Cerca nel blog

giovedì 2 agosto 2012

Le vie del logos argomentativo ....





F. Mazzocchio, Le vie del logos argomentativo. Intersoggettività e fondazione in K.-O. Apel, Mimesi, Milano, 2011, pp. 224, € 18,00.

Il presente volume di Fabio Mazzocchio, edito da Mimesis, affronta il confronto serrato condotto da Karl Apel con il pensiero postmoderno contemporaneo intorno a due argomenti ben precisi, e delimitati: (a) l'intersoggettività; e, (b) la fondazione.

Personalmente ho conosciuto, e frequentato, l'autore in due occasioni particolari del mio percorso, umano e professionale, prima presso la SISS, nel biennio 2002 – 2004, e successivamente nel corso del XVIII Ciclo del Dottorato di Ricerca in Filosofia presso lo stesso Ateneo palermitano. Ora, la lettura del suddetto volume aumenta in me il rammarico di non aver conosciuto l'autore in misura maggiore di quanto, invece, io non abbia fatto. Vero è che non si piange sul latte versato, ma l'amaro in bocca resta lo stesso.

Il testo si scandisce in due capitoli, il primo dedicato alla “difesa della ragione” (p. 15 e sgg.), e il secondo dedicato, invece, alla “fondazione trascendental-pragmatica” (p. 99 e sgg.). Infine, v'è anche una conclusione che tira le somme del discorso articolato in precedenza.

L'interesse prioritario che dovrebbe condurre il lettore è l'originalità della risposta che Apel fornisce ad una delle questioni “classiche” del discorso filosofico in generale: perché essere razionali? La strategia di risposta non consiste in un mero recupero di una certa tradizione anteriore agli ultimi esiti del XX secolo, ma un fare con questi ultimi i dovuti conti. Solo così appare possibile riscoprire la ragione, operandone una rifondazione, stavolta su basi innovative, trascental-pragamtiche. In questo modo, il logos del classico discorso filosofico viene “salvato”, facendolo passare attraverso le rapide della semiotica moderna, del linguistic-turn novecentesco, e, infine, last but not least, attraverso il “depotenziamento” postmoderno della teoria. Questo perché l'orizzonte fondativo del logos può essere riabilitato solo sotto la forma di una lingua (p. 23 e sgg.) capace di render conto del processo conoscitivo umano evitando, però, nel contempo, anche il solipsismo di certe costruzioni moderne. D'altra parte, sarebbe da sciocchi far finta di niente davanti all'epistemologia novecentesca, con Khun e Popper, davanti alla riscoperta della semiotica, da parte di Peirce, davanti all'erosione del pensiero, con Heidegger, Gadamer, Wittgenstein, al rovesciamento di prospettiva, nei rapporti di forza, tra “pensiero” e “linguaggio”, con Austin, Searle, all'inibizione della teoria, con Derrida, Deleuze, Lyotard, Foucault, Rorty. Allo stesso tempo, però, Apel si fa profondo interprete del bisogno di non ignorare gli apporti preziosi, questi davvero irrinunciabili, della riflessione moderna precedente. Ecco allora prendere forma il suo progetto di recupero della filosofia prima, sia pure in una veste accorta e progredita, dopo il successivo sviluppo della disciplina nei secoli successivi. La lingua umana, pertanto, non rappresenta soltanto una realtà a lei esterna, ma vi contribuisce, non nel senso di un mero, quanto vago, costruzionismo, ma nel senso di costituire un orizzonte trascendentale di senso (p. 39). La scomparsa del soggetto, da questo punto di vista, non costituisce affatto un problema, ma un mero lemma conseguente alla svolta trascendentale della filosofia contemporanea. L'implosione della ragione durante il secolo appena passato, si staglia davanti alla proposta apeliana di una riscoperta di una “tavola di valori condivisi” (p. 45), di un orizzonte universale sulla base della comune ragionevolezza degli uomini. Il logos del discorso è così distante dall'astratto logos della filosofia, si fa carico della preziosa e fragile finitudine umana, incarnata in corpi e in epoche storiche. Sia la natura “aperta” all'esterno del discorso sia la natura interpersonale del gioco discorsivo, e razionale, cui ciascuno, liberamente, prende parte, garantisce l'intersoggettività, evitando arroccamenti pericolosi in vetuste, quanto impossibili, “torri d'avorio”.

