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giovedì 24 ottobre 2013

Lifelong ...

"il nuovo idealtipo esige l'abbandono del modello centrato sulla scuola come unica agenzia di formazione, anche se estesa a tutti. È un modello arrivato al compimento insieme alla società industriale moderna. L'alternativa è l'affermazione del modello di formazione centrato sull'apprendimento lungo l'intero corso della vita nella società planetaria della conoscenza diffusa. La scuola non viene sminuita ma valorizzata, perché la sua formazione si inserisce nelle sfide del Lifelong Learning"

(P. Orefice, Pedagogia sociale. L'educazione tra saperi e società, Bruno Mondadori, Milano, 2011, p. 16)

Da sempre la scuola, e in Italia ancora di più, ha sofferto la concorrenza di altre agenzie formative, in genere informali, adesso, però, questo stato di cose viene codificato, riconosciuto ed accettato, almeno come viatico all'uomo di domani, sempre connesso e nomade ...

Viene solo da chiedersi: ma non sarà un pochino ideologico concepire a priori la formazione umana come permanente e seguitante l'allungamento statistico della vita umana?

No, perché a cent'anni ancora si apprende? E se sì, a quali condizioni? Ossia, con che qualità e con quale contezza? E a cent'anni ancora si lavora? E se sì, a quali condizioni? Ossia, con che qualità e con quale contezza?

Forse, allora, sarebbe stato più saggio concepire un miglioramento hic et nunc della formazione che dilatare ulteriormente l'arco temporale dell'insegnamento e dell'apprendimento ...


(immagine tratta da: http://edtechreview.in/images/Daily/E-Learning/lifelong_learning_meaning.jpg)

mercoledì 23 ottobre 2013

ICT ... media, almeno tu!



"occorrono aggiustamenti opportuni per riconfigurare il setting didattico in modo che le tecnologie siano messe in condizione di favorire nuove sinergie con significativi processi della mente e che, laddove siano usate per alleviare compiti di per sé ripetitivi, ciò consenta una messa in gioco di nuove, più rilevanti finalità educative"



(A. Calvani, I nuovi media nella scuola. Perchè, come, quando avvalersene, Carocci, Roma, 20086, p. 20)



La povertà dei mezzi potrà essere superata con la potenza dei media?




(immagine tratta da: http://www.corriereinformazione.it/images/stories/81-bg-ict.jpg)


lunedì 21 ottobre 2013

Esclusione ...

"le stesse forme di sapere e di pensiero tradizionalmente coltivate nei sistemi scolastici e formativi generano nuove forme di disparità, nuove barriere cognitive e comunicative che ostacolano la costruzione attiva e critica della conoscenza"

(R. Buono, Conoscenza e inclusione formativa, ESA, Pescara, 2010, p. 47)

Com'è vero! E com'è falso anche!

Il problema sta tutto dentro il rapporto includente/escludente di alunno e mondo ...

Un rapporto franco e secco ...

Un rapporto nuovo ed antico ...

Lo stesso da sempre ...

Allora, di chi dobbiamo prenderci cura?

Degli alunni o del mondo?


(immagine tratta da: http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRj39SrxGv7pEShiwc7KA7nM9i_60SpLmjU3z17O8LGt35VzxCYPQ)



sabato 19 ottobre 2013

Cahier ...



C'è un momento in cui il docente vessato si alza e avanza proposte.


Questo è, forse, anche il "mio" momento ma, come mio solito, avanzerò delle proposte poco serie nel senso che non ci scommetto sopra nemmeno un soldo bucato. Come mai? Perché è giusto così ...


Veniamo alla lista delle proposte (per migliorare la qualità dell'istruzione):

1. orario a 18 ore settimanali per ogni ordine di scuola;
2. raddoppio dello stipendio attuale per i docenti di infanzia e primaria;
3. aumento medio di 500 - 700 € netti al mese per i docenti di tutti gli altri ordini di scuola;
4. ore settimanali di preparazione di prove, correzione, aggiornamento personale e così via, sua base volontaria, ma retribuite come "straordinario" e non soggette all'imponibile IRPEF;
5. numero massimo di alunni per classe: 10;
6. affiancamento ad ogni classe di un insegnante di sostegno anche in assenza di alunni diversamente abili, con esplicito divieto di utilizzarlo come "tappabuchi" per coprire assenze del personale, anche nella medesima classe ove opera;
7. abolizione dell'attuale valutazione scolastica e sostituzione con un meccanismo generale (crediti; attività di laboratorio; elaborati; etc.) che obblighi lo studente alla produttività e a considerare il suo docente come un professionista (e non come un mentecatto "fancazzista");
8. istituzione di un organismo provinciale che eroghi provvedimenti sanzionatori la cattiva condotta degli alunni in automatico;
9. assunzione di tutti i precari in GaE (o, in alternativa, loro impiego attraverso contratti pluriennali però con riconoscimento in busta paga dell'anzianità di servizio);
10. cospicua riduzione del peso e dell'influenza delle famiglie nella gestione ed organizzazione dell'offerta formativa;
11. automatica espulsione dalla comunità scolastica di tutti quegli alunni che scambiano la scuola per il bar o la piazza o il viale;
12. costituzione di zone delimitate e ristrette ove poter fumare;
13. divieto fatto a ciascuna istituzione scolastica di impiantare macchinette automatiche o dispensatori di bevande, calde e fredde nell'area della sede scolastica;
14. orario "flessibile" delle lezioni nell'arco della giornata;
15. servizio mensa per l'intera popolazione scolastica, di utenti ed operatori;
16. strumenti numerosi e vari a supporto dell'attività didattica direttamente "in sede", e non più "a domicilio" e a spese del docente;
17. editoria scolastica in self publishing nelle singole istituzioni scolastiche così da abbattere i costi gravanti sulle famiglie e per obbligare gli studenti a non accampar scuse nello studio;
18. (perché no?) obbligo per ciascuna classe di ripulire e sistemare la propria aula al termine delle ore giornaliere di lezione.
19. "scivolo pensionistico" per tutti i docenti che hanno lavorato nella propria carriera "sul sostegno" anche per pochi anni e non continuativamente (come riconoscimento del lavoro usurante svolto) con un anticipo di 10 - 18 anni sull'età pensionabile (e con il godimento del trattamento pensionistico "più favorevole");
20. età pensionabile massima, per uomini e donne, a 55 anni;
21. aumento della quota minima pagata dal datore di lavoro come conferimento al fondo pensionistico complementare di categoria sino all'11% della retribuzione lorda annua (in luogo della miseria attuale dell'1%);
22. facoltà della singola istituzione scolastica di poter riprendere (senza audio) il comportamento degli alunni in classe nel corso dell'intera giornata scolastica per valutarne condotta ed attitudine alla vita sociale.


