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mercoledì 5 giugno 2013

Il matrimonio è un diritto?



Il matrimonio è un diritto?
Perché quello omosessuale  non lo è.

Alieno a qualsiasi ipocrisia sulla materia, pur essendo il Nostro un Paese fondamentalmente ipocrita, e certo di farmi dei nemici per quel che dirò, e sosterrò (ma non pretendo ipocritamente di essere amico di tutti), spiegherò brevemente perché, a mio sommesso parere, nel caso dei cosiddetti "matrimoni gay" non può in nessun caso parlarsi di "diritto" (dei soggetti che vorrebbero contrarlo).


La  mia idea segue due strade differenti, una prende ad esempio il caso dei matrimoni eterosessuali mentre l'altra cerca di prendere sul serio una delle argomentazioni in forza della quale i sostenitori parlano di "violazione dei diritti", analizzando (almeno) una delle conseguenze paradossali che proprio tale argomento comporta (se preso sul serio).


L'unione tra due persone eterosessuali, libere e in possesso della capacità giuridica, che nel Nostro ordinamento si consegue al compimento della maggiore età (18 anni), è inquadrata, come materia giuridica, dal Codice Civile il quale lo definisce nei termini di negozio giuridico, in forza del quale un uomo e una donna dichiarano di volersi prendere reciprocamente come marito e moglie, e come un rapporto dal quale discendono conseguenze di natura e personale e patrimoniale. 


La famiglia è pertanto l'effetto del matrimonio eterosessuale, ossia tra due persone di sesso differente, le quali contraggono unione agli occhi della legge e s'impegnano personalmente nel loro rapporto, conseguendo dallo stesso precisi effetti civili, ossia patrimoniali.


Il Codice Civile, peraltro, declina in concreto l'inquadramento fondamentale che della materia offre la Carta Costituzionale la quale all'art. 29 ne parla nei termini di una società naturale fondata sul matrimonio e sulla parità, morale e giuridica, dei coniugi[1].


Nello stesso Codice peraltro si parla sempre di "marito" e di "moglie" ad indicazione del ruolo sociale attribuito ai singoli in quanto rispettive espressioni di due sessi differenti.


Ora, il matrimonio così stabilito è un diritto? Se lo è, sorgono dei dubbi, più o meno legittimi, sull'esclusione di alcuni soggetti dal poterlo liberamente contrarre. Questo almeno uno dei sentieri che i fautori del matrimonio omosessuale battono nella loro rivendicazione: essendo un diritto, escludere dei soggetti dal poterlo contrarre si configura nei termini di una discriminazione, ossia di una violazione dei diritti che spettano alle persone in quanto tali.


Ma il matrimonio eterosessuale tutto è fuorché un diritto nel senso che i soggetti interessati, un uomo e una donna, possono liberamente contrarlo ma non viene affatto loro garantita la relativa fruizione. La funzione del Codice Civile, peraltro, stabilisce come i due contraenti il matrimonio assumano nuovi stati personali, di marito, nel caso del contraente uomo, e di moglie, nel caso del contraente donna[2]. Ammesso, e non concessa, la possibilità di matrimoni per esponenti dello stesso sesso, sorge il problema dei relativi stati personali addotti dai due soggetti dello stesso sesso uniti in matrimonio.


V'è, nella cultura moderna, un perdurante quanto imbarazzante equivoco il quale porta a pensare che qualsiasi desiderio personale, o, se si preferisce, capriccio, sia un diritto, ossia una pretesa personale legittima, e, quindi, meritevole di tutela: da promuoversi (da parte della propria collettività di appartenenza). Il Codice Civile non qualifica la fattispecie del "matrimonio" nei termini di un diritto soggettivo, ossia di pretesa legittima da promuovere, ma di un contratto stipulato liberamente tra due parti.


Francamente, penso che l'equivoco nel caso presente sia doppio: 1) si equivoca sul significato, in termini di diritti, della parola 'matrimonio'; e, 2) s'intende il matrimonio tutta quella serie di effetti giuridici e patrimoniali che il matrimonio come rapporto comporta. 

In realtà, infatti, è l'esclusione da questi effetti per le coppie dello stesso sesso che provoca reazione e, in alcuni casi, anche sdegno e che, con molta probabilità, suppongo, porta a parlare di discriminazione o di violazione di diritti dei soggetti.


