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martedì 1 gennaio 2013

(Neo)realismo ... che la disputa continui!


(immagine tratta da: http://libreriarizzoli.corriere.it/is-bin/intershop.static/WFS/RCS-RCS_PhysicalShops-Site/RCS/it_IT/LibreriaRizzoli/big/978/8/8/8/9788884207142g.jpg)



Nella divertente diatriba tra teorici del pensiero debole e nostalgici del buon caro realismo, penso che sia possibile trarre alcuni elementi utili per evitare che la realtà divenga ostaggio della sua stessa conoscenza, tramutandosi, volente o nolente, in mera interpretazione.

La faccenda è divertente perché la si gioca tutta all'interno della fazione debolista, gli uni contro gli altri o perché hanno tradito la realtà o perché hanno tradito lo spirito originario.

A me, che non ho mai fatto parte di questa corrente, il vantaggio di poter dire la mia senza pesanti oneri e/o condizionamenti di sorta da precedenti appartenenze alla fazione in questione.

Le riflessioni che contingentemente svolgerò in questa sede hanno come oggetto la  (quasi)risposta offerta da Pier Aldo Rovatti al voltagabbana Ferraris che nel Manifesto aveva definitivamente preso le distanze dalla fazione cui pure a suo tempo aveva aderito nella quale ravvisa almeno tre fallacie (che non ripeto qui, rinviando ad un altro post nel quale le avevo preso in considerazione). E si sa che i tradimenti fanno male. Ma non a chi tradisce ...

Rovatti, nel suo Inattualità del pensiero debole, descrive nella maniera seguente il pensiero debole:

1. "abbassare lo sguardo e di far proprio quel benevolo riso femminile" (p. 8).

La filosofia è qui vista come arrogante, superba, violenta e, al contrario, dovrebbe essere più dimessa, più umile, più "debole", facendo proprio l'atteggiamento della ... servetta tracia! Quante inutili parole e metafore si sono sprecate intorno a questa figura! Ma lasciamola ridere, e torniamo all'elemento (1). Qual è la cosa che non torna nell'invito di Rovatti? Semplice, la presupposizione iniziale che è del tutto inverificabile: quando La filosofia è superba? quando la filosofia è violenza? E in quale scala? Rispetto a quale ordine di misura? Pardon, essendo un'interpretazione, non è suscettibile di verifica. Ma, allora, perché dovremmo prenderala seriamente in considerazione?

Veniamo alla seguente altra opinione:

2. il pensiero debole cerca di mettere in gioco "in modo nuovo il rapporto tra basso [...] e alto [...], e ci dice che il nostro compito è quello di riuscire a stare in una condizione paradossale, abitare il paradosso, il che significa: riconoscere le relative contraddizioni, non pretendere di scioglierle in fretta, accettare la sfida di un equilibrio sempre instabile" (p. 9).

La sfida è alta e, molto probabilmente, anche sciocca: a chi serve il paradosso? E a chi giova il restare nelle contraddizioni? Forse che la serva tracia resti nella contraddizione anziché riderne? Non trovo utile quest'altro invito posto in essere dal pensiero debole (d'ora innanzi: PDB), anche se ne riconosco lo stile che tanta influenza ha esercitato sugli ingegni filosofici.

Veniamo alla seguente opinione:

3. il pensiero debole è oggi inattuale per via della sua natura di pungolo, di disturbo "per le così dette anime belle" (P. 9).

Davvero il PDB stimola il pensiero? O piuttosto ne eccita l'immaginazione e solo quest'ultima, senza, cioé, produrre vera conoscenza intorno alla realtà? Da questo punto di vista, preferisco di gran lunga il proditor Ferraris!

Veniamo ora a quest'altra opinione:

4. Ferraris semplifica (e troppo) la natura del PDB (p. 10 e sgg.).

Forse è vero, ma non è paradossale che chi abita il paradosso lo rifiuti? Di semplificazione, intorno alla realtà, in semplificazione, intorno alla conoscenza sulla conoscenza della realtà, il passo è quasi automatico. Perché non riconoscerlo? Perché lagnarsene? Forse PDB e postmoderno non sono la stessa cosa, ma di certo respirano la medesima "aria di famiglia": porre al centro della riflessione coeva "la questione del potere" (p. 11). Questo rigurgito freudiano, in salsa marxista, non è, forse, una mera semplificazione della complessità reale in funzione di una categoria ideale? Peraltro, non è forse essa stessa una sovrastruttura? Ma il PDB ama i paradossi, ne subisce a tal punto il fascino perverso che desidera rimanervi dentro ...