Ci sarebbero altri punti, ma questi sono già sufficienti per sognare un'altra scuola, un mondo diverso, probabilmente impossibile, ma almeno sognare ancora non costa nulla.







(immagine tratta da: http://revolution.1789.free.fr/image/doleance_marseille.JPG)

venerdì 18 ottobre 2013

Deficiente



"Un genitore che va da un professore a dirgli che non capisce nulla, perché se solo capisse qualcosa suo figlio non avrebbe un'insufficienza, è un genitore che trasforma un professore in un deficiente"



(A. Bajani, Domani niente scuola, Einaudi, Torino, 2008, p. 78)




Se quel genitore è anche un legislatore, improvvisamente il quadro si fa chiaro ed assume senso la maniera sfacciata con la quale la parte datoriale così mortifica e sanziona la parte dipendente!

martedì 15 ottobre 2013

Listato ...



Recentemente mi sono occupato, in maniera "estesa", della dequalificazione professionale che caratterizza il lavoro dei docenti i quali ogni maledetta mattina vanno a svolgere ugualmente il loro lavoro.



In questa sede, rammendo solo alcune delle varie puntate di questa triste storia, fornendo una relativa lista di links:


1. Le 24 ore d'insegnamento (in luogo delle 18 del CCNL);
2. La ridicola mercede dell'operaio docente (altro che lavorar poco!).




Se altre idee mi verranno in mente, questo stesso elenco subirà modifiche.


Per intanto, che altro aggiungere?


Semplice, l'invito pressante ai miei colleghi di ...



RESISTERE! RESISTERE! RESISTERE!




D'altra parte, se non siamo noi a pensare a noi stessi chi lo farà per noi?



(immagine tratta da: http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTedbUhArC9ICsVpSKls-6X9DdypsUPpskwcVRCR7AwHjAEglEC)

domenica 13 ottobre 2013

Diritto esistente!



"Il cittadino vede la sagoma del treno nei suoi aspetti periferici esterni e facilmente riconoscibili, impara a riconoscere il treno e quindi anche a comprendere e praticare perfettamente l'attività di prendere il treno; essa include anche la comprensione della importante attività di perdere il treno. Ma l'ingegnere e il meccanico pur vedendo lo stesso treno, guardano oltre, nei meccanismi che lo fanno viaggiare e lo tengono insieme. Così i giuristi per il diritto"



(M. Jori, Del diritto inesistente. Saggio di metagiurisprudenza descrittiva, ETS; Pisa, 2010, p. 69)



Con uno stile che mi ricorda molto Ross, Jori confeziona una metafora chiarissima sul diritto:



1. il senso comune non conosce i meccanismi del treno, vale a dire del diritto, ma sa riconoscere benissimo come funziona in quanto pratica sociale;


2. i giuristi, che in questo caso non fanno parte del senso comune, conoscono i meccanismi del treno e, quindi, posseggono una conoscenza superiore del diritto rispetto ai comuni mortali (o almeno così dovrebbe essere).



Ora, ai fini (realistici) della metagiurisprudenza di Jori, importa forse conoscere gli ingranaggi del diritto oppure saper riconoscerne la fisionomia, in quanto pratica sociale, e comportarsi di conseguenza? 


La differenza tra i comuni mortali, non giuristi, e i giuristi, massimi conoscitori del diritto, è indubbia, ma cosa conta davvero ai fini del riconoscimento di una pratica sociale? Conoscere il diritto in maniera intima, o esoterica, o riconoscerne le fattezze e le movenze sociali? 


I comuni mortali, infatti, direbbe Jori, sanno riconoscere il diritto pur non sapendo cosa sia ...





(immagine tratta da: http://img.radioradicale.it/foto/0001/2212778.jpg)




venerdì 11 ottobre 2013

I docenti lavorano poco?



Sembra uno strano mantra ripetuto a tutte le latitudini e in genere da quanti questo lavorano non lo svolgono ogni maledetta mattina con utenti a dir poco "non scolarizzati" ...

I docenti lavorano poco ...

Siccome, però, è uno stereotipo, che ha a che fare, proprio per sua natura, con l'insondabile inconscio sociale che ci agita e che decide al posto nostro quali debbano essere i punti "del fare" nell'agenda politica, anche in negativo s'intende, lo metto da parte, e rovescio la domanda:

I docenti lavorano poco?

Questa dovrebbe essere, a mio sommesso parere, "la" domanda che, infine, si sostanzia in un'altra, ben più materiale, ma importante ai fini esistenziali degli operatori in questo settore:

I docenti guadagnano a sufficienza?

