Cerca nel blog

domenica 29 marzo 2015

Preview!


Di seguito la schermata di preview di un futuro saggio, attualmente in stampa in un volume collettaneo.


Non appena il suddetto volume sarà stampato, ne darò pronta notizia.


venerdì 27 marzo 2015

Logica deontica, again!




(url immagine: http://www.helsinki.fi/alumniyhdistys/images/ajankohtaista/Georg%20Henrik%20von%20Wright.jpg)


A mio modo di vedere, due sono i momenti distinti, ma non anche irrelati, della ricerca von wrighitana intorno alla sensatezza delle proposizioni pratiche: 

1) un primo momento, coincidente con i decenni ’50 – ’60 del secolo scorso; e, 
2) un secondo momento, coincidente in linea di massima con i decenni seguenti. 


Mentre il primo momento configura la ricerca di von Wright come espressamente logica, il secondo momento invece qualifica l’itinerario speculativo dello stesso in chiave marcatamente analitica.

Per dirla in altro modo, nel primo momento, von Wright cerca di venire a capo dell’enigmaticità della razionalità del discorso pratico tramite una cassetta degli attrezzi di tipo formale, mentre nel secondo tramite una cassetta degli attrezzi di tipo analitico. Non si tratta puntualmente di due  momenti slegati, ma di due tappe di un unico progetto originario: render conto della razionalità del discorso pratico

Tra i suoi molteplici interessi, quello inerente alla razionalità del discorso pratico ha segnato l’intera speculazione del compianto filosofo finlandese, un itinerario teoretico preciso e sorretto da un profondo ottimismo nei confronti del futuro dell’umanità, specie dopo la catastrofe del secondo conflitto mondiale. Questo atteggiamento di fondo si riverbera nella maniera con cui attende a render conto logicamente della razionalità del discorso pratico. Infatti, appare convinto della chiave di volta logica, e che, dunque, in qualche modo fosse pure possibile indicare riflesso nel rigore del linguaggio formale la nitidezza della razionalità del discorso pratico. Era, cioè, convinto del fatto che la perfetta geometria della logica formale potesse riflettere la razionalità delle enunciazioni pratiche. 


Negli anni ’50 venne a contatto con la logica modale, e scorse un’analogia tra «i quantificatori e i concetti modali»[2] grazie alla quale si convinse di poter catturare all’interno delle reti formali il comportamento razionale delle enunciazioni linguistiche del discorso pratico. Aggiungendo uno specifico operatore modale ad uno dei noti sistemi russelliani, vale a dire le logiche proposizionali, diventava possibile estendere il range di funzionamento della logica oltre i normali confini vero – funzionali. 

Intendo sostenere che von Wright affronta di petto la problematica conosciuta come dilemma di Jørgensen, e secondo la quale è problematica la discussione intorno al carattere logico delle proposizioni pratiche[3] dal momento che queste ultime non descrivono stati di cose, e, pertanto, sono aleticamente adiafori, il che significa affermare che non «sussistano relazioni logiche»[4] fra imperativi e norme. Piuttosto, scorgendo un’analogia tra logica modale aletica e logica deontica non aletica, di modo che sia possibile sottoporre ad analisi logica anche le proposizioni pratiche, si aggira l’ostacolo costituito dalla loro eterogeneità ai valori vero – funzionali. 


Facendo ciò, von Wright mostra l’estremo fascino della logica deontica, problematica sì, ma interessante perché consente di estendere il dominio della logica oltre i limiti del regno della verità[5]. Ciò significava, infatti, imbrigliare le enunciazioni intensive, quali quelle del discorso pratico, entro un formalismo logico che attribuisse un significato “modale” alle usuali enunciazioni estensive.


Se consideriamo le analogie scorte da von Wright tra logica e linguaggio, penso si possa scorgere l’evoluzione successiva del suo pensiero che muove dall’analisi del linguaggio formale in direzione dell’analisi del linguaggio ordinario. Il che significa spostare l’attenzione dalla razionalità del discorso morale, malamente riflessa dalla razionalità del discorso formale, al discorso morale in quanto tale.

A partire dagli anni ’60 von Wright si concentra sull’azione, sul cambiamento, sul tempo. Non si tratta di meri allargamenti di interessi speculativi, ma di necessari progressi nella sua considerazione intorno alla razionalità del discorso pratico. Detto altrimenti, infatti, già a partire della fine degli anni ’50 a più interlocutori la sua logica deontica appariva priva «di solide fondamenta»[7], dal momento che la sua stessa storia sia stata costellata da innumerevoli quanto gravi malfunzionamenti formali[8], chiamati, in genere, paradossi, ma aventi una natura profondamente diversa dai ben noti paradossi semantici[9]vale a dire derivazioni tanto sorprendenti quanto sgradevoli[10].