Ma è concettualmente infondato parlare al riguardo del matrimonio omosessuale di un diritto: non lo è per le coppie eterosessuali, perché dovrebbe esserlo per quelle dello stesso sesso?



Veniamo ora all'esame di un'argomentazione che i sostenitori dei matrimoni gay generalmente usano per giustificare la loro pretesa ad una tutela giuridica delle unioni tra soggetti dello stesso sesso.

Costoro argomentano più o meno nella maniera seguente:

Se i diritti non discendono dal tipo di coito che viene realizzato liberamente da due persone di diverso sesso, perché negare gli stessi diritti a due persone dello stesso sesso le quali liberamente decidono di dedicarsi al coito?

Mettendo tra parentesi la presenza di fondo dell'equivoco di cui sopra circa la natura e la definizione dei 'diritti', esaminiamo questa argomentazione.

Essa presenta due possibilità diverse in equilibrio simmetrico: il coito eterosessuale e il coito omosessuale. In forza di questa simmetria, vieta qualsiasi differenza per relativi trattamenti giuridici pena la discriminazione degli uni come degli altri. Ma siccome nel primo caso sono garantiti dei diritti, in genere di natura patrimoniale tra i coniugi, e nel secondo caso no, ecco che scatta il meccanismo della rivalsa: siamo in presenza di una discriminazione in quanto ad alcuni vengono negati gli stessi diritti.


Vista più nello specifico, l'argomentazione è erronea in quanto si contraddice internamente dal momento che finisce con il legare il godimento di determinati diritti alla pratica del coito piuttosto che legarli alla personalità di chi la pratica. Come a dire, se presa sul serio, che tale argomentazione finisce con lo spostare la titolarità del diritto in quanto tale dall'essere una persona al praticare una determinata azione. Peraltro, cosa che comincia con il non sostenere, giungendo infine, invece, proprio a sostenere tale derivazione.


Se davvero, ma non è certo questo il caso, per le ragioni viste in precedenza, il matrimonio è un diritto questo non discende dal fatto che un uomo e una donna praticano il coito, ma dal fatto che decidono liberamente di unirsi nel rapporto giuridico del matrimonio. Il coito, per dirla altrimenti, è secondario rispetto alla liceità della contrazione di matrimonio. Peraltro, gli effetti personali e patrimoniali, il vero cruccio delle coppie omosessuali, non derivano dal tipo di coito che viene praticato, etero o omo, ma dal matrimonio come rapporto (tra due persone di sesso differente). Questo perché non ha senso far discendere una conseguenza giuridica, peraltro delicatissima come un diritto soggettivo, non dall'essere una persona, ossia dalla nascita, come recita il Codice Civile, ma dal momento in cui la stessa sceglie di praticare il coito in una certa maniera.

Nel voler giustificare surrettiziamente, ossia senza alcun appiglio alle fonti del diritto interno, gli omosessuali, e chi per loro, finiscono con il rovesciare il fondamento antropologico del diritto stesso, spostando il soggetto del diritto dalla naturalità della persona in quanto tale, e prima di qualsiasi sua attività concreta, alla secondarietà della persona che, ad un certo punto, sceglie di vivere in un certo modo e, conseguentemente, produce determinate pratiche materiali.

Il matrimonio non è un diritto e, pertanto, non può essere invocato come tale dalle coppie dello stesso sesso. Il non prevederne la possibilità non è, per logica conseguenza, una discriminazione: non sussistendo in caso contrario un diritto, quanti vengono esclusi non possono in alcun modo sentirsi privati di una possibilità positiva.

Piuttosto, dal momento che in ogni caso bisogna parlare dei diritti delle persone, oggetti non disponibili alla contrattazione culturale e/o politica, è pensabile ad un miglioramento del trattamento patrimoniale dei soggetti costituenti delle coppie omosessuali. Questo è fattibile, ma senza mettere mano al diritto di famiglia.


Peraltro, se il reale desiderio delle coppie omosessuali è godere di maggiori diritti, che senso potrebbe avere forzare l'istituto del matrimonio secondo i propri desiderata?