Recentemente, Ichino è andato raccontando una sciocchezza che suonava più o meno così, e che manco a dirlo strizzava entrambi gli occhi al mantra precedente: "I docenti percepiscono poco perché lavorano poco" ...

Perché è una sciocchezza? Per il semplice fatto che si decontestualizzano dei dati per avallare una progettualità politica manco tanto nascosta, e consistente nel dequalificare, anche se a dirla tutta non se ne sente davvero il bisogno, specie agli occhi di utenti che già ci considerano "servi della gleba", il lavoro da noi diligentemente svolto ogni maledetta mattina. Ci dicono che dalle stime UE e dalle proiezioni OSCE il docente italiano lavora per un numero di ore ben al di sotto della media. Ragion per cui, appare scontata la conclusione finale: non può che guadagnare poco! A chi, però, lavora nel settore, questo ragionamento, che ormai ha conquistato i cuori dei più dei nostri rappresentanti parlamentari, suona non poco sinistro ...

Infatti, se desideriamo di più, dobbiamo lavorare di più ...

Ma lavorare di più, cosa significa per questo mestiere? Il problema dell'istruzione, pare ci dicano i nostri delegati assembleari, probabilmente gente che mai ha svolto in passato questo lavoro e che, ovviamente, si guarda bene dall'entrare in incognito in una normalissima classe del Regno per rendersi conto con i propri occhi cosa sia davvero questo lavoro, e di quanta energia richieda, e di quanto stress, umano e materiale, generi, è tutto nell'orario settimanale di servizio ...

Ergo, 25 ore  per le classi dell'infanzia, 22 ore settimanali per la primaria e 18 per la secondaria (art. 28 CCNL) sono poche ... se fossero almeno 40 cominceremmo ad adeguarci all'Europa!

Ma v'è un inghippo in tutto questo, un tranello infido ed occulto dietro tale ragionamento, apparentemente buono ... quale? Questo: un docente a 40 ore settimanali quanto dovrebbe essere retribuito? Infatti, quel che la parte datoriale ci dice è solo questo: "Lavori poco! Devi lavorare di più!" ...

Bene, e con quale stipendio?

Anche l'attuale contrattazione ministeriale relativa al rinnovo del contratto, scaduto nel 2009 e non più rinnovato, verte esclusivamente sulla parte normativa, sulla discussione inerente ai carichi di lavoro, ma non si mette sul piatto non un solo euro lordo in più ...

Si potrebbe pensare che data la ristrettezza economica, il Governo non se la senta di promettere quanto non può mantenere, ma che rinnovo contrattuale è se restiamo fermi alle posizioni stipendiali concordate nel 2006? Da allora son già passati sette anni e se consideriamo un rincaro medio del costo della vita del 2% annuo, vedete come il valore dello stipendio del docente sia diminuito del 15% ...

... e qui si parla solo dell'orario settimanale di servizio, e non delle ore gratuite elargite a titolo individuale per tutte le attività funzionali all'insegnamento che il docente deve svolgere a casa perché non può fare altrimenti, dato che, revisione della spesa appesa sul collo delle istituzioni scolastiche, il suo "ufficio" di lavoro non garantisce più né supporti digitali né supporti materiali per l'effettuazione dell'offerta formativa ... dove correggere i compiti? E quando? E come preparare le lezioni? E dove? E dove trovare gli strumenti digitali opportuni? E quando? E così via ...

E lasciamo stare il discorso formazione in servizio perché faremmo notte!

Quindi lavora poco, allora è legittimo che guadagni poco.

Ma se lo facciamo lavorare di più, è legittimo che prenda altrettanto di ora?

Il cavallo di Troia della valutazione scolastica, infatti, è funzionale a questa retorica: non aumentiamo di un centesimo la spesa corrente, ma distribuiamo non più "a pioggia", vale a dire indistintamente, le risorse attuali, e diamo qualcosina in più a pochi e tanto meno a tutti gli altri ...

Così, futuribili assetti organizzativi, peraltro pensati e voluti "dall'esterno", pensano solo a giustificare pesanti aumenti dell'orario di servizio senza però concedere nulla dal punto di vista retributivo ...

Il tono sempre più imperativo al riguardo esprime forse un epocale cambiamento di prospettiva sull'istruzione: settore strategico, ma non per il futuro del Paese, ma perché consente il risparmio di risorse con operatori che tirano il carretto a qualsiasi condizione e senza rifiutarsi in blocco di farlo ancora ... se ci aggiungiamo che le classi sono ormai ingestibili, diventa chiaro che la scuola italiana sia più un'agenzia pubblica di baby sitting che luogo di formazione e promozione umane ...

Ma veniamo alle tasche dei docenti ...

Sulla base dell'orario previsto all'art. 28 del defunto contratto (innovato in parte ed unilateralmente in questi anni nel senso di una progressiva riduzione dei diritti di quanti lavorano a scuola ...), i docenti italiani prendono rispettivamente, udite gente:

docente scuola infanzia e primaria: € 19324,27 su dodici mensilità;
docente scuola secondaria primo grado: € 20973,22 su dodici mensilità;
docente scuola secondaria secondo grado: € 20973,22 su dodici mensilità.

Ora facciamo due conti e ci accorgiamo che lo stipendio lordo mensile di un docente alla posizione più bassa, inizio carriera (condizione che sostanzialmente accompagna il docente per gran parte della sua vita professionale ...), è di

docente scuola infanzia e primaria: € 1610,35
docente scuola secondaria primo grado: € 1747,76
docente scuola secondaria secondo grado: € 1747,76

Se poi consideriamo che comunque un docente paga le ritenute IRPEF direttamente "alla fonte" e deve anche contribuire (di tasca propria), sempre "alla fonte", alla costituzione dei suo TFR, su questi emolumenti, riceverà tramite bonifico bancario una cifra molto al di sotto. Di quanto? Prendiamo il mio caso ...

