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lunedì 22 luglio 2013

Il matrimonio omosessuale è un diritto? FAQ

Il matrimonio omosessuale è un diritto? FAQ


(immagine tratta da: http://ioamolitalia.it/public/immagini/_resized/matrimonio-omosseuale_530X0_90.png)

Sollecitato in tal senso, offro una versione più "divulgativa" del precedente post (http://alessandropizzo.blogspot.it/2013/06/il-matrimonio-e-un-diritto.html). Spero sia apprezzato almeno tanto quanto lo è stato il precedente.

FAQ

Come mai per i "matrimoni gay" non può parlarsi di "diritto" rispetto ai soggetti che vorrebbero contrarlo?

L'unione tra due persone eterosessuali, libere e in possesso della capacità giuridica (18 anni), è inquadrata, dal Codice Civile come un negozio giuridico, in forza del quale un uomo e una donna dichiarano di volersi prendere rispettivamente come marito e moglie, e come un rapporto dal quale discendono conseguenze di natura e personale e patrimoniale. Questa è la famiglia, rigidamente eterosessuale.

Cos'è dunque la famiglia?

La famiglia è quindi l'effetto del matrimonio eterosessuale, ossia tra due persone di sesso differente, le quali contraggono unione agli occhi della legge, impegnandosi reciprocamente e conseguendo da tale unione precisi effetti civili, ossia patrimoniali.

Chi sono i coniugi?

Il Codice Civile declina in concreto l'inquadramento che della materia offre la Carta Costituzionale la quale (art. 29) parla nei termini di una società naturale fondata sul matrimonio e sulla parità, morale e giuridica, dei coniugi.
Nello stesso Codice peraltro si parla sempre di "marito" e di "moglie" ad indicazione del ruolo sociale attribuito ai singoli in quanto rispettive espressioni di due sessi differenti.
Ma il matrimonio è un diritto? 

Se lo è, sorgono dei dubbi, più o meno legittimi, sull'esclusione di alcuni soggetti dal poterlo liberamente contrarre. Ma il matrimonio eterosessuale tutto è fuorché un diritto nel senso che i soggetti interessati, un uomo e una donna, possono liberamente contrarlo ma non viene affatto loro garantita la relativa fruizione. 

E come mai due persone dello stesso sesso non potrebbero "sposarsi"?

Il nostro Codice Civile, in esecuzione del dettato costituzionale, stabilisce come i due contraenti il matrimonio assumano nuovi stati personali, di marito, nel caso del contraente uomo, e di moglie, nel caso del contraente donna. Ammesso, e non concessa, la possibilità di matrimoni per esponenti dello stesso sesso, sorge il problema dei relativi stati personali addotti dai due soggetti dello stesso sesso uniti in matrimonio.

Ma se lo vogliono, negarlo non è la violazione di un diritto?

V'è, nella cultura moderna, un perdurante e imbarazzante equivoco il quale porta a pensare che qualsiasi desiderio personale, o, se si preferisce, capriccio, sia un diritto, ossia una pretesa personale legittima, e, quindi, meritevole di tutela: da promuoversi da parte della propria collettività di appartenenza. Il Codice Civile non qualifica la fattispecie del "matrimonio" nei termini di un diritto soggettivo, ossia di una pretesa legittima da promuovere, ma di un contratto stipulato liberamente tra due parti.

Se è equivoca la nozione comune di diritto, come mai la questione dei matrimoni omosessuali è irta di equivoci?

Ritengo come nel caso presente l'equivoco sia doppio: 1) si equivoca sul significato, in termini di diritti, della parola 'matrimonio'; e, 2) s'intende il matrimonio tutta quella serie di effetti giuridici e patrimoniali che il matrimonio come rapporto comporta. In realtà, infatti, è l'esclusione da questi effetti per le coppie dello stesso sesso che provoca reazione e, in alcuni casi, porta a parlare di discriminazione o di violazione di diritti dei soggetti. Ma è concettualmente infondato parlare del matrimonio omosessuale nei termini di un diritto: non lo è per le coppie eterosessuali, perché dovrebbe esserlo per quelle dello stesso sesso?

Allora perché gli omosessuali vi insistono?

In genere, essi argomentano più o meno nella maniera seguente:

Se i diritti non discendono dal tipo di coito che viene realizzato liberamente da due persone di diverso sesso, perché negare gli stessi diritti a due persone dello stesso sesso le quali liberamente decidono di dedicarsi al coito?

Esaminiamo questa argomentazione.

Essa presenta due possibilità diverse in equilibrio simmetrico: il coito eterosessuale e il coito omosessuale. In forza di questa simmetria, vieta qualsiasi differenza per relativi trattamenti giuridici pena la discriminazione degli uni come degli altri. Ma siccome nel primo caso sono garantiti dei diritti, in genere di natura patrimoniale tra i coniugi, e nel secondo caso no, ecco che scatta il meccanismo della rivalsa: siamo in presenza di una discriminazione in quanto ad alcuni vengono negati gli stessi diritti.

L'argomentazione è però erronea perché si contraddice dal momento che finisce con il legare il godimento di determinati diritti alla pratica del coito piuttosto che legarli alla personalità di chi la pratica. Se presa sul serio, allora, tale argomentazione finisce con lo spostare la titolarità del diritto in quanto tale dall'essere una persona al praticare una determinata azione. Fatto questo, dato che il desiderio soggettivo viene equiparato ad un 'diritto', si sostiene come nessuno possa impedirlo.

Dunque, sarebbe un diritto?

Se davvero il matrimonio è un diritto questo non discende dal fatto che un uomo e una donna pratichino il coito, ma dal fatto che decidono liberamente di unirsi nel rapporto giuridico del matrimonio. Il coito, per dirla altrimenti, è secondario rispetto alla liceità della contrazione di matrimonio. Peraltro, gli effetti personali e patrimoniali, cruccio delle coppie omosessuali, non derivano dal tipo di coito che viene praticato, etero o omo, ma dal matrimonio come rapporto (tra due persone di sesso differente). Questo perché non ha senso far discendere una conseguenza giuridica, peraltro delicatissima come un diritto soggettivo, non dall'essere una persona, ossia dalla nascita, ma dal momento in cui la stessa sceglie di praticare il coito in una certa maniera.

Nel voler giustificare la pretesa del matrimonio omosessuale si finisce con il rovesciare il fondamento antropologico del diritto, spostando il soggetto del diritto dalla naturalità della persona in quanto tale, alla secondarietà della persona che, ad un certo punto, sceglie di vivere in un certo modo e, conseguentemente, produce determinate pratiche materiali.

In conclusione?

Il matrimonio non è un diritto e non può essere invocato come tale dalle coppie dello stesso sesso. Il non prevederne la possibilità non è, per logica conseguenza, una discriminazione: non sussistendo in caso contrario un diritto, quanti vengono esclusi non possono in alcun modo sentirsi privati di una possibilità positiva. Piuttosto, dal momento che in ogni caso bisogna parlare dei diritti delle persone è pensabile ad un miglioramento del trattamento patrimoniale dei soggetti costituenti delle coppie omosessuali. Questo è fattibile, ma senza mettere mano al diritto di famiglia. Peraltro, se il reale desiderio delle coppie omosessuali è godere di maggiori diritti, che senso potrebbe avere forzare l'istituto del matrimonio secondo i propri desiderata?
Non sarebbe più facile praticare questa via anziché scegliere di "scimmiottare" il matrimonio eterosessuale?




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