Questo allargamento, tuttavia, consente di integrare lo scarno simbolismo formale delle prime versioni di logica deontica con un linguaggio più evoluto e maggiormente capace di cogliere la razionalità pratica. Per Artosi, «ci sono parecchie questioni in logica deontica»[11] che potrebbero risultate rilevanti per il discorso pratico, nonostante le indubbie difficoltà. Se a partire dagli anni ’40 si cominciò a discutere delle possibili conseguenze per l’etica «degli sviluppi della logica»[12], è anche vero come proprio la logica deontica abbia costituito un indubbio «risultato principale di questo allargamento del campo di indagine»[13]. Infatti, essa consente di render conto, entro certi limiti, della razionalità del discorso pratico. Intendo dire che sicuramente essa «doveva mettere in luce il funzionamento degli operatori caratteristici del ragionamento normativo»[14] ma è altrettanto certo che da sola non è sufficiente allo scopo, riuscendo a mala pena a catturare solo un pezzetto della razionalità suddetta. 

In tempi recenti, von Wright ha sostenuto che il formalismo del linguaggio logico illumina solo un aspetto della razionalità pratica, ossia la sua normatività, ma è del tutto incapace di render conto della dinamicità concreta dei ragionamenti pratici[15], diversamente essenziali per un discorso pratico realmente tale. Dunque, par di capire, quest’ultimo sembra continuare a sfuggire alla logica. Una condizione del tutto spiacevole dal momento che consegna la morale all’arbitrio, all’irrazionale, all’ingiustificato. Mentre, e certamente, «il pensiero pratico è pur sempre pensiero e, come tale, deve soddisfare i requisiti e le leggi della logica»[16].


Come conciliare, allora, le esigenze della logica con la natura problematica del discorso pratico? Per Poli, «il pensiero pratico è pensiero sul mondo in relazione a specifici concetti essenzialmente pratici. Pensiamo praticamente quando emettiamo ordini e comandi e quando prendiamo decisioni. In tal modo, il pensiero pratico include il pensiero non pratico in quanto implica la conoscenza dell’ambiente e delle circostanze in cui operiamo»[17]. E ciò è, in fin dei conti, coerente con la storia della logica deontica stessa, un vero e proprio tentativo di cogliere «the underlying structure, of our moral discourse»[18]. Vale a dire, di tradurre formalmente le intuizioni morali che viceversa esprimiamo con il discorso pratico[19]


Pensare, al contrario, che la logica possa dirci come agire, vale a dire esprimere nel contempo tanto la forma quanto il contenuto del discorso pratico appare del tutto insensato. Al massimo, ci descrive la cornice linguistica delle enunciazioni pratiche, ma non sembra in grado di attingere al relativo contenuto, il quale resta legato alle intuizioni morali che noi, in qualità di agenti umani razionali, produciamo ed esperiamo. 

Secondo alcune interpretazioni, proprio la tensione irriducibile tra il primo e le seconde potrebbe essere una delle cause principali dei paradossi deontici[20], una particolare tensione tra il lavoro dei logici formali e la filosofia delle norme[21].


Dopo trent’anni nel labirinto della logica deontica[22], von Wright modifica la sua logica deontica in termini di filosofia delle norme. Pur non rinnegando le sue idee precedenti, svolge un discorso del tutto differente rispetto a prima. Così, giungiamo al secondo momento di svolgimento della sua speculazione. Non più una logica, ma una praxeologia della legislazione umana. Detto altrimenti, la logica deontica non può dirimere le questioni trattate nel discorso pratico, ma «will help to clarify disputes between particular theories»[23]. Nel 1983 von Wright introduce la metafora del legislatore razionale per esprimere il succo della sua teoria intorno alla razionalità del discorso pratico[24]


Per il Nostro, infatti, vi sono alcune particolari condizioni affinché delle norme siano razionali: a) la possibilità che non sempre vengano rispettate; b) impossibilità di rispettarle; c) manifesta irrazionalità delle stesse. Nel caso (a), è normale che nel corso degli eventi alcune norme siano non rispettate, può occasionalmente accadere. Nel caso (b), invece, von Wright insiste sul carattere ‘umano’ dei desiderata del legislatore: nessuna norma non soddisfacibile, per i più vari motivi storici, o fuori dalla portata di agenti umani, razionali sì ma del tutto fallibili, può venir soddisfatta egualmente. Più interessante, a mio avviso, è il caso (c). Infatti, il Nostro sta asserendo che il legislatore non può mai ordinare una contraddizione, come ad esempio fare X-e-non-X. In quest’ultimo caso,  il legislatore è irrazionale per aver ordinato di soddisfare due norme contraddittorie, le quali possono essere soddisfatte solo una alla volta nel normale  corso storico, e mai insieme nello stesso tempo storico. 