A questo punto, però, il discorso diventa interessante:

5. espunta dal PDB la questione del potere, il PDB stesso diventa una "barzelletta" (p. 11).

La filosofia è certamente molto più del mero potere, e dei relativi rapporti tra chi sta su e chi sta giù. Di coneguenza, diciamo pure che la questione del potere si toglie da sé dall'agone dialettico, rivelando il volto paradossale e contraddittorio del PDB: una barzelletta! Lo si può negare? Chi ama tanto la contraddizione al punto da contraddirsi e volervi restare dentro, non suscita forse, e giustamente, il sorriso della servetta tracia? E non solo di lei, ci mancherebbe ...

Consideriamo ancora quest'altro elemento:

6. il PDB non nega la realtà, ma si affida del tutto alla conoscenza che possiamo avere di quest'ultima.

Peccato davvero in tal caso che tale conoscenza sia mediata, nel senso che nasconda dietro un complesso di categorie lo stato di cose ... ecco il nemico mortale del realismo (ri-)scoperto da Ferraris: sostituire alla conoscenza di cose, una mera conoscenza di conoscenze ... A queste condizioni certo non può dirsi che de jure il PDB neghi la realtà, ma può giustamente affermarsi che il PDB dilegui de facto quella stessa realtà nella quale, a parole, asserisce di credere. E questo è paradossale ... ma se lo è, a quale specie di barzelletta stiamo prestando attenzione?

Veniamo ancora alle seguenti riflessioni di Rovatti, che estrapoliamo dall'intervista di Di Grazia.

7. il PDB metta in guardia dalle grandi categorie classiche, come verità, perché, lette sotto la categoria del potere, rivelano un oscuro disegno imperialista che, in nome dell'unità teoretica, schiaccerebbero qualsiasi differenza.

E' un discorso vecchio e, a dirla tutta, poco interessante: se prendiamo congedo dalla verità, ossia da una responsabilità intorno alla realtà, di cosa parliamo? Oppure, per dirla più crudemente: tolta la verità, che parliamo a fare? Ma Rovatti insiste, offrendo la sua "etica" minima: pudica, aperta agli eventi concreti, etc. Ma è, forse, l'etica minima contrapposta de jure all'etica teoretica? Credo di no e che, piuttosto, in Rovatti operi un pregiudizio: il credere, e per partito ideologico preso in partenza, senza cercare riscontri o sconferme, che il logo filosofico violenti la realtà fagocitandola dentro un insieme rarefatto di categorie ... è vero tutto ciò? Non importa se lo sia o meno, importa invece ch'io ne meni una versione narrativa suadente e suggestiva! Dopo la rethoric turn, Rovatti fa suo il verbo postmoderno: preso congedo da qualsiasi possibile assenso (sincero) alle metanarrazioni, propendiamo senza predeterminazioni ora per l'una ora per l'altra opzione morale, spinti a ciò dal sentimento e dall'immaginazione ... potrei pure concordare in linea di principio con l'invito alla modestia, ma così posto, mai discusso, mai giustificato, e con tanta immodestia, proprio non me la sento di accettarlo!

Ma andiamo avanti.

8. non è ai fatti naturali che dobbiamo volgere lo sguardo, ma ai fatti sociali i quali "non sono per nulla neutri" (p. 27).

Questo mi pare un rimestare acqua nel mortaio: prima si nega di voler negare importanza ed esistenza ai fatti, ora però si opera una sostituzione di questi ultimi con i 'fatti sociali' ... e cosa sarebbero di grazia? Pardon, ma certo: la cultura! Ovvio, il dispositivo di potere che si cela dietro tutti rapporti sociali! Strano modo di render conto delle cose e strano modo di giustificare il proprio incedere, davvero! La cultura è violenza? è dominio? è potere? Questa è sicuramente un interpretazione, una tra le tante certamente possibili, ma dobbbiamo davvero prestarle fede? Credo di no, anche se così facendo il PDB viene declassato a ... barzelletta! Ma non si additava il modello (positivo) della servetta tracia? Allora, che si rida!

Procediamo oltre, così senza ragionar di lor ...