Posizione iniziale,

pago lo 0,350% su quota 100 per il Fondo credito;
pago il 2,50 % su quota 80 per il TFR;
pago lo 8,800 su quota 100 come contributo INPDAP;
aliquota IRPEF compresa tra il 24,170 e il 27% su un imponibile pari al 70% della retribuzione lorda;

risultato:

€ 211,33 se ne vanno "alla fonte" come totale delle ritenute previdenziali (ma li rivedrò mai un giorno sotto forma pensionistica?);
€ 347,59 se ne vanno come ritenute IRPEF.

Tutto finisce qui? Ovviamente, no.

In genere, bisogna aggiungervi:

addizionali IRPEF, regionale e comunale, acconto e saldo, che mensilmente (per nove mesi l'anno), per tutto l'anno solare 2013, ammontano a € 57,45;
eventuale contribuzione a Fondo pensionistico complementare (per il discorso della pensione a fine carriera o, se si preferisce, fine vita, data l'irritante retorica della long life ...), nel mio caso pari al 5% della retribuzione lorda, quindi altri € 96,25 se ne ve vanno alla fonte ...

Finiamo adesso i nostri calcoli ... quanto è il totale delle trattenute in busta paga? € 667,98 ...
Quant'era il lodo? ... € 1964,67 (allo stipendio tabellare su dodici mensilità vanno aggiunte altre mance come la IIS conglobata, eventuali assegni familiari per prole, la voce retribuzione professionale docenti, l'indennità da vacanza contrattuale cui fa da contraltare un aumento progressivo della tassazione che ometto per privacy ...) ...
Quanto resta al mese? ... € 1336,48 ...

Molto? Ogni valutazione in merito, però, andrebbe rapportata a cosa significa davvero svolgere questo lavoro ... e non pretendere al contrario di moralizzare ...

Ergo, un qualsiasi ministro della Repubblica, e segnatamente quello dell'economia, oltre ovviamente a quello competente in materia, andrebbe catapultato direttamente dentro una qualsiasi classe prima di un nido, o di primaria, o seconda delle medie o prima di un professionale, anche solo per un'ora e solo dopo dovrebbe dire se quel totale netto è molto ...

Diciamoci la verità, a ben guardare è una miseria, uno stipendio da fame, uno stipendio ridicolo, ma chi ragiona astrattamente in termini di carichi di lavoro non solo non ha idea di cosa sia oggi questo mestiere ma nemmeno vuol saperlo perché ha a cuore un altro obiettivo (far quadrare i conti gravando tutto il peso sull'istruzione) ...

Volete sapere qual è? Giochiamo tutto sulla disperazione della gente ed assecondiamo l'adagio popolare secondo il quale "mal comune, mezzo gaudio" in modo tale da peggiorare le condizioni di tutti anziché provare ad elevare lo standard ...

Si tratta di un adagio profondamente ipocrita che risponde al desiderio di vedere rovinati gli altri, ma è cieco perché non consente di rendersi conto che nel frattempo anche noi siamo rovinati ...

Mal comune, infatti, è solo mal comune ...

Sul masochismo del personale, comunque, mi riservo di tornare ...

E questo è tutto gente!


(immagine tratta da: http://www.ceisroma.it/upgrade/wp-content/uploads/2012/07/docente-comandato-comunita-terapeutiche-droga.jpg)



giovedì 10 ottobre 2013

Diritto o pratica?



"Hanno quindi ragione per metà i giuristi quando sostengono o implicano che il fondamento della conoscenza del diritto fornita dalla giurisprudenza è il diritto stesso. La giurisprudenza è una scienza sussidiaria a una pratica sociale, una pratica che il senso comune chiama diritto e che si colloca in una zona costante della società, la coazione organizzata da norme"


(M. Jori, Del diritto inesistente. Saggio di metagiurispridenza descrittiva, ETS, Pisa, 2010, p. 62)


In maniera succinta, diciamo che Jori ha ragione nel sostenere quanto sostiene, ed anche che è nel giusto quando incontra nella sua descrizione i seguenti elementi:



1. il diritto è una pratica sociale;
2. quella dimensione normativa della società è giustamente identificata con il diritto (dal senso comune);
3. la giurisprudenza è una conoscenza derivata dal tipo di pratica sociale che intenziona;
4. il fondamento della conoscenza del diritto è il diritto medesimo, vale a dire quella porzione di società istituita e regolata da norme.



Se così stanno le cose, in cosa al contrario Jori è in torto? In negativo, rispetto all'elenco (in positivo) precedente, è possibile scorgere anche degli errori o, comunque, dei passaggi "tortuosi" nella sua descrizione. Sarebbe però troppo facile se li indicassi io, che sia il lettore a farlo!



(immagine tratta da: http://www.edizioniets.it/Priv_Foto_Libro/2297.jpg)

martedì 8 ottobre 2013

Filosofia sociale

(recentemente ho introdotto l'argomento, lo faccio adesso in maniera molto più estesa, recensendo direttamente il testo in questione)


Recensione a: V. Rosito – M. Spanò, I soggetti e i poteri. Introduzione alla filosofia sociale contemporanea, Carocci, Roma, 2013, pp. 250.




Vincenzo Rosito e Michele Spanò scrivono a quattro mani il presente volume che introduce alla filosofia sociale contemporanea.


