Spesso non riuscivo a sopportarvi, non era facile amarvi. Con voi ci voleva la pazienza di un santo, e io non sono un santo. Per dirvi che mi dispiace che non abbiamo potuto essere felici insieme, e forse, anche, per chiedervi scusa di non avervi fatto come si deve. Non abbiamo avuto troppo fortuna, voi e io. Dal cielo ci è piovuta la proverbiale tegola in testa. Ma ora la smetto di lamentarmi. Quando si parla di bambini handicappati, si assume sempre un'aria di circostanza, come quando si parla di una catastrofe. Per una volta, vorrei provare a parlare di voi con il sorriso sulle labbra. Mi avete fatto ridere, e non sempre involontariamente. Grazie a voi, ho avuto dei vantaggi che i genitori dei bambini normali non hanno, nessun ansia per i vostri studi né per il vostro futuro professionale. Non ci siamo arrovellati per decidere tra liceo classico e liceo scientifico. Né ci siamo dovuti preoccupare di quello che aveste fatto da grandi, è stato chiaro quasi subito: niente. E soprattutto, per molti anni, ho beneficiato del bollo di circolazione gratuito. Grazie a voi, mi sono potuto permettere splendide macchine americane[1]

Non è facile parlare di disabilità perché è, in genere, pietra di scandalo per l'umanità, perché mette in mostra, talvolta in maniera davvero oscena, tutti i limiti dell'umano, l'estrema imperfezione e fragilità della nostra condizione umana. Con molte movenze, molte anche davvero inconsce, cerchiamo di esorcizzarla, di dislocarla in ambiti circoscritti e separati da noi, di allontanarla dai nostri destini, di separarla dalla nostra quotidianità. Ma quando facciamo così, oltre ad essere profondamente sciocchi, immancabilmente falliamo perché la disabilità non è mai la sfortunata condizione di altri o un problema di terzi o singole eccezioni umane, ma riguarda direttamente ciascuno di noi, interpella senza mediazioni il nostro essere, connota e delimita il nostro essere umani, volenti o nolenti, consci o inconsci.
Ecco, vorrei dedicare un saggio filosofico al tema in questione, per rivalutare, filosoficamente palando, la disabilità. É difficile, infatti, trovare autori che vi si siano dedicati, e, ugualmente, è davvero difficile anche trovare esempi nei fiumi d'inchiostro dei filosofi. Molto più semplicemente, come scandalo per la razionalità ideale, i disabili sembra che non esistano punto per i filosofi, sembra quasi che la disabilità non sia concreta, reale, al massimo un difetto minimo e limitato degli armonici sistemi filosofici, dei nei sostanzialmente da ignorare. Non la penso così. La disabilità, al contrario, non è la sfortuna che Madre Natura, nel ruolo di madre arcigna ed ingrata, per oscure ragioni, dispensa a singoli, la disabilità non è una combinazione eccezionale e circoscritta, ma la cifra esatta della nostra condizione umana. Per dirla altrimenti, la disabilità abita da sempre l'esistenza umana, la determina, la perimetra, la funzionalizza, le conferisce un senso di limitazione, di fragilità, di aderenza al pianeta che calpestiamo che rende tutti noi davvero umani. Se i filosofi preferiscono chiudersi in un loro splendido isolamento, nelle loro torri d'avorio, beandosi di una razionalità rarefatta senza collegamento con la carne, meditando su una personalità disincarnata o su uno spirito che fluttua libero dalle catene della nostra condizione materiale, alla fin fine cercano anch'essi di esorcizzare l'oscuro nemico della disabilità.

(omissis)


Note
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[1] Cfr. J. L. Fournier, Dove andiamo, papà? Vivere, piangere, ridere con due figli diversi dagli altri, Rizzoli, Milano, 2009, pp. 7 – 8.



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