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domenica 2 settembre 2012

Obnubilamento da mass – media … ovvero, sull'omologazione (di comodo)


(immagine tratta da: http://m2.paperblog.com/i/99/996459/il-cardinale-martini-il-valore-di-un-legame-t-L-cKoYLr.jpeg)



Il Card. Martini è morto. Questa la notizia in sé. Ma qual è il significato che, socialmente, vi si è costruito sopra? Ecco, a mio modesto modo di vedere, il punto cruciale. Da ogni parte si è registrata un'ovazione postuma, meritata sì ma “strana” per quanto concerne tempi e modalità. “L'uomo del dialogo”, l'uomo “del rispetto”, l'uomo “vigile sino alla fine”, un uomo “cosciente sino alla fine”. E poi “ha rifiutato l'accanimento terapeutico”. Strano. È tutto molto strano. E per (almeno) due motivi, diversi ma, forse, in qualche modo occulto, connessi: (1) un uomo di fede è di per sé (e se non lo è, dovrebbe farsi un sano e accurato esame di coscienza) un “uomo del dialogo”; (2) un uomo di fede è chiamato a scelte coerenti, specie davanti all'orizzonte ultimo e definitivo della morte. Perché questi due motivi rendono strana la vulgata mediatica attuale? Perché nascondono l'uomo di fede, nel binomio indissolubile di una scelta radicale e irrevocabile, il vivere per Dio, dietro etichette “di comodo”: il dialogo; la sapienza; gli studi; l'arguzia; l'eloquenza; la sagacia; l'operosità; etc. etc. E cosa resta senza? Solo un uomo, appunto. Il soggetto del quale poi poter declinare la qualità che più fa piacere. Ma così facendo si fa solo torto al Card. Martini il quale vorrebbe essere ricordato per quello che era: un uomo sì, ma di fede. In che cosa? Nel Dio rivelato e tramandato dalla Madre Chiesa. E forse questo sì risulta “strano”, “disturbante”, “equivoco”, “inutile”, “superfluo”, nel senso che nel Paese, forse, al mondo più ipocrita, disturba che un uomo così potesse far parte integrante e coerente della Chiesa Apostolica Romana. Può un uomo così grande essere parte di Santa Romana Ecclesia? Questo il pensiero di tanti, l'uomo del dialogo per tutti … etichetta di comodo e retropensiero rimosso. E dovrebbe far riflettere questa curiosa scissione tra la dimensione pubblica dell'uomo (del dialogo) Martini e la dimensione interiore dell'uomo (di fede) Martini. Ma presentarlo nella sua veste edulcorata di uomo del (solo) dialogo, lo rende simpatico a (quasi) tutti, non imbarazzando, di conseguenza, la sua radicale e completa adesione alla tavola dei valori di Madre Chiesa. Eh sì, perché o Martini lo si apprezza integralmente, uomo del dialogo perché uomo di fede, o Martini lo si apprezza parzialmente, lodando l'uomo del dialogo che fu (anche ignorando però le ragioni di fede che lo spinsero sulla difficile strada del confronto, con atei, con altre religioni, e così via … d'altra parte non diceva questo anche il Concilio Vaticano II? Ah, questo sconosciuto!)

Ma il preferire una versione “laica” del Card. Martini oltre ad essere più facile da mandar giù, consente anche di porre in questione la sua stessa coerenza davanti alla morte, magari anche lasciando intravedere delle crepe tra la dottrina ufficiale della Chiesa e la condotta singola di suoi esponenti. Incoerenza, però, assente, nonostante l'erroneità, e la profonda confusione generale che vi regna sopra, della notizia acclusa “ha rifiutato l'accanimento terapeutico”. Si crede infatti che l'etichetta presente “accanimento terapeutico” comprenda molte cose, dall'eutanasia attiva (operare concretamente per anticipare la morte di un soggetto) a quella passiva (omettere di operare concretamente per curare qualche malattia grave e debilitante di un soggetto), dal rifiuto delle cure in sé stesse alla dignità del malato. L'opinione pubblica italiana al riguardo è mal informata: accanimento terapeutico vuol dire solamente prolungare arbitrariamente una vita umana nel momento in cui, invece, il naturale decorso della stessa si è ormai concluso. Tutto qui. Il Card. Martini non ha chiesto l'eutanasia né tantomeno ha chiesto di essere lasciato morire. Al riguardo, si percepisce una sorta di deja vù. Infatti, quando morì il Pontefice Giovanni Paolo II si disse tempo dopo che chiese insistentemente di essere lasciato andare e che gli furono somministrati antidolorifici. Qual è l'intento neanche tanto velato di una simile strategia comunicativa? Mettere in luce (presunte) incoerenze nel Magistero della Chiesa la quale da un lato proibisce tali metodiche (eutanasia; accanimento terapeutico; etc.) e dall'altro le tollera per alcuni suoi “alti” esponenti. Ma la confusione al riguardo è massima: rifiutare delle cure che non hanno alcun beneficio per l'ammalato, prolungandone artificialmente l'esistenza, non sono uguali al far di tutto perché l'ammalato cessi di soffrire morendo oppure astenersi da cure, che potrebbero essere efficaci, lasciando che il malato muoia simpliciter. La memoria può facilmente riandare a due episodi della recente cronaca che hanno fatto, diciamo, “giurisprudenza” in merito.
Poteva il Card. Martini rifiutare l'accanimento terapeutico senza venir meno alla coerenza di vita con la dottrina della Chiesa? Sì. Poteva il Card. Martini rifiutare l'accanimento terapeutico, chiedendo anche di accelerare l'avvento della morte, senza venir meno alla coerenza di vita con la dottrina della Chiesa? No. Ma questa è solo Accademia perché questa fattispecie non s'è verificata.
Allora, smettiamola di guardare a singole parti dell'uomo Martini, e cominciamo a guardarlo nella sua integrità di uomo di fede. Altrimenti, non si comprenderebbero né la sua incredibile fama né tantomeno il fascino che la sua figura, coscientemente o meno, ha esercitato su tanti (credenti o meno, pensanti o meno, come direbbe lui stesso). Condizione questa sulla quale parrebbe opportuno quantomeno meditare, in un senso che almeno pallidamente si avvicini a quello da lui propugnato e difeso in vita (stare in comunione con Dio).
Ma le strade degli uomini sovente sono diverse da quelle di Dio.


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