Il testo, corposo nel numero di pagine, consta di una introduzione e di cinque capitoli, ciascuno dei quali significativamente declinati al plurale ed indicanti specifici verbi della filosofia sociale.


Gli autori forniscono un inquadramento di massima della disciplina. Essa «indaga […] i nessi sociali che precedono e consentono ogni messa in forma istituzionale» (p. 9), quei legami tra attori sociali i quali, per loro specifica natura, stanno sia prima sia durante ogni manifestazione istituzionale dei comportamenti sociali. La filosofia sociale «descrive tipi diversi di normatività» (p. 10), vale a dire che procede alla «descrizione dei regimi di normatività che percorrono la società e che sono dunque la premessa […] per poterla eventualmente criticare e trasformare» (p. 10). Detto altrimenti, la filosofia sociale non si presenta come una critica della società, come una prescrizione ideale di organizzazioni alternative della stessa, quanto piuttosto come discorso della società. Il teorico viene chiamato in causa per poter “dire” la società. La società, infatti, «è il “luogo comune” di soggetti e poteri» (p. 11), quel «luogo in cui si situa la filosofia sociale» (p. 11) chiamata a compiere «un'indagine dinamica dei rapporti interni a soggetti e poteri […] e del loro modo di comporsi» (p. 11). Pertanto, essa viene compiutamente concepita come «una forma di critica immanente al proprio tempo» (p. 13) poiché «descrive il rapporto tra i soggetti e i poteri in una data epoca» (p. 13) e «diagnostica le forme degli uni e degli altri» (pp. 13 – 4), riflette in maniera critica «sulla trasformabilità della condizione presente» (p. 14) e offre «gli strumenti per dare corso a questa trasformazione» (p. 14). I soggetti e i poteri, pertanto, non si danno come 'cose', ma sempre come 'discorsi'. Allora, la filosofia sociale opera sul linguaggio, «sui suoi limiti e le sue potenzialità, sul suo carattere vincolante e su quello abilitante» (p. 14).


Il primo capitolo prende le mosse da un verbo particolare, vale a dire Riconoscersi. Per gli autori, esso significa gettare uno sguardo sulle pratiche del riconoscimento. La scuola di Francoforte è, al riguardo, il punto focale di tale discorso in quanto si cerca di fornire importanti chiavi di lettura per lo spaesamento moderno della soggettività, oramai incapace di riconoscersi. Ma non basta certo denunciare il processo alienante del sistema di produzione capitalistico per salvare il soggetto, è necessario piuttosto spostare il discorso sulle «pratiche discorsive in seno alle quali il sociale prende forma e la realtà viene cooperativamente costruita» (p. 22). È tuttavia con Honneth che la pratica del riconoscimento viene fattivamente riconosciuta come tale e presa seriamente in considerazione. Egli, infatti, «intende fornire principalmente una concezione critico-normativa dei processi costitutivi dell'autocoscienza e del valore strutturalmente produttivo del conflitto e del dissenso» (p. 27). Attingendo al lascito culturale di Habermas da un lato e di Foucault dall'altro, Honneth si propone come saggio interprete della secolarizzazione, vale a dire dell'attuale disagio della civiltà occidentale stretta dalla perdita della propria centralità secolare e pressata da forze esterne potenti. Più sede di contrasti e conflitti che di composizioni e mediazioni. Solo attraverso il cooperativo riconoscimento dell'identità singola con l'identità dell'altro appare possibile rinnovare il processo del dialogo tra soggetti. Ovviamente, la filosofia sociale non guarda solamente a questo apparato teorico, ma prende in considerazione anche ben altri registri, come la teoria del dono, equiparato ad un vero e proprio «modello sociale onnivalente» (p. 41), vale a dire una struttura sociale ubiquitaria. Con la donazione, in altri termini, si instaura una «circolarità virtuosa» (p. 46) del dare, del ricevere e del ricambiare che realizza una «costituzione partecipata di rapporti sociali» (p. 46). Tuttavia, non tutti concordano sulla natura disinteressata della donazione. Derrida è uno dei massimi esponenti di questa teoria ed oppone dono a reciprocità nello scambio. Recentemente, si è anche insediato un altro modello filosofico che prende il nome di filosofia della cura. Essa «descrive infatti un modo delle relazioni sociali attraverso il quale prende forma una specifica gestualità morale: quella dell'interessamento pratico, della sollecitudine affettiva e della tutela etica» (pp. 59 – 50). Prendendo atto della consustanziale vulnerabilità umana, la nozione di cura esprime una tipologia di relazioni sociali fondate appunto sull'interessarsi del destino esistenziale altrui e del prendersi cura dei propri simili, al punto a configurarsi come la «possibilità di una base etica condivisa tra pubblico e privato» (p. 53). La filosofia politica moderna, invece, ha orientato la propria riflessione attorno al rapporto problematico della libertà e della eguaglianza. Basti pensare a Rawls per il quale la giustizia è «la categoria primaria dell'analisi filosofica delle interazioni sociali» (p. 61). Ne emerge, pertanto, come nei coevi conflitti sociali un ruolo sempre maggiore venga ad essere svolto dall'«identità sociale» (p. 65) la quale svolge due distinte funzioni: 1) identificare i gruppi sociali di appartenenza dei singoli a determinate categorie, in funzione della quale formulare in maniera corretta le «realtà materiali o immateriali che definiamo beni sociali» (p. 65); e, 2) solo in base ad essa, ciascun individuo «matura quelle capacità specifiche con cui è in grado di percepire il mondo come proprio e sé stesso come membro di una determinata comunità» (p. 65). Il riconoscimento di un ruolo importante all'identità sociale, e alla riscoperta del suo ruolo all'interno delle teorie economiche, è uno dei grandi meriti di Sen secondo il quale il grande limite delle teorie economiche contemporanee è di muovere «dall'illusione dell'unicità» (p. 66), vale a dire ignorare come alla base dell'identità sociale possano esservi processi arbitrari e decisionali che sperimentano e sintetizzano appartenenze diverse in funzione al genere sessuale, alla lingua, alle abilità pratiche, alle conoscenze culturali. Così, l'equità sociale andrebbe valutata «in relazione alle modalità concrete che permettono a ciascuno di realizzare funzioni e di sviluppare competenze reali» (p. 67). La libertà per Sen consiste «nella disponibilità concreta ed equamente garantita» (p. 68) delle condizioni che rendono possibile il dispiegamento delle capacità individuali.