9. il PDB è un "'pensiero positivo'" che oppone resistenza contro ogni nuova barbarie (p. 30).

Che si faccia un uso non neutro della parola 'positivo' mi pare ovvio, ma non può dirsi altrettanto sulla ostentata funzione di sbarramento all'avanzamento della barbarie. L'etica minima non disarma la potenza retorica dei violenti, ci vuole ben altro, e quanto meno proprio quella Ragione dalla quale prontamente, ed inopoinatamente, i debolisti hanno preso definitivo (?) congedo. Aver disarmato la ragione vuol dire essere inerme innanzi a chi è più forte di noi, e ciò tralasciando l'ipersemplificazione del discorso che si sta portando avanti ...

10. essendo strumento di resistenza al potere, il PDB è anche una resistenza al "potere stesso della filosofia" (p. 36).

Congegno retorico datato e fondamentalmente sterile: depotenziata la ragione, che senso hanno più queste parole?

Andiamo oltre.

11. la recente (ri-)scoperta della realtà non è un tornare indietro (dal debolismo non si può prescindere ...), ma "un orizzonte che abbiamo allontanato nel futuro" (p. 38).

Fuggendo dalla libertà promessa dal PDB, lo abbiamo respinto vagheggiando anacronistici ritorni all'ordine, alla stabilità, alla verità, alla ragione ... che sciocchi! Abbiamo solo posticipato in un futuro imprecisato gli agognati frutti della critica permanente ... già, una critica, però, depotenziata, senza verità, non razionale ... la krisis da scelta è diventata arbitrio!

Vediamo anche come ...

12. il PDB è inattuale non perché ha fatto il suo tempo, ma perché siamo diventati conformisti (p. 47 e sg.).

Secondo me il PDB è attuale proprio per via della sua progettata inattualità buona per ogni tempo. Scorgendo il conformismo dei nostri tempi, allora, recupera appeal proprio perché si presenta come contro - strumento, come critica, come elemento perturbatore, come pungolo, come resistenza, come ... etc. Ma porta anche buoni frutti? A me, detto con estrema franchezza, pare fatto della stessa sostanza dei nostri tempi, ossia conformismo! Non è forse una moda culturale? Allora, francamente, se ne può fare benissimo a meno senza soffrirne!

Vediamo ancora che ...

13. il PDB suggerisce la necessità che i rapporti di potere, la vera essenza della realtà, siano attraversati da una soggettività capace di un doppio movimento: "disinvestirci dell'illusione" e "caricarsi del compito di una continua 'alterazione' o trasformazione in 'altro'" (p. 62).

Se il PDB vuol essere una medicina alla patologia del pensiero, davvero ha senso affermare che la medicina è peggiore del male! Quanto sono ingannevoli queste parole, depurate della loro natura ideologica! La realtà non è la mera coordinazione di meri rapporti di potere così come il pensiero non per forza deve scovare illusioni, trucchi, inganni e sublimare le cose in altro per scorgervi la trama segreta di potere ... penso che quanto ci hanno insegnato i teorici del sospetto sia sostanzialmente questo: tanto più è possibile che dietro qualcosa ci siano interessi e moventi segreti quanto più è possibile che dietro non ci sia proprio nulla di tutto ciò! é facile, comodo, snob, credere che una segreta legge dimori dietro la facciata delle cose, ma penso che sia più una patologia della percezione che una legge reale. Anche perché consiste pure nel sostituire alla realtà delle cose, una loro controfigura concettuale del tutto inverificabile. E, per ciò stesso, del tutto verosimile, suadente, suggestivo, convincente, affabulatorio, ...

Cosa resta, pertanto, del PDB? Quel che lo stesso Rovatti asserisce: una barzelletta, uno scherzo, un gioco di poco conto, un tono dimesso superbo, e così via. Come a dire, non ragioniam di loro ma guardiamo e passiamo.

Anzi, no. Prendiamo pure esempio dal modello positivo addotto: ridiamoci sopra. Senza complessi, senza sensi di colpa.

E, soprattutto, senza prendere troppo sul serio la chiacchiera circa l'abitare il paradosso, la contraddizione. Una volta esaurito il riso, sbarazziamoci pure velocemente dell'uno e dell'altra!

Bibliografia

M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma - Bari, 2012.
P. A. Rovatti, Inattualità del pensiero debole, Forum, Udine, 2011.





Alessandro Pizzo

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