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sabato 6 dicembre 2014

Frammenti di considerazione sulla natura tautologica della ratio anselmi

(frammenti di una riflessione in progress)


(url immagine: http://api.ning.com/files/uiOgHOR8758iKiWs2dlYnIkaArjDXOgIot-8T88hggUu3EjvXe9Dy28bbjAbUXNyNq4xFB9JJB6y0p1nLM1g299GIHHbdbk-/SantoAnselmodeCantuariaCambridge.jpg)


Per Fabro, il ragionamento di Anselmo è semplice e consta di tre parti: 

1) considerare Dio l’essere perfettissimo; 
2) considerare l’esistenza una perfezione; 
3) considerare che tutti, insipiens compreso, comprendono Dio come l’essere pervertissimo[1]

Di conseguenza, proprio per via della definizione iniziale, non si può che concludere che Dio esista, altrimenti verrebbe meno la condizione secondo la quale Dio è un essere perfettissimo. Infatti, se non possedesse anche l’esistenza, come potrebbe possedere tutte le perfezioni possibili? 

Per negare che Dio sia l’essere perfettissimo si deve quantomeno possedere il concetto di Ente massimo (proprio perché perfettissimo). Ma l’Ente massimo non può esistere solamente nelle teste di chi lo pensa, e correttamente, lo intende, in quanto Ente dotato di tutte le perfezioni possibili, ma deve «esistere anche nella realtà»[2]. Anselmo ha così inventato l’argomento ontologico, una particolare strutturazione argomentativa in forza della quale si passa dal pensiero all’essere.

E l'insipiens? Tutto qua il suo ruolo? Tutt'altro!

Secondo Sciuto, lo stolto è colui che «non comprende ciò che dice»[3] e, facendo ciò, separa «parole e pensiero»[4]. Viceversa, anche lui concorderebbe con Anselmo nell’asserire la massima tautologia possibile, e cioè che Dio è l’essere al massimo grado di perfezione. 

Va da sé, ovviamente, il passaggio seguente, e cioè che, proprio perché perfettissimo, non può che esistere. Distinguere tra intellectum e res significa contraddirsi, significa pensare una cosa e crederne un’altra, significa intendere la nozione di Dio, come essere perfettissimo, e non intenderla, ossia comprendere Dio come non perfettissimo, significa cadere velocemente in un comportamento vizioso, credere in una cosa e agire in difformità da quest’ultima. 


Una volta che sia mostrata la vanità della contraddizione dello stolto, la sua negazione di Dio viene meno, decade spontaneamente. In altri termini, penso sia legittimo concordare con Brocchiero e Parodi quando sostengono che Anselmo mostri con estrema chiarezza la contraddizione cui va incontro l’insipiens «nel momento in cui nega il passaggio dall’esistenza mentale a quella extramentale»[4]

Piuttosto, e volendo concedere il massimo, lo stolto potrebbe dire solamente Deus non est, non anche pensarlo[5]. Così, lo sciocco afferma che Dio non esiste. Ma per farlo, deve contraddire la nozione stessa di Dio, l’essere perfettissimo. Tuttavia, non può tanto. Dunque, si auto-confuta dal momento che cade da solo in contraddizione, ovvero considerare Dio ad un tempo l’essere perfettissimo e l’essere non perfettissimo. 


Contraddicendosi, le sue parole non contano nulla. Seguendo le esatte movenze della dimostrazione elenctica del principio di non contraddizione, Anselmo fa ricadere sullo stolto l’onere della prova, dimostrando, dunque,sì che Dio esiste, ma senza farlo direttamente. Infatti, se lo stolto che nega Dio si contraddice, allora sarà vera la proposizione opposta, ossia che Dio esiste. È contraddittoria, dunque, qualunque proposizione che nega l’esistenza di Dio[6]


E questo è quello che fa Anselmo nel gioco dialettico con l’insipiens[7]. Se assumiamo ex absurdo che Dio non esiste, a quali conseguenze giungiamo? Perveniamo ad «una conclusione impossibile»[8]. Di conseguenza, non può essere vera la posizione ateistica. 


Pertanto, sarà vera la posizione teista. 


Ma questa è vera non solo perché è falsa la posizione opposta, ma anche perché riposa su un’evidenza difficilmente negabile, e cioè che Dio, per essere l’essere perfettissimo, deve esserlo tanto in intellectu quanto in re. Il carattere assolutamente evidente della prova anselmiana deriva dalla sua natura tautologica: non una mera ovvietà, ma una verità priva di condizioni di verificazione!



[1] Cfr. cfabroL’uomo e il rischio di Dio, Editrice Studium, Roma, 1967, p. 276.
[2] Cfr. eseverinoLa filosofia dai greci ai nostri tempi. La filosofia antica e medievale, Rizzoli, Milano, 20064, p. 283.
[3] Cfr. i. sciuto, Introduzione, a: Anselmo, Proslogion, Rusconi, Milano, 1996, p. 34.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. m. f. b. brocchierom. parodi, Storia della filosofia medievale, Laterza, Roma – Bari, 20055, p. 150.
[6] Cfr. a. pizzo, Argomento ontologico. Una storia convergente per una lettura divergente, Aracne, Roma, 2009, p. 26.
[7] Cfr. r. g. timossi, Dio e la scienza moderna. Il dilemma della prima mossa, Mondadori, Milano, 1999, p. 301.
[8] Cfr. a. pizzo, op. cit., p. 27.
[9] Cfr. E. bencivengaLa dimostrazione di Dio. Come la filosofia ha cercato di capire la fede, Mondadori, Milano, 2009, p. 20.



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