Un discorso molto simile, ma in fin dei conti differente, viene compiuto per i permessi. Per von Wright, sono possibili i seguenti casi: x) la coesistenza di due permessi; xx) la non soddisfacibilità pratica di uno dei due permessi contrari; xxx) la non soddisfacibilità pratica di due permessi contraddittori. Nel caso (x) viene meramente ribadita la definizione di permesso, vale a dire di azioni lasciate all’arbitrio dell’agente umano. Nel caso (xx), invece, si contempla l’impossibilità per un dato agente di mandare ad effetto in maniera efficace due permessi su azioni tra loro contraddittorie. Nella medesima sequenza temporale, infatti, solo uno dei due permessi contrari è realizzabile, a scapito dell’altro il quale, evidentemente, non può essere adempiuto. Infine, nel caso (xxx), von Wright introduce nella riflessione pratica una specifica nozione logica, quella di contraddizione, al fine di negare l’eventualità che un legislatore conceda dei permessi su due azioni perfettamente contraddittorie. In tal caso, infatti, si tratta di due permessi che non possono rimanere validi per l’intera durata della storia. E tuttavia si deve comunque concedere che siano, da un punto di vista squisitamente pratico, del tutto possibili. Vale a dire che è del tutto razionale che sussistano entrambi. 


Allora, sembra di poter asserire che von Wright formuli delle specifiche condizioni di possibilità per una razionalità normativa, vale a dire produttiva di norme razionali. Queste sono, a ben vedere, solamente due: i) la non contraddittorietà delle proposizioni del discorso pratico; e, ii) la coerenza tra le proposizioni del discorso pratico. La condizione (i) impone che il legislatore non fornisca volutamente ordini contraddittori mentre la condizione (ii) impone che tra due obblighi o permessi sussista sempre una relazione di coerenza, ovvero di consistenza tra corrispondenti corsi d’azione opposti. Senza la condizione (i), ovvero senza la non contraddizione, e senza la condizione (ii), ovvero senza la coerenza, non può darsi un discorso pratico razionalmente fondato e sensato. In ogni caso, comunque, rimane ferma la limitazione fondamentale, in virtù della quale «la logica può solo rispecchiare le nostre teorie morali»[25].


Per Galvan, «La Logica deontica è una particolare Logica intensionale […] è praticata in misura prevalente nell'ambito della Logica proposizionale e, probabilmente, è questa la ragione che ne limita l'utilità come strumento effettivo di argomentazione nell'ambito giuridico ed etico applicativo»[26]. Trattandosi, dunque, di una particolarissima logica proposizionale di primo livello, non appare in grado di render conto della razionalità del discorso pratico, salvo, forse, alcuni minimi aspetti. Di ciò, con molta probabilità, si rese presto conto lo stesso von Wright, il quale, sottoponendo a revisione e critica la propria riflessione, pervenne infine alla sistemazione attuale che, se da un lato si configura come un superamento della stessa logica deontica, dall’altro lato si configura anche come un procedimento filosofico di natura differente dallo studio formale, vale a dire come una filosofia delle norme che descriva i canoni di una razionalità del discorso pratico. 


A questo punto, mi sia consentito svolgere alcune considerazioni ulteriori. 

A) La praxelogia appare come il riconoscimento di una sconfitta, che la logica deontica manca il suo scopo originario, anche se rimane alta ed ancora valida l’esigenza di fondo, di mettere a punto un trattamento formale capace di riflettere la natura della razionalità pratica. 


B) L’indagine praxeologica rimane sempre e solo teorica, vale a dire von Wright la confina nell’iperuranio della teoretica fine a sé stessa. Intendo, cioè, dire che i principi di non contraddizione e consistenza non valgono per questo o quell’ordinamento pratico, ma solamente per uno ed unico ordinamento: quello ideale. Von Wright, in altri termini, circoscrive l’ambito di validità della sua analisi praxeologica alla purezza ideale di un modello teorico di legislazione umana, sì razionale, ma sempre e comunque distante, e purtroppo, dalla confusa, irrazionale e sovente pure inconsistente legislazione umana storica?


A coclusione della presente rapida rassegna di due singoli momenti della sterminata produzone e riflessione del filosofo finlandese, possiamo tranquillamente chiederci se sia poco o molto. Difficile dirlo. In ogni caso, si tratta di uno svolgimento che merita approfondimento e considerazione, più di quanto non sia possibile in questa sede. 


E per quanto esista comunque una razionalità del discorso pratico e per quanto, ancora, il linguaggio umano esprima delle funzioni normative[27], la meta agognata, il render conto in maniera efficace e puntuale della razionalità del discorso pratico, appare ancora lontana nel suo stagliarsi al termine dell’orizzonte.







