"Nella prospettiva dell’empowerment,
i riformatori ex lege, allora, quando presentano i cambiamenti normativi
proposti come radicalmente diversi e affatto nuovi (come riforme epocali, in
discontinuità rispetto al passato) fanno il gioco contrario all’empowerment
perché, di fatti, chiedono agli operatori della scuola di adeguarsi al nuovo
che avanza, sconfessando quella stessa professionalità docente sulla quale si è
basato finora il proprio potere. Le persone che restano dentro un’organizzazione
di lavoro con compiti imprecisi, impoveriti, di scarso peso e deprivati di
significato sociale sono un vero e proprio boomerang per un progetto di empowerment
in quel sistema organizzativo"
(I. Summa, Empowerment:
una leva per l’innovazione, in G. Cerini (cur.), Il nuovo dirigente scolastico
tra leadership e management, Maggioli, 2010, p. 200)
Non è forse quel che fanno i decisori politici ad ogni cambio della maggioranza relativa in Parlamento?
Potremmo anche dire che ogni legislatura ha la sua vision di scuola, il suo modello di empowerment, la sua idea di istruzione ...
Ma ogni volta si sconfessa quanto fatto sino ad allora, in tempi di tagli lineari al settore, con sempre meno risorse e in condizioni ambientali sempre più difficili, dagli operatori scolastici ...
Questa non è valorizzazione delle professioni scolastiche, ma mera dequalificazione professionale, soprattutto in seno alla costruzione sociale del loro ruolo istituzionale.
Sorge solo un dubbio; quest'ultimo effetto è colposo o doloso? Francamente, non so cosa pensare al riguardo. Nel primo caso, si configura un'ipotesi di sostanziale miopia pedagogica ed organizzativa di chi decide; nel secondo, invece, una concreta ipotesi di una progettualità politica di ampio respiro volta a distruggere, e, quindi, a indebolire, la discrezionalità operativa degli operatori scolastici.
Allora, quale delle due?
(url immagine: http://www.lavorofisso.com/wp-content/uploads/2007/11/27122015X86-680x365_c.jpg)
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