"Prestare attenzione al dato apparentemente ovvio che i disabili sono anzitutto persone, individui, esseri umani permette anche di porre in evidenza alcune criticità delle concezioni oggi dominanti in tema di handicap. In particolare, l'assunto (a) mira a ridimensionare l'enfasi posta dall'approccio delle capacità sui funzionamenti e sulle capacità quali parametri di giustizia sociale e di dignità individuale; (b) si oppone alla concezione della disabilità come identità collettiva accreditata dai disability studies; (c) tenta di evitare gli opposti riduzionismi del liberalismo e dell'etica della cura, che in modo speculare assolutizzano, rispettivamente, l'autonomia e la dipendenza quali cardini della condizione umana [...] spostare l'attenzione da ciò che separa disabili e non disabili da ciò che invece li accomuna [...] è stato detto giustamente che i "diritti dei disabili" non dovrebbero essere un'aggiunta specifica alla lista dei diritti civili, bensì il loro pieno compimento"
(M. Zanichelli, Persone prima che disabili. Una riflessione sull'handicap tra giustizia ed etica, Queriniana, Brescia, 2012, pp. 60 - 61)
Riflettiamoci sopra.
Non è che, per caso, stiamo separando gli uni e gli altri, deducendo, di conseguenza un diritto separato? Ma il problema di partenza non era appunto evitare la separazione tra "disabili" e "non disabili", tra "malati" e "sani", tra "anormali" e "normali"? Cos'è successo? Cosa è andato storto? Come mai abbiamo reificato una nuova condizione umana in luogo dell'unica comune? Perché altri rispetto al semplice noi?
Tracce - non traccie - di una riflessione in progress ...
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