[1] Cfr. p. tripodiGeorg Henrik von Wright fra Carnap e Wittgenstein, “Rivista di Filosofia”, 3, 2002, p. 433.
[2] Ivi, p. 440.
[3] Cfr. j. jørgensenImperatives and Logic, “Erkentnnis”, 7, 1937 – 8, p. 288.
[4] Cfr. b. celanoDialettica della giustificazione pratica. Saggio sulla Legge di Hume, Giappichelli, Torino, 1994, p. 326.
[5] Cfr. g. h. von wrightLogical Studies, Routledge and Kegan Paul, London, 1957, p. vii.
[6] Cfr. a. emilianiIntroduzione, a: g. h. von wrightNorme e azione. Un’analisi logica, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 9.
[7] Cfr. g. sartorInformatica giuridica. Un’introduzione, Giuffré, Milano, 1996, p. 87.
[8] Cfr. a. artosiIl paradosso di Chisholm. Un’indagine sulla logica del pensiero normativo, Clueb, Bologna, 2000,, p. 69: «fonte insidiosa e inesauribile di paradossi».
[9] Cfr. f. feldmanA Simplex Solution to the Paradoxes of Deontic Logic, “Philosophical Perspective. Action Theory and Philosophy of Mind”, 4, 1990, p. 309: «Some of deontic logic’s stickiest problems are revealed by the so-called “paradoxes of deontic logic”. None of these is, strictly speaking, a paradox».
[10] Cfr. EJLemmon – P. H. Nowell SmithEscapism: The Logical Basis for the Ethics, “Mind”, 69, 1960, p. 290.
[11]Cfr. a. artosiop. cit., p. 7.
[12] Cfr. s. cremaschiL’etica del novecento. Dopo Nietzsche, Carocci, Roma, 2005, p. 64.
[13] Cfr. b. celanoPer un’analisi del discorso dichiarativo, “Teoria”, 1, 1990, p. 166.
[14] Cfr. p. rossi – c. a. viano (eds.), Storia della filosofia. 6. Il Novecento, Laterza, Roma – Bari, 1999, pp. 889 – 890.
[15] Cfr. g. h. von wrightDeontic Logic: A Personal View, “Ratio Juris”, 1, 1999, p. 31.
[16] Cfr. g. h. von wrightIntroduzione, a: g. di bernardo (ed.), Logica deontica e semantica, Il Mulino, Bologna, 1977, p. 37.
[17] Cfr. r. poliLa logica deontica: dalla fondazione assiomatica alla fondazione filosofica (II), “Verifiche”, 4, 1982, p. 465.
[18] Cfr. g. s. mcCord, Deontic Logic and the Priority of Moral Theory, “Mind”, 20, 1986, p. 179.
[19] Cfr. n. rescherTopics in Philosophical Logics, Reidel, Dordrecht, 1969, p. 321.
[20] Cfr. g. h. von wrightOn the Logic of Norms and Action, in r. hilpinen (eds.), New Studies in Deontic Logic, Reidel, Dordrecht, 1981, p. 7.
[21] Cfr. d. makinsonOn a Fundamental Problem of Deontic Logic, in p. mcnamarra - h. prakkenNorms, Logics and Information Systems. New Studies in Deontic Logic and Computer Science, IOS, Amsterdam, 1999, p. 29.
[22] Cfr. g. h. von wrightNorme, verità e logica, “Informatica e diritto”, 3, 1983, p. 5.
[23] Cfr. g. s. mcCordop. cit., p. 179.
[24] Cfr. g. h. von wrightNorme … op. cit., p. 16.
[25] Cfr. a. artosiop. cit.¸ p. 205.
[26] Cfr. s. galvanLogica deontica e sue applicazioni, in g. basti – p. gherri (eds.), Logica e Diritto: tra argomentazione e scoperta, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2011, p. 85.
[27] Cfr. a. pizzoIl contributo di Georg Henrik von Wright alla filosofia del XX secolo, in i. pozzoni (ed.), Frammenti di filosofia contemporanea, Limina Mentis, Villasanta, 2012, p. 404: «il linguaggio assume precisi significati normativi, esplicando di conseguenza altrettante funzioni normative».

lunedì 23 marzo 2015

Profili della scuola di oggi ... 3

"Sono trascorsi ormai più di dieci anni dall’avvio dell’autonomia scolastica nel nostro paese. Dopo l’approvazione della legge 59/1997, il regolamento che ha concretamente definito le caratteristiche dell’autonomia è stato approvato con D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275 e dal 1° settembre 2000 tutte le istituzioni scolastiche italiane si sono fregiate di una propria ‘personalità giuridica’. I presidi e i direttori didattici hanno acquisito la qualifica dirigenziale mentre ogni scuola si è impegnata a elaborare un proprio Piano dell’Offerta Formativa (POF). Alcuni nodi aggiuntivi sono stati annualmente messi a disposizione dei bilanci (legge 440/1997) ed è stato incentivato un approccio sperimentale all’autonomia didattica e organizzativa (d. lgs, 234/2000). Resta però l’impressione di una ‘falsa partenza’: da un lato si è immaginata un’autonomia di tipo ‘istituzionale’, come se le scuole fossero nuove entità originarie, completamente svincolate dall’appartenenza allo Stato e alla sua amministrazione, dall’altro lato sono continuate le tradizionali consuetudini di minuta dipendenza dell’organizzazione della scuola italiana dagli input ministeriali"

(G. Cerini, Premessa: dieci anni di speranze, in G. Cerini (cur.), Il nuovo dirigente scolastico tra leadership e management, Maggioli, 2010, p.71)

Come si evolve e si complica la scuola italiana ...