Ecco, dunque, ripristinato il valore supremo, ed universale, della soggettività, evoluzione ultima del soggetto moderno: la costruzione del significato, all'interno del discorso tra esseri umani ragionevoli, non è dato prima dello stesso scambio comunicativo, ma “si costituisce solo nel rapporto comunicativo tra parlanti” (p. 79). Si dà verità, allora, solo all'interno di una dimensione pubblica del discorso. Giocare pubblicamente al discorso vuol dire pertanto scorgere un fondamento inaggirabile su un “dispositivo di 'autoregolazione'” (p. 93) che se da un lato ci espone al gioco infinito del dialogo, dall'altro “ci introduce nel territorio del senso” (p. 93). Essere aperti al dialogo e prendere parte al discorso ci caratterizza proprio come esseri umani razionali.

Lo sfondamento del soggetto, quale orizzonte ultimo del pensiero, apre alla possibilità di scorgere una possibile fondazione davvero ultimativa oltre l'orizzonte aristotelico del principio di non contraddizione (p. 100 e sgg.). D'altra parte, se vogliamo mediare con le punte più avanzate della polemica postmodernista, bisogna allora prendere congedo da pretese assolutistiche sul firmissimum principium poiché tale atteggiamento si configurerebbe esattamente come una fuga dal gioco, rischioso certo, del dialogo, aperto e pubblico. Non si tratta, però, di rinegoziare la natura e il significato del divieto di contraddizione, ma evincere nella dimostrazione per confutazione di Aristotele una possibilità, nuova, ed anche “antica”, di fondazione trascendental-pragmatica della ragione umana. L'elenchos, infatti, si costituisce quale “dimensione performativa dell'agire linguistico” (p. 119) di difensore e di negatore del principio stesso. Siccome, però, la sua dimostrazione presenta un carattere linguistico e comunicativo, ecco che tale dialettica funziona quale agire linguistico che vincola i parlanti al rispetto di certe regole e alla costruzione attiva di un significato condiviso (p. 135).

Allora Apel non si pone nei termini di una comune posizione metafisica. Anzi, fa proprio un certo orientamento post-metafisico per operare un “recupero di alcune mosse caratterizzanti il sapere filosofico fin dalle sue fasi aurorali e di alcuni suoi tratti classicamente costitutivi” (p. 140). Sotto questo aspetto, le movenze del divenire elenctico legano assieme “impossibilità della contraddizione, la necessità del senso e l'essenza comunicativa dell'uomo” (p. 145). Il fondamento non va cercato altrove rispetto all'esercizio del logos stesso, ma è il suo stesso esercizio a costituirlo (p. 156).

Queste riflessioni segnano lo scarto tra la “comunicazione” di Apel e l'analoga “comunicazione” di Habermas. Il primo, infatti, ci spinge non solo a rilevare l'importanza della filosofia quale “critica permanente e istanza veritativa” (p. 175), ma anche “a trovare in essa la specificità e l'inaggirabilità della meta-istituzione costituita dal gioco argomentativo” (p. 175).

Ciò, ovviamente, non esime certo dal porre comunque alcuni rilievi critici sulla proposta apeliana. L'autore, in modo particolare, insiste sull'eccessiva fretta con cui Apel si libera “del dispositivo metafisico” (p. 187), consistente nel tentativo di ri-pensare il logos come interazione umana ma rinunciando “all'unità trasparente e all'autosufficienza della ragione” (p. 187) senza, però, privarsi anche degli elementi dell'universalità e della criticità. Pertanto, l'inaggirabilità della fondazione, per come è caratterizzata l'etica del discorso di Apel, se evita certamente di ricadere nella metafisica dogmatica, resta problematica per questioni che il filosofo tedesco omette di considerare.

Tuttavia, resat da rilevare come tale inaggirabilità non “si pone fuori dalla storia” (p. 192), ma descrive il dispositivo che “assicura le possibilità stesse del nostro comprenderci in quanto uomini” (p. 192): il logos argomentativo.

Nessun commento:

Posta un commento

Se desideri commentare un mio post, ti prego, sii rispettoso dell'altrui pensiero e non lasciarti andare alla verve polemica per il semplice fatto che il web 2.0 rimuove la limitazione del confronto vis-a-vi, disinibendo così la facile tentazione all'insulto verace! Posso fidarmi di te?