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giovedì 8 marzo 2012

Briciole di SSFO 1.0...

Parmenide


(immagine tratta da: http://www.parmenide.info/Busto%20di%20Parmenide.jpg)


Ed eccoci a … Parmenide, il “venerando e terribile” per come lo definisce Platone, uno strambo ide filosofo posteriore. Perché venerando? Beh, perché era anziano, ingombrante, era un’autorità nel suo campo, bisognava fare i conti con la sua dottrina, addirittura “rivoluzionaria” rispetto a quella di Talete o di Anassimandro o di Anassimene o di Eraclito o di Pitagora … E per lo stesso motivo “terribile”: per come ha sistemizzato i rapporti tra “pensiero” e “realtà” (che lui chiama suggestivamente essere), era impossibile uscirne, tentare vie nuove, trovare “vide di fuga” da questa impostazione. Platone ne è cosciente tanto che si propone di compiere un “parricidio”, un’uccisione metaforica della filosofia parmenidea, al fine di poter parlare anche del divenire, della contraddizione, del mutamento, della pluralità, del molteplice … per alcuni Platone compie un parricidio mancato nel senso che la sua distinzione tra “uno” e “moltelice” non supera l’ontologia parmenidea. Opinioni … de gusti bus
Parmenide visse tra il 550 e il 450 a. C. a Elea, una colonia greca in Campania.
Non staremo certo qui a parlare diffusamente, bastano poche informazioni. Secondo Parmenide di fronte all’uomo si aprono due vie: il sentiero della verità, basato sulla ragione, che ci porta a conoscere l’Essere vero, e il sentiero dell’opinione, basato sui sensi, che ci porta a conoscere l’Essere apparente.
Mentre i sensi possono solo ingannarci, conducendoci solo ad un sapere effimero e fallace, esclusivamente la ragione ci consente di conoscere la verità. E questo solo se piuttosto di affidarci ai sensi, ci affidiamo alla ragione. Quest’ultima, infatti, formula l’unica realtà che è possibile e pensabile: l’essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere. Quindi, solo l’essere esiste (ed è pensabile), mentre il non essere non esiste (e non è nemmeno pensabile).
Ora come mai Parmenide chiama la ‘realtà’ essere? Al palato dei moderni sarebbe questa la parola da usare, ma sulla questione c’è un limite semiotico: l’eleate non parla mai di essere, ossia di infinito sostantivizzato del verbo essere, ma sottintende sempre una delle due vie. Allora, il discorso diverrebbe che la via dell’è è pensabile. Sarà Aristotele, un altro strambo ide posteriore, a compiere il salto definitivo lungo questa strada interpretativa.
Da questa massima fondamentale, Parmenide deriva, su una base puramente astratta e rigorosa, gli attributi dell’essere: ingenerato (se fosse generato, allora ci sarebbe stato un momento in cui l’essere non era); imperituro (se perisse, allora ci sarebbe un momento in cui l’essere cessa di essere, diventa cioè non – essere); eterno (perché se fosse nel tempo ci sarebbe stato un momento in cui in passato l’essere non era); immutabile (perché se cambiasse ci sarebbero momenti in cui l’essere cesserebbe di essere); immobile (perché se si muovesse ci sarebbero momenti in cui l’essere non è); unico (perché altrimenti sarebbe talvolta non – essere); omogeneo (perché in caso contrario ciò implicherebbe non – essere); finito (perché se fosse infinito sarebbe insieme essere e non essere, condizione d’imperfezione che, invece, non si addice all’essere).
In soldoni, per Parmenide è lecito pensare e parlare solo dell’essere, ossia della realtà che è (coglibile solo attraverso la ragione, mai attraverso l’esperienza sensibile). Tutto il resto è chiacchiera, vuote parole, cose insensate, fantasie … d’altra parte, pure il senso comune concorderebbe con questa dottrina: se qualcosa non è, perché pensarla e/o parlarne?
La prossima volta vedremo come anche altri autori cercarono di andare oltre Parmenide, magari recuperando in parte l’eraclitismo e coniugandolo con il “venerando e terribile”.

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