Ma non ne faccio (solamente) una colpa dei decisori politici: è tutto il globo che nel frattempo si è evoluto, involuto e complicato. Come avrebbe potuto la scuola arroccarsi in maniera arrogante dentro la sua torre d'avorio? Non ha potuto.

Quel che non va, però, è l'insediamento stanziale nel perimetro scolastico, e della sua gestione, di fauna umana parassitaria e/o in cerca di fortuna ...

Ai guasti arrecati da quest'ultima all'ecosistema scolastico nulla abbiamo potuto, nulla possiamo allo stato attuale, e, verosimilmente, nulla potremo anche in futuro ...


(url immagine: http://www.educationduepuntozero.it/Politiche_scolastiche/Ministero/ministeri/2010/01/13/img/cerini5_big.jpg)


E' la scuola di oggi, bellezza, e non puoi farci proprio nulla!

giovedì 19 marzo 2015

Profili della scuola di oggi ... 2

"L’autonomia delle istituzioni scolastiche, in definitiva, non è un fine, ma una condizione per migliorare la qualità del servizio che si eroga agli alunni, ai docenti, ai genitori. La progettualità della scuola dovrà, allora, rappresentare modalità concrete di avvicinare il luogo dei bisogni a quello delle risposte e l’area dei problemi a quella delle decisioni. Il POF costituisce lo strumento di definizione e di comunicazione di queste istanze"

(N. Capaldo – L. Rondanini, Manuale per dirigenti scolastici. Gestire ed organizzare la scuola, Erickson, Trento, 2011, p. 421)



(url immagine: http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRmVA2EpJgsq1SlEB1GewecqOno7LOgFYB18mZu5AEx9-ZGOLEt)

Come a dire: il servizio è funzionale ai desiderata della committenza, qualunque essa sia nello specifico ...

lunedì 16 marzo 2015

Chi certifica le valutazioni degli alunni?



Domanda; chi certifica le valutazioni degli alunni?

I docenti, penserete voi, ma siete in torto!

La valutazione compiuta dal docente è, letteralmente, carta straccia, non significa nulla e, in quanto tale, non viene nemmeno presa in considerazione.

La "vera" valutazione è quella compiuta da organismi esterni chiamati a certificare, sulla base di indicatori e di strumenti "oggettivi", le reali competenze conseguite da classi di alunni distinti per età.

In altri termini, la società non crede affatto nella capacità professionale dei docenti nel valutare i suoi studenti e si affida ad enti esterni che possano certificare le reali conoscenze, competenze ed abilità degli studenti. Sono queste certificazioni le vere valutazioni degli alunni.


Ne consegue, ovviamente, che la reale funzione della scuola allora non è affatto educare, istruire e formare soggetti in evoluzione, ma solamente intrattenere questi ultimi in una realtà relativamente protetta, sempre che un solaio non ti caschi in testa, per le ore durante le quali i genitori sono al lavoro ... quando ne prenderemo coscienza, eviteremo tantissimi sensi di colpa e sensazioni di inadeguatezza professionale.

A chi si scaglia contro prove OSCE - PISA o contro quelle INVALSI, le prime certificazioni internazionali, le seconde certificazioni nazionali, dovrebbe andarsi a rileggere tutto il percorso di politica scolastica degli ultimi dieci anni, oltre che il diritto comunitario degli ultimi trent'anni!

Il docente contava poco prima, non conta praticamente più nulla adesso.

Per chi ha le idee poco chiare, segue il passo tratto da: D. Previtali, Il bilancio sociale nella scuola. La risposta a sette domande chiave, Edizioni Lavoro, Roma, 2010, pp. 22 - 23:

"Obiettivo principale della scuola è realizzare interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della personal, finalizzati al successo formativo, coerenti con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione. L'acquisizione delle conoscenze e la costruzione di competenze devono trovare corrispondenza nella verifica continua dei livelli di apprendimento, condotta con le indagini a livello nazionale e le ricerche sviluppate in ambito locale, con riscontri oggettivi, con lo studio approfondito dei dati e l'analisi delle determinanti, al fine di accrescere l'efficacia dell'azione di insegnamento/apprendimento. La scuola ha bisogno di guidare l'insegnamento in termini di successo e innalzamento degli standard di apprendimento. Una scuola di qualità per tutti significa, prima di tutto, alti tassi di successo e livelli elevati di conoscenze e competenze per ogni studente in relazione alle proprie potenzialità".

Detto in estrema sintesi, non conta che voto dà alle prestazioni dei suoi studenti il docente se non si evince il "valore aggiunto" dello stesso durante un periodo di tempo ben preciso e durante il quale si è esplicato il processo di insegnamento/apprendimento. 

