"Il libro di Giobbe non è un
testo di antropologia del dolore […]; non è un manuale di teodicea […]; non è
un saggio etico sulla pazienza […]. Siamo, invece, in presenza di un discorso
sulla fede autentica che esige il superamento di ogni concezione «economica»
del credere, così come propongono le teorie retributive degli amici […]. La
fede è libertà e non risponde a canoni schematici di giustizia e di ricompensa
e di logica immediata"
(G, Ravasi, Questioni di
fede. 150 risposte ai perché di chi crede e di chi non crede, Mondadori,
Milano, 2010, pp. 159 – 160)
Cosa ci dice la narrazione biblica su Giobbe? Che fosse un bestemmiatore? Che fosse un peccatore? Che subisse ingiustamente disgrazie gratuite? Che non fu capito né da moglie né da amici? Cosa ci dice veramente?
Giobbe rappresenta in chiave lirica la dimensione stessa dell'umano, quel che siamo tutti noi, vale a dire uomini tentati dalla fatica di abitare questo mondo pur dovendo non distogliere mai lo sguardo dal ponte che collega questo opaco atomo del male al mondo di là ...
Le prove della vita abilitano la libertà nell'esperienza di fede jobica sino al punto di entrare in dialogo diretto con Dio, e, nello scambio vivo di battute e parole, riuscire a trovare lenimento per le proprie sofferenze terrene, consolazione per le proprie tribolazioni, incontro con la persona divina, al di là dei propri miseri dubbi, al di là della gretta tentazione mondana della moglie, al di là dello sterile correlare punizione a colpa commessa da parte degli amici ...
Giobbe esperisce sulla propria carne l'esperienza del malum mundi, ma non per questo la sua fede viene meno.
E di questa fedeltà trova premio presso Dio.
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