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domenica 27 maggio 2012

L'alba delle città - stato


La “regolarità” all’alba delle poleis

Una delle principali fonti che è possibile consultare per farsi almeno un’idea di come le società arcaiche si organizzassero in comunità è la descrizione che Omero compie dello scudo di Achille nell’Iliade.


(immagine tratta da: G. Reale - D. Antiseri - M. Baldini, Antologia filosofica, La Scuola, Brescia, 1990, p. 6)


È stato certamente argomento di studio da parte di molti autori, primi nel cogliere le profonde suggestioni che la lettura omerica offre, e lo propongo adesso in questa sede, anche come proseguimento di un discorso già avviato con il viaggio per Itaca.


Omero descrive ai vv. 483 – 607 l’intera superficie esterna dello scudo che avrebbe dovuto proteggere Achille dalle armi dei troiani nella sua vendetta per la precoce dipartita del suo amico Patroclo[1]. Non a caso è Efesto a forgiare l’armamento, su invito della madre del pelide, Teti. Eppure, sulla superficie viene raffigurata l’intera cosmologia dell’epoca, dagli estremi confini del mondo, lungo il limes Oceano, ai contesti organizzati della vita associata.


Omero narra come il fabbro divino organizzasse lo spazio sullo scudo in cinque parti, ornandoli con i «suoi sapienti pensieri» (vv. 482), fissandovi sopra le costellazioni, il sole, la luna, il cielo, la terra, il mare, proprio nella zona centrale.  A seguire, a cerchio concentrico, vi pose «due città mortali» (v. 490), l’una in pace, l’altra in guerra. La prima descrive due istituzioni caratteristiche di comunità organizzate ove la distinzione tra «pubblico» e «privato», con le due corrispettive «giustizia», la giustizia distributiva e la giustizia commutativa, ben equilibrate, è molto marcata, e rispettata. In modo particolare, vi sono descritte le istituzioni del matrimonio e del processo. La prima scena è quella del corteo nuziale mentre la seconda rappresenta una lite tra due contendenti davanti ad una giuria di gherontes, di anziani seduti «su pietre lisce in sacro cerchio»[2].


All’organizzazione, in apparenza armonica della città in pace, fa da contraltare il disordine della città in guerra, con agguati, tranelli, insicurezza diffusa, confusione, dilapidazione delle ricchezze della città, dove i morti «come fossero uomini vivi si mescolavano e lottavano e trascinavano i morti nella strage reciproca» (v. 539). La città in pace appare guidata dalla pacifica regolarità di norme riconosciute e rispettate, le quali garantiscono ordine e risoluzione anche delle relazioni umane non pacifiche, come nel caso specifico della lite davanti alla corte descritta. La città in guerra, invece, appare priva della pacifica regolarità di norme riconosciute e rispettate, le quali garantiscono ordine. Anzi, l’ordine sereno delle norme civiche sembra revocato nella sua validità, sospeso dall’eccezionalità della guerra, la quale rispetta magari ben altre leggi, regole, norme.


I due cerchi concentrici esterni, e seguenti, descrivono in qualche modo la regolarità dei cicli naturali. Infatti, essi narrano il normale anno lavorativo umano, fatto di aratura, mietitura e vendemmia. Se l’uomo attraverso il proprio lavoro, le proprie fatiche, riesce a procacciarsi di che vivere, è anche vero che così facendo seguita al corso della natura, alle stagioni metereologiche, alla partecipazione, più o meno, diretta di Madre natura allo sviluppo delle coltivazioni.
Alla stessa maniera, la stessa Natura partecipa al ciclo successivo dell’allevamento animale sui pascoli, ossia sui terreni liberi da coltivazioni mirate. L’aratura, mietitura e vendemmia sono i tre momenti topici del corso naturale, secondo il prima e il dopo, con la conseguente idea di ciclicità che nelle regolarità naturali è sempre possibile scorgere. Allo stesso modo, la stessa ciclicità è presente anche nei successivi tre momenti topici: mandria; pascoli; danze. Di questi ultimi tre momenti, appare interessante l’accento omerico alla ricchezza. Infatti, «le vacche erano d’oro e di stagno» (v. 574) e i «pastori d’oro» (v. 577). Si riferisce soltanto alla natura della decorazione sullo scudo oppure sottintende anche un rimando simbolico alla ricchezza di una popolazione che da nomade diventa stanziale? Rispondere sarebbe interessante da un punto di vista storico, tacendo di quello antropologico, ma tuttavia siamo costretti a lasciare la domanda senza risposta dato che non possediamo ulteriori elementi che ci consentano di trovare una risposta che possa dirsi adeguata.


La scena della danza, peraltro, che chiude l’ultimo cerchio interno prima dell’estremo limite del fiume Oceano che perimetra l’universo umano, attesta ulteriori elementi, come la gioia dei festeggianti, la presenza di materiali nobili, che risultano di una certa rilevanza se si desidera porre mente allo sviluppo della civiltà occidentale.



Dall’esame completo dello scudo emerge come esistesse già una civiltà in possesso anche di una profonda coscienza di sé, se è vero, com’è vero, che si rappresenta a sua volta, sia pure come decorazione, un poco estrema, di uno scudo pronto per la battaglia.
Questa stessa civiltà, denota uno sviluppo completo di istituzioni che costruiscono una realtà sociale ben precisa, ben tratteggiata, ben organizzata, sulla base dei meri fatti bruti, come possono essere i materiali, il clima, le stagioni che la natura, per quanto ciclica, e regolare, può offrire. Questo significa, forse, che il grado di sviluppo conseguito è molto più avanzato di quanto sembra in quanto appare completo il processo d’intenzionalità che dai «meri fatti» conduce ai «fatti sociali»[3].


Pertanto, a modello delle regolarità del ciclo naturale, l’alba della civiltà occidentale può essere vista come l’organizzazione secondo regole armoniche della vita di comunità.

Note

[1] Cfr. g. reale – d. antiseri – m. baldini, Antologia filosofica, La Scuola, Brescia, 19946, p. 3 e sgg.
[2] Cfr. E. Cantarella, Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Feltrinelli, Milano, 20117, p. 197 e sgg.
[3] Cfr. j. r. searle, La costruzione della realtà sociale, Einaudi, Torino, 2006, p. 36 e sgg.

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