Ovviamente, ricavare tale valore, cosa di per sé altamente problematica, significa porre in correlazione tale prestazione con il bacino territoriale, socio - economico - culturale -  sociale, dell'utenza. Ragion per cui, porre in classifiche nazionali tali risultati è, a dir poco, erroneo dal momento che i dati vanno interpretati, ossia vanno posti in  comparazione con indicatori territoriali. Per intenderci, non ha alcun senso stilare una mera classifica sulla base di dati presi in valore assoluto, questi ultimi, al contrario, vanno contestualizzati e comparati a indicatori che raggruppino elementi di riferimento territoriale. V'immaginate un confronto in termini di valori assoluti tra il Liceo "P. Ruggeri" di Marsala e il Liceo "T. Tasso" di Roma? Non ha alcun senso pedagogico, dal momento che astrae dalla composizione socio - culturale di riferimento nei due distinti casi. Oppure una classifica tra il Liceo "L. da Vinci" di Alba e il Liceo "Pascasino" di Marsala? Non serve a nulla, solo a confondere gli sciocchi oppure a giustificare dubbie politiche di dimensionamento delle rete scolastica oppure per legittimare trattamenti punitivi nei confronti dei docenti. Ma, e concludo, se questi ultimi non valutano gli alunni, perché mai dovremmo valutarli per il tramite dei risultati certificati degli alunni? Visto e considerato, soprattutto, che si tratta di utenze troppo diverse e che i risultati di un'eventuale classifica serve solo per fare demagogia oppure per demonizzare all'occorrenza regioni professionali?

Le classifiche lasciamole fare al Sole 24 ore, o affini, noi teniamo per buono che una classifica in valori assoluti serve meno di zero e che, al contrario, queste ultime andrebbero fatte solo dopo accurata e ponderata comparazione tra i dati e i contesti di origine. Altrimenti, tutto diventa solamente la scoperta dell'acqua calda: vale a dire che studenti più motivati, più seguiti e con maggiori possibilità di formazione/aggiornamento/istruzione conseguiranno risultati migliori (in valore assoluto)! Ma non ci servono costose e dispendiose indagini nazionali ed internazionali per scoprirlo ...


(url immagine: http://images.slideplayer.it/3/976137/slides/slide_2.jpg)

giovedì 12 marzo 2015

Profili della scuola di oggi ... 1

"non ha senso, né effettiva possibilità di esistere tale dirigenza scolastica in assenza di autonomia dell’istituzione scolastica alla quale il dirigente è preposto. E, a dire il vero, è, allo stesso modo, arduo pensare di assicurare effettiva autonomia scolastica alle scuole in assenza di dirigenti scolastici"

(G. Mondelli, Dirigere la scuola al tempo della globalizzazione. L’azione del dirigente scolastico nella società della conoscenza, Anicia, Roma, 2012, p. 245)

Come a dire che l'una lava l'altra e tutte e due lavano il viso (del monocrate che siede a capo dell'istituzione).


(url immagine: http://www.retescuole.net/wp-content/uploads/2015/02/capo.jpg)

martedì 10 marzo 2015

Tanto odio per il passato quanto amore smodato per le tecnologie ...



Qualche settimana fa il network panjihadista ha diffuso il video che segue:


https://www.facebook.com/video.php?v=1121955817829966

La scena è canonica quanto terribile: uomini fasciati e bardati che si accaniscono senza pietà su vestigia di un lontanissimo passato, resti archeologici di un'età d'oro per quella terra.

Distruggono mentre altri riprendono il tutto con gli ultimi ritrovati della tecnologia. Addirittura, la regia in montaggio manda delle sequenze al rallentatore al fine di far apprezzare meglio ogni singolo fotogramma della follia distruttrice. Una voce salmodia in arabo ...

Trattasi, fuor di dubbio, di propaganda. Il punto è un altro: qual è il messaggio del video?

L'Islam non c'entra nulla, esattamente come non c'entra nulla con il terrorismo. E siccome ne denuncio una mia colpevole, oltre che voluta, ignoranza, lo metto di lato. 

A mio avviso, sono tre gli elementi caratterizzanti della stessa follia presente nel video: 1) gli iconoclasti distruggono delle reliquie rispetto alle quali loro sono del tutto indifferenti (si noti il volto perplesso di alcuni di loro durante le riprese); 2) gli iconoclasti riprendono saggiamente e con maestria lo sfacelo in fieri (si noti i fari proiettati e il sapiente montaggio finale); 3) il prodotto confezionato viene diffuso ai quattro venti.

Questi sedicenti seguaci del Profeta sono indifferenti al significato, storico, culturale, umano, universale, dei reperti che distruggono. Eppure lo fanno, e ne mostrano la distruzione con sadico piacere.

Questi sedicenti seguaci del Profeta odiano la tecnologia occidentale eppure ne fanno larghissimo ed astuto utilizzo.

Questi sedicenti seguaci del Profeta non sono interessati ai costumi decadenti e corrotti dell'Occidente, eppure ci inondano dei loro video, dei loro prodotti culturali, di testimonianze dei loro usi e costumi.

Perché?

Non potrebbero vivere per conto loro, contentandosi dello stile di vita scelto? Non potrebbero distruggere tutto quel che calpestano senza farne pubblicità? Non potrebbero chattare tra loro e taggarsi senza divulgare a terzi quel che fanno o non fanno?