Il secondo capitolo s'intitola Governarsi e pone al centro della riflessione la forma di organizzazione politica attraverso la quale i soggetti si pongono in relazione a dei poteri. La filosofia sociale guarda alla democrazia «come un dato sociologico» (p. 72), ravvisandone anche l'«ineliminabile componente emotiva, affettiva, passionale» (p. 72). In questo modo, ad esempio, per Tocqueville la democrazia non è una forma di governo, ma «uno stato della società» (p. 74), segnatamente quella condizione che si realizza con la scomparsa dell'aristocrazia e con l'estensione universale del principio di eguaglianza. Ma alla pari di Tocqueville, Mill riscontra la necessità del governo di una società la quale proprio perché plurale è «mossa da interessi e desideri diversi» (p. 76). Così, la filosofia sociale si trova a lavorare su questo terreno, «l'antropologia dell'homo democraticus contemporaneo» (p. 77). La disamina dei mutamenti nei desideri dei soggetti relati da diversi poteri è alla base della ricognizione foucaltiana intorno ai governi delle società. Foucault conia appunto il concetto di governamentalità, vale a dire «una specifica razionalità di potere» (p. 81) che non si identifica né con un'istituzione né con una teoria. Essa si rivela un «dispositivo articolato secondo una duplice polarità: il governo di sé e il governo degli altri» (p. 82). Esso permette a Foucault di criticare il modello giuridico del potere, di rendere più chiaro il rapporto tra tecniche del sé e tecniche del dominio, di estendere il campo del potere sino a poterlo descrivere «come un gioco strategico, come governo e come dominio» (p. 86). Il principale lascito teorico di Foucault alla filosofia sociale appare essere quello di aver suggerito come il potere non debba essere analizzato in funzione di una sua pretesa essenza, ma «nei modi specifici in cui si esercita» (p. 89), ossia come entra in contatto con i soggetti. Vi sono, comunque, anche altre prospettive al riguardo le quali conducono una critica alla democrazia la quale va di pari passo alla crisi della stessa. Per rispondere a quest'ultima, Sintomer propone la procedura del sorteggio perché garantisce «imparzialità e favorisce la qualità della deliberazione» (p. 103). Si tratterebbe, per dirlo altrimenti, di uno strumento democratico che impone «il principio di eguaglianza» (p. 103). Nonostante ciò, però, esiste un grosso limite alla pratica in questione. Infatti, a chi rispondono quanti sono eletti per sorteggio? Si tratta, allora, del problema di «un equilibrio tra la procedura del sorteggio e il rispetto di una rappresentanza sociologica della società» (p. 103). A fronte di questi problemi, altri autori hanno proposto modelli teorici del tutto differenti, come nel caso dei comunitaristi. Per tutti costoro, infatti, la comunità è un «modo di abitare la società, un modo di farne esperienza» (p. 106). Le principali fonti di questo filone di pensiero sono Tönnies e Bataille. Per Nancy, invece, la comunità è il luogo «dell'esposizione delle esistenze finite» (p. 120). Per la filosofia sociale della comunità, «l'altro, il simile, non è riconosciuto perché uguale a me» (p. 123) dal momento che non esiste una comune origine «cui fare riferimento» (p. 123). Se ciascuno «è il suo fuori, è solo nella propria esteriorità che ci si riconosce simili» (p. 123). La comunità è appunto quel regime ontologico «in cui l'uno e l'altro sono simili» (p. 123), in cui cioè «l'identità è sempre spartita e perciò sempre perduta e mai posseduta» (p. 123). Di conseguenza, la progettualità politica da descrivere cui si mette capo non è quella comune dei diritti, dei doveri, delle tutele, dei contratti, del consenso, ma quella dell'esperienza, vale a dire «un'esperienza della spartizione, dell'inoperosità e della comunicazione dell'una come dell'altra» (p. 126). La riflessione di Nancy però spinge il pensiero sulla comunità ben oltre tutto ciò, attestandosi piuttosto su una «prospettiva ontologica sulla politica» (p. 126). Peraltro, tutto il fiorire di filosofie fenomenologiche nel corso del XX secolo ha a cuore la tematizzazione del rapporto tra il soggetto e l'altro al punto che non è scorretto né esagerare affermare che proprio questo sia uno dei temi che «definisce la stessa struttura dell'essere» (p. 128).



