(url immagine: http://api.ning.com/files/uiOgHOR8758iKiWs2dlYnIkaArjDXOgIot-8T88hggUu3EjvXe9Dy28bbjAbUXNyNq4xFB9JJB6y0p1nLM1g299GIHHbdbk-/SantoAnselmodeCantuariaCambridge.jpg)
Per Fabro, il ragionamento
di Anselmo è semplice e consta di tre parti:
1) considerare Dio l’essere
perfettissimo;
2) considerare l’esistenza una perfezione;
3) considerare che
tutti, insipiens compreso, comprendono Dio come l’essere pervertissimo[1].
Di conseguenza, proprio per via della definizione iniziale, non si può che
concludere che Dio esista, altrimenti verrebbe meno la condizione secondo la
quale Dio è un essere perfettissimo. Infatti, se non possedesse anche
l’esistenza, come potrebbe possedere tutte le perfezioni possibili?
Per negare
che Dio sia l’essere perfettissimo si deve quantomeno possedere il concetto di
Ente massimo (proprio perché perfettissimo). Ma l’Ente massimo non può esistere
solamente nelle teste di chi lo pensa, e correttamente, lo intende, in quanto
Ente dotato di tutte le perfezioni possibili, ma deve «esistere anche nella
realtà»[2].
Anselmo ha così inventato l’argomento ontologico, una particolare
strutturazione argomentativa in forza della quale si passa dal pensiero all’essere.
E l'insipiens? Tutto qua il suo ruolo? Tutt'altro!
Secondo Sciuto, lo stolto è
colui che «non comprende ciò che dice»[3]
e, facendo ciò, separa «parole e pensiero»[4].
Viceversa, anche lui concorderebbe con Anselmo nell’asserire la massima
tautologia possibile, e cioè che Dio è l’essere al massimo grado di perfezione.
Va da sé, ovviamente, il passaggio seguente, e cioè che, proprio perché
perfettissimo, non può che esistere. Distinguere tra intellectum e res
significa contraddirsi, significa pensare una cosa e crederne un’altra,
significa intendere la nozione di Dio, come essere perfettissimo, e non
intenderla, ossia comprendere Dio come non perfettissimo, significa cadere
velocemente in un comportamento vizioso, credere in una cosa e agire in
difformità da quest’ultima.
Una volta che sia mostrata la vanità della
contraddizione dello stolto, la sua negazione di Dio viene meno, decade
spontaneamente. In altri termini, penso sia legittimo concordare con Brocchiero
e Parodi quando sostengono che Anselmo mostri con estrema chiarezza la
contraddizione cui va incontro l’insipiens «nel momento in cui nega il
passaggio dall’esistenza mentale a quella extramentale»[4].
Piuttosto, e volendo concedere il massimo, lo stolto potrebbe dire solamente Deus
non est, non anche pensarlo[5].
Così, lo sciocco afferma che Dio non esiste. Ma per farlo, deve contraddire la
nozione stessa di Dio, l’essere perfettissimo. Tuttavia, non può tanto. Dunque,
si auto-confuta dal momento che cade da solo in contraddizione, ovvero
considerare Dio ad un tempo l’essere perfettissimo e l’essere non
perfettissimo.
Contraddicendosi, le sue parole non contano nulla. Seguendo le
esatte movenze della dimostrazione elenctica del principio di non
contraddizione, Anselmo fa ricadere sullo stolto l’onere della prova,
dimostrando, dunque,sì che Dio esiste, ma senza farlo direttamente. Infatti, se
lo stolto che nega Dio si contraddice, allora sarà vera la proposizione
opposta, ossia che Dio esiste. È contraddittoria, dunque, qualunque
proposizione che nega l’esistenza di Dio[6].
E questo è quello che fa Anselmo nel gioco dialettico con l’insipiens[7].
Se assumiamo ex absurdo che Dio non esiste, a quali conseguenze
giungiamo? Perveniamo ad «una conclusione impossibile»[8].
Di conseguenza, non può essere vera la posizione ateistica.
Pertanto, sarà vera
la posizione teista.
Ma questa è vera non solo perché è falsa la posizione
opposta, ma anche perché riposa su un’evidenza difficilmente negabile, e cioè
che Dio, per essere l’essere perfettissimo, deve esserlo tanto in intellectu
quanto in re. Il carattere assolutamente evidente della prova anselmiana
deriva dalla sua natura tautologica: non una mera ovvietà, ma una verità priva
di condizioni di verificazione!
[1] Cfr. c. fabro, L’uomo e il rischio di Dio, Editrice Studium, Roma, 1967, p. 276.
[2] Cfr. e. severino, La filosofia dai greci ai nostri tempi. La filosofia antica e medievale, Rizzoli, Milano, 20064, p. 283.
[3] Cfr. i. sciuto,
Introduzione, a: Anselmo, Proslogion,
Rusconi, Milano, 1996, p. 34.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. m. f.
b. brocchiero
– m. parodi, Storia della filosofia medievale, Laterza,
Roma – Bari, 20055, p. 150.
[6] Cfr. a. pizzo,
Argomento ontologico. Una storia convergente per una lettura divergente, Aracne, Roma, 2009, p. 26.
[7] Cfr. r. g.
timossi, Dio e la scienza
moderna. Il dilemma della prima mossa, Mondadori, Milano, 1999, p. 301.
[8] Cfr. a. pizzo,
op. cit., p. 27.
[9] Cfr. E. bencivenga, La dimostrazione di Dio.
Come la filosofia ha cercato di capire la fede,
Mondadori, Milano, 2009, p. 20.
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