Invece, devono divulgare, trasmettere, comunicare, minacciare ...

Allora, il punto appare essere questo: come tutte le follie totalitarie e "negative", la loro identità è costruita per contrasto. Loro sono vivi in quanto si contrappongono a noi occidentali, e poco importa loro conoscere davvero il nostro stile di vita occidentale e le differenze, tante, che ci caratterizzano. La loro esistenza è costruita a tavolino sulla base dell'opposizione simbolica con noi. E più ci fanno soffrire, più si sentono vivi. Per questo motivo, hanno ripreso queste res gestae di distruzione: a loro non interessano, a noi sì. Quindi, ecco che ti mostro cosa ne faccio. Per questo motivo, divulgano le loro imprese: noi possiamo, voi no.

La micidiale miscela di ibridazione presente in questi atteggiamenti, e che loro sono incapaci di riconoscere, denuncia la pochezza identitaria che si cela dietro, Ma questo non importa, il loro unico scopo è farci del male, anche solo simbolicamente. Quindi, ecco che divulgano il loro terrore, uomini in gabbie, uomini dati alle fiamme, uomini decapitati, bambini che eseguono esecuzioni capitali, video di addestramento ... sono tutti aspetti della medesima strategia: farci paura.

Ovviamente, e per fortuna, nessuno può razionalmente pensare che possano varcare il mare e fare da noi quanto fanno in Libia, in Iraq, in Siria, territori ove è assente una unità statuale. Ma alla ragione questo non importa. Infatti, non parlano alle nostre ragioni, ma alla percezione istintuale della nostra vulnerabilità umana. Quel che mostrano e la dovizia con cui lo fanno indica chiaramente che hanno bisogno di distruggerci simbolicamente, di sottometterci simbolicamente, di denigrarci simbolicamente! Di farci paura ...

Non vogliono la nostra terra, non vogliono noi, non vogliono la nostra cultura, il nostro passato, vogliono rubarci l'identità, vogliono sottrarci la speranza ...

Delle reliquie del passato a loro non importa, non importava, non importerà. A noi sì. Ecco, quindi, il loro modo di colpirci a distanza, di impaurirci con la distruzione simbolica del comune passato del genere umano.

Ora, vien da chiedersi: tutto questa sapienza tecnica e antropologica è un frutto autoctono oppure è un'importazione dall'Occidente? Io propenderi per la seconda. Qui parliamo di occidentali i quali, o perché vissuti ai margini delle società natali o per improvvisa illuminazione fideistica, fanno armi e bagagli e si trasferiscono nei ranghi dello Stato islamico o Califfato o Qualunquecosaessosia ... e nel farlo portano con sé l'amore per la tecnologia, il gusto per il simbolico nonché un odio per separazione ...

Il tutto viene messo a frutto nel confezionamento di video di questo genere. Video social, per eccellenza! D'altra parte, se improvvisamente cominciassimo ad ignorare questi signori e i loro spasmodici tentativi di colpire i nostri istinti con i loro media, non solo ne trarremmo giovamento ma faremmo loro il male supremo: negare la loro condizione di esistenza. La quale, appunto, consiste solamente nel colpirci a distanza, nel denigrarci, nel metterci alla berlina, nel prendersi gioco di noi, nell'incuterci paura, nel suscitarci sentimenti animaleschi di vendetta, nel ... 

Una cura, in effetti, c'è, è semplice ma non facile da assumere: non prendere in considerazione le loro provocazioni. In questo modo, cessa di avere efficacia la loro identità perché loro provano a dirci "e ora che fai?" ma noi non diamo loro risposta.

In fin dei conti, trarremmo vantaggio dalla corsa al ribasso di umanità che ci propongono? Certo che no! Quindi, sarebbe meglio cominciare a non parlarne più, a non divulgare più i loro messaggi, segregarli in una comune congiura del silenzio, in modo che loro non possano più percepirsi come vivi in contrasto a noi e noi non abbiamo più ad avere timore per questi invasati. 


D'altra parte, se la vendetta o l'impulso sembra essere la prima risposta che la visione di questa follia ci suscita, è bene fermarsi un attimo, ragionarci sopra e concludere seraficamente "non cedo al tuo ricatto bestiale, sono occidentale!".

domenica 8 marzo 2015

Perché non si valutano i valutatori?

"il tema della valutazione dei dirigenti scolastici subirà una sorta di rimozione dall’agenda valutativa, il clima sarà quello di un biasimo e di una colpevolizzazione nei confronti della categoria degli insegnanti, ideologici e sostanzialmente identificati col complessivo pubblico impiego di ‘fannulloni’"

(R. Serpieri, Senza leadership: la costruzione del dirigente scolastico. Dirigenti e autonomia nella scuola italiana, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 29)

Una ricostruzione attendibile dell'introduzione del tema della valutazione nella scuola italiana.

Solo che si valutano i sottoposti e mai i dirigenti, gli strali si appuntano su questi ultimi dimenticando che, in ogni caso, chi dirige le istituzioni scolastiche ne è sempre responsabile in merito ai risultati.