Il terzo capitolo s'intitola Sollevarsi e si occupa principalmente della sovversione del soggetto ad opera di psicoanalisi e marxismo. Grazie a Freud, sappiamo che il soggetto è perfino estraneo a sé stesso, in alcun caso «padrone e sovrano dei suoi atti e dei suoi pensieri» (p. 137). La sovversione nei confronti del sovrano assoluto della filosofia occidentale è radicale ed impone una riflessione del tutto diversa del rapporto tra i singoli, così sottodeterminati dal giogo dell'irrazionalità, e i poteri, così determinati da logiche estranee alla razionalità occidentale. Peraltro, la civiltà stessa finisce con l'apparire la negazione stessa della naturalità degli esseri umani, come una gabbia che irretisce gli uomini. La psicoanalisi, dal canto suo, diviene una «pratica di orientamento del desiderio e della sua soggettivazione singolare da parte di ciascuno» (p. 143). Tuttavia, la nota comune all'ipermodernità di cui siamo transito, secondo Recalcati, è caratterizzata dal trionfo del discorso del capitalista, vale a dire che la continua archiviazione del desiderio, altrimenti non soddisfacibile in alcun caso, nell'inconscio dove però continua ad operare, provoca l'evaporazione stessa del desiderio. Otteniamo, pertanto, un soggetto «colpevole, ma non dotato di senso di colpa» (p. 145). L'elemento, però, che maggiormente colpisce nel panorama contemporaneo è il conflitto, ossia l'esistenza di un legame sociale il quale si realizza solamente nella forma dello scontro. Pertanto, gli autori mettono assieme, proprio con riguardo alla tematizzazione del conflitto figure l'una diversa dall'altra, come Gramsci, Schmitt e Althusser. Questo perché essi sono accomunati da una comune maniera di concepire la società, vale a dire un «campo di lotta» (p. 147) di «visioni parziali di verità che lottano per istituirsi come universali» (p. 148). Tuttavia, il presente discorso sulla contesa di parzialità che vorrebbero imporsi come generalità incrocia il discorso sui significanti, ossia sui meccanismi sociali di riconoscimento e identificazione per mezzo dello scontro tra opzioni diverse e sovente contrarie.




Il quarto capitolo ha come titolo Nominarsi ad indicazione dell'orizzonte tematico prescelto: l'esame del rapporto tra i soggetti e i poteri «interrogandosi criticamente sul soggetto» (p. 175). La filosofia sociale deve stavolta prendere in considerazione tutti quei fermenti e quelle idee che l'antropologia, la relatività della cultura postcoloniale e la differenza sessuale offrono alla sua tematizzazione. Infatti, mentre il postcolonialismo chiede al soggetto «della filosofia sociale da dove parla» (p. 175), il femminismo gli «chiede chi è» (p. 175). Il soggetto viene così decostruito dalla forma generale ed occidentale quale è stato conosciuto in filosofia. La ricerca del chi del potere delinea in questo modo un orizzonte semantico innovativo, per non dire differente dalla tradizione consolidata in questo senso. In questo modo, anche, decostruire la razionalità occidentale consente pure di porre in essere «una continua autocritica» (p. 197). Anche il femminismo critica l'usurpazione dell'universale da parte di una parzialità. Per di più, contesta «la stessa forma simbolica dell'universale» (p. 199), un prodotto come tanti altri «del pensiero maschile» (p. 199). Bisogna così abbandonare il dualismo sinora imperante, anche se occultato dietro le parvenze di generalità ed universalità, «per aprire le forme del sapere all'esperienza femminile» (p. 199). L'idea di una differenza sessuale da far valere anche in sede teorica comporta cambiare punto di partenza per le riflessioni filosofiche: non più concetti o modelli generali, ma la particolarità di corpi gli uni differenti dagli altri. Per Butler, ad esempio, la differenza sessuale è «una delle norme che rende possibile il soggetto» (p. 207), vale a dire che lo rende «intelligibile e leggibile nello spazio sociale» (p. 207). In altri termini, va disinnescata «la polarizzazione tra natura (il sesso e il femminile) e la cultura (il genere maschile)» (p. 207). Il soggetto, cioè, non esiste né prima né dopo la corporeità, la dimensione della differenza corporale. Solo così diventa spiegabile la maniera attraverso la quale la costruzione del soggetto abbia sempre comportato un'esclusione: «se porta qualcosa nel campo della lingua […] lascia fuori qualcos'altro» (p. 208).




Il quinto capitolo s'intitola Immaginarsi. La natura del titolo non è casuale dal momento che i processi di globalizzazione in atto appaiono così irresistibili e violenti da porre al filosofo sociale il compito, certo difficile anche se non impossibile, per il mezzo della critica, di «creare le condizioni di possibilità per nuove configurazioni di senso all'interno della prospettiva globale» (p. 211). La globalizzazione non descrive un'estensione globale delle relazioni, dei saperi e delle pratiche, ma il fatto che «questi mutamenti interessano trasversalmente discipline diverse e ambiti differenti del sapere» (p. 212). Di fronte a questo scenario, il compito della filosofia sociale è quello di «rinvenire ambiti e significati in virtù dei quali possano essere “immaginati” funzioni, ruoli e saperi in grado di limitare gli eccessi in-globanti del capitalismo contemporaneo» (p. 213). D'altra parte, è anche vero che i soggetti sociali «sono attori non statali» (p. 214), ma planetari. Lo sfumare dei contorni nazionali è anche l'orizzonte di senso del fenomeno meglio conosciuto come glocalismo, vale a dire la «formazione e la rivendicazione crescente di identità culturali locali, che tendono ad accentuare fortemente alcuni tratti particolaristici di tipo etnico o religioso» (p. 216), apparentemente forme locali di resistenza all'omologazione planetaria, in realtà «parte integrante di quel processo di omologazione» (p. 216). I processi di globalizzazione, in altri termini, impongono di tener debitamente conto di tre differenti elementi: 1) lo sganciamento da forme e vincoli sociali precostituiti in senso tradizionale; 2) perdita delle sicurezza tradizionali; 3) istituzione di un nuovo tipo di legame. In questo senso, appare importante il contributo della prospettiva interculturale la quale cerca di «giudicare determinati contesti sociali nella misura in cui questi creano rappresentazioni di culture considerate estranee» (p. 225). Sicché, l'«interazione reciproca e la compenetrazione dialettica tra cultura e politica rappresentano infatti il vero polo duale intorno al quale è possibile ripensare la categoria di umanesimo come ambito di interpretazione e di critica del mondo contemporaneo» (p. 226). Come lo sfondamento dei confini nazionali impone un ripensamento alla dialettica tra la politica e la cultura, allo stesso modo anche lo sfondamento degli orizzonti culturali della biologia impone una nuova riflessione attorno all'umano. L'essere umano, perché soggetto della tecnica, «si presenta come l'unico essere vivente capace di attivare processi di modificazione riflessiva e ragionata delle coordinate naturali in cui è iscritto» (p. 227). La filosofia sociale, dunque, deve porsi in dialogo con l'antropologia della tecnica in quanto quest'ultima si configura come «una disciplina imprescindibile e un campo tematico necessario» (p. 227). Essa, infatti, «è indispensabile per comprendere e interpretare i mutamenti antropologici in atto nelle società contemporanee, in relazione ai recenti sviluppi delle nuove tecnologie» (p. 229), in maniera tale che la filosofia sociale possa soffermarsi «su queste trasformazioni» (p. 229) individuando quelle categorie «in grado di valutarne la portata e i significati» (p. 229). Su tutti i temi importati dall'antropologia della tecnica ne spicca uno: quello «dell'identità personale» (p. 233). Un altro aspetto che la condizione postmoderna della società umana planetaria impone è quello relativo all'autocoscienza religiosa. Negli ultimi anni è tornato di moda il sentimento religioso al punto che la filosofia sociale non può sognarsi di ignorarlo. Così, essa si trova costretta a prendere in considerazione gli effetti di tre elementi necessari: «le credenze, i riti e le istituzioni» (p. 234). Su questi gioca adesso un ruolo imprescindibile il pluralismo religioso il quale irrompe «in tempi e forme molto spesso inaspettati» (p. 237). Infatti, è al suo interno che si colloca l'orizzonte «in cui interpretare le implicazioni sociali e politiche di tali mutamenti» (p. 237).




(immagine tratta da: http://www.inmondadori.it/img/soggetti-poteri-Introduzione-Michele-Spano-Vincenzo-Rosito/ea978884306630/BL/BL/12/NZO/?tit=I+soggetti+e+i+poteri.+Introduzione+alla+filosofia+sociale+contemporanea&aut=Vincenzo+Rosito)

lunedì 7 ottobre 2013

Resistere ...



Dove mi porti, pensieri?
Dove mi conduci, veicolo?
Dove aneli, navicella?

Ecco lo squallido ed osceno panorama d'intorno,
calce su calce, cemento su asfalto, amianto sui cuori,
tante croci bianche sui nostri futuri.

Cosa cerchi, mente?
Cosa desideri, cuore?
Cosa attendi, coraggio?

No, il deserto non è fatto solo di sabbia,
ma anche di conoscenze abbandonate,
ma anche di desideri negati,
ma anche di speranze disilluse.

Il sole corre velocemente lungo la volta celeste,
le lancette veloci percorrono il quadrante,
occhi infidi e bramosi di sfida ti percorrono ancor più celeri da parte a parte,
e parte su parte ...

Un moto improvviso ti prende,
vorresti fuggire, ora, magari urlando, ma non puoi,
questa facoltà non ci fu concessa,
oh prezzolati mestieranti della fu conoscenza!

E qui, in questa landa desolata ed arida, fuori e dentro ciascuno di noi,
scopri che Darwin non aveva capito nulla, e che Piaget amava giocare con gli inermi molluschi ...

Questi nostri ragazzi sono il prodotto ultimo della non evoluzione,
così prossimi alla bruta materia, così vicini ai sassi, ai fluidi corporei,
non sanno cosa sia il differimento, né tantomeno il rispetto,
per loro tutto fa gruppo, omologazione, massa ...

Ma quando si è così, per colpa o senza colpa, 
cosa vuoi farci?
Cosa puoi sperare di farci? 
Cosa vorresti farci? 

Resti lì, al tuo posto, immobile, 
ed attendi che l'ora ci concluda, 
che il sole non si dimentichi il suo giro quotidiano.

sabato 5 ottobre 2013

Disperazione e umanità

Questo braccio di mare porta il colore del sangue, le tragedia si ripetono, allora perché non rileggere l'omelia del Pontefice che proprio alcuni mesi fa si recò a Lampedusa? Parole ancora purtroppo attuali.


Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”. Così il titolo nei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta, non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà. Grazie!
Grazie anche all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto e il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco, signora Giusy Nicolini. Grazie tante per quello che lei ha fatto e fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno oggi, alla sera, iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie.
Questa mattina alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti. «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei, Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello. Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza; tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.
«Dov’è tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà – e le loro voci salgono fino a Dio. E un’altra volta a voi, abitanti di Lampedusa, ringrazio per la solidarietà! Ho sentito recentemente uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui, sono passati per le mani dei trafficanti, quelli che sfruttano la povertà degli altri; queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto. E alcuni non sono riusciti ad arrivare.
«Dov’è tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno. Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro.
Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. «Adamo dove sei?», «Dov’è tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere. Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. «Chi ha pianto?», chi ha pianto oggi nel mondo?.
Signore in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo, Padre, perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore; Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».

(tratta da: http://www.ilpost.it/2013/07/08/testo-omelia-papa-francesco-lampedusa/)



(Immagine tratta da: http://www.giornalettismo.com/wp-content/uploads/2013/10/NAUFRAGIO-LAMPEDUSA-21-770x575.jpg)