Dunque, il tema della valutazione è oggi un mantra ripetuto sempre e solamente come arma diretta contro i lavoratori della scuola e, in ogni caso, si devia sempre dalla valutazione complessiva dell'organizzazione scolastica al fine di preservare dal giudizio meritocratico gli stessi dirigenti scolastici.

Morale della favola: i dirigenti scolastici sono sempre meritevoli, dal momento che sono non valutabili, e per loro la parte di compenso relativa al merito è data "a pioggia", mentre i dipendenti sono sempre immeritevoli, dal momento che si oppongono attivamente a che si valuti il loro merito, e per loro i compensi lordi sono fermi ai valori del 2009. Una punizione?

Tuttavia, se ci fermassimo per un attimo a considerare le strategie evasive messe in campo dai dirigenti, e dai loro sponsor politici, per evitare di finire nel medesimo tritacarne della valutazione e del ciclo della performance, viene da chiedersi: ma a cosa serve per davvero la valutazione? Se anche i dirigenti scolastici desiderano evitarla, servirà davvero oppure è solamente lo strumento demagogico per giustificare tagli lineari alle retribuzioni? 


Peraltro, in tempi di spending review permanente, e con i vari blocchi agli scatti di anzianità per i dipendenti, come mai improvvisamente si "trovano" milioni di euro per pagare un aumento salariale ai dirigenti scolastici? Forse loro sono meritevoli di integrazioni salariali, ma tutti gli altri? Perché la stessa generosità non vale anche per gli altri dipendenti pubblici?

giovedì 5 marzo 2015

The Flight!

Francamente, a me non piacciono ma siccome uno del gruppo sarebbe marsalese (anche se lui dice di essere di Bologna ...), condivido il seguente video.


lunedì 2 marzo 2015

Una mamma speciale

"LA MAMMA SPECIALE " Erma Bombeck
Molte donne diventano mamme per caso, alcune per scelta, altre per pressioni sociali e forse un paio per abitudine. Quest’anno, quasi 10.000 donne diventeranno mamme di bambini disabili. Non vi siete mai domandati come vengono scelte le mamme dei bambini disabili?

In qualche modo visualizzo Dio veleggiare sopra la Terra e selezionare i Suoi strumenti di propagazione con grande cura e deliberazione. Man mano che osserva, dà ordine ai suoi angeli di prendere appunti nel Libro Maestro.

“Aemstrong Beth, figlio. Santo protettore: Matteo.

“Forest Marjorie, figlia. Santo protettore: Cecilia. “
Rutledge Carrie, gemelli. Santo protettore ….diamo loro Gerardo. E’ abituato alla profanità”.

Alla fine, passa un nome ad un angelo e sorride, 

“Dagli un figlio disabile”.
L’angelo è curioso. “Perché lei, Dio? E’ cosi' felice”
“Esattamente”, sorride Dio. 
“Potrei dare un figlio disabile a una madre che non sa sorridere? cio' sarebbe crudele.”
“Ma ha pazienza?” chiede l’angelo.
“Non voglio che lei abbia troppa pazienza, o affogherà in un mare di rimpianti e autocommiserazione. Una volta svaniti lo shock e i risentimenti, lei sarà in grado di gestire la situazione.
“Oggi l’ho guardata. E’ cosi' sicura di se stessa ed indipendente, qualità cosi' rare ma cosi' necessarie in una madre. Vedi, il bambino che le daro' avrà un suo proprio mondo. La mamma dovrà farlo vivere nel mondo di lei e questo non sarà facile.”
“Ma Signore, non credo neanche che abbia fede.”
Dio sorride. “Non ha importanza, Io posso rimediare a questo. Questa è perfetta. Ha la dose giusta di egoismo.”
L’angelo emette un profondo sospiro. “egoismo ? E’ una virtù?”
Dio annuisce. “Se ogni tanto non potrà separarsi dal bambino, non riuscirà mai a sopravvivere. Si, qui c’è una donna che benediro' con un bambino meno che perfetto. Ancora non se ne rende conto, ma è da invidiare. “Non darà per scontata neanche una parola. 
Non considererà mai un passo una cosa ordinaria. 
Quando il suo bambino dirà “Mamma” per la prima volta, sarà testimone di un miracolo e lo saprà. 
Quando descriverà un albero o un tramonto al suo bambino cieco, lei vedrà come solo poche persone vedono le mie creazioni.”

“Le permettero' di vedere chiaramente le cose che Io vedo – ignoranza, crudeltà, pregiudizio e di innalzarsi al di sopra di tutte. 

Non sarà mai sola. Sara' al suo fianco ogni minuto di ogni giorno della sua vita e sono sicuro che svolgerà il mio lavoro come se fosse al mio fianco.”
“E per quanto riguarda il Suo Santo protettore ?” chiede l’angelo, con la penna sospesa a mezz’aria.

Dio sorride. e dice: “Uno specchio sarà sufficiente”