Anzi, se l'obiettivo concreto sono i diritti soggettivi da fruire, per quale perverso motivo accanirsi contro il modello del matrimonio eterosessuale? Non sarebbe più facile, e meno irto di difficoltà, culturali e giuridiche, praticare questa via anziché scegliere di "scimmiottare" il matrimonio eterosessuale?


La stessa esperienza francese insegna come aprire ai matrimoni omosessuali presenti uno sconvolgimento tale del diritto interno, e che tocca materie diverse ma collegate, da chiedersi se il matrimonio ottenuto sia lo stesso cui si tendeva o non piuttosto una sorta di surrogato giocato tutto sul politically correct della lingua.

Per alcuni la forma è sostanza, per me, piuttosto, si scherza con le parole senza accedere mai per davvero alla sostanza delle cose. I diritti, per carità, sono ben altra cosa ed andrebbero difesi per davvero ai nostri giorni dal momento che sempre più concretamente vengono messi a repentaglio dalla comoda scusa della crisi per far venir meno il loro sostentamento, ossia la loro tutela e promozione, restando scomodi ma graditi ospiti sulla carta di qualche dichiarazione o invocazione.

Note
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[1] Art. 29 Cost.: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge e garanzia dell'unità familiare".
[2] Art. 143 c.c.




(immagine tratta da: http://www.pronews.it/wp-content/blogs.dir/3817/files/2013/02/matrimonio-gay-2.jpg)



10 commenti:

  1. Ottimo articolo, chiaro, preciso, rispettoso. Il passaggio più "inquietante" a mio avviso è il seguente: "gli omosessuali, e chi per loro, finiscono con il rovesciare il fondamento antropologico del diritto stesso, spostando il soggetto del diritto dalla naturalità della persona in quanto tale, e prima di qualsiasi sua attività concreta, alla secondarietà della persona che, ad un certo punto, sceglie di vivere in un certo modo e, conseguentemente, produce determinate pratiche materiali." E' possibile che le stesse persone omosessuali, comprensibilmente bisognose di un decisivo riconoscimento socio-culturale che deriverebbe loro dal matrimonio (il matrimonio è, tra l'altro, un fatto sociale, ci si sposa davanti alla comunità e, nel matrimonio religioso, anche davanti a Dio) siano vittime ignare di quel "chi per loro" da lei accennato, che ha forse ben più ampi progetti, di portata antropologica usando (sfruttando) come leva le rivendicazioni delle persone omosessuali (inquadrate o no in lobby gay)? Quale effetto domino creerebbe nella/e società, non tanto lo scardinamento dell'istituto del matrimonio, quanto il suo snaturamento?
    Perché illustri giuristi e professori di diritto delle nostre università non hanno sottolineato con la matita blu:"matrimonio è un diritto"? Mi fermo qui, anche se avrei tanti altri quesiti a conferma di quanto sia stata stimolante la lettura del suo post.
    Cordialmente.
    Vito

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    1. Signor Vito, innanzi tutto grazie. In secondo luogo alla sua sollecitazione, in tutta sincerità, non ho una reale opinione in merito: l'espressione "chi per loro" non si riferisce a terzi che usano le rivendicazioni omosessuali in maniera strumentale, ma solamente a tutti coloro i quali, per simpatia, per opportunità, per convenienza o, molto più semplicemente, per il malinteso concettuale sulla natura dei "diritti", tendono a sostenere proprio tali rivendicazioni. Non credo, di conseguenza, a possibili effetti domino, d'altra parte un eventuale riconoscimento giuridico ai matrimoni gay sarebbe solo il riconoscimento contrattuale a forme d'unione tra due singoli, in definitiva un effetto, e non la causa, della fine della famiglia eterosessuale e monogamica. Se ci guardiamo attorno, e senza filtri, vediamo bene come l'istituto della famiglia sia già bell'è che defunto. Nella mia ottica il problema è che quel che ne verrebbe fuori non è quel che si desidererebbe, ossia la stessa cosa del matrimonio eterosessuale, e senza scomodare la biologia, la psicologia, l'antropologia, la religione, e così via. Sulla terza sollecitazione da parte sua, non posso rispondere: la presente è la mia opinione, forse non pure quella dei giuristi i quali, però, devono barcamenarsi su una china più scivolosa della mia, ossia bilanciare gli opposti interessi e valutare se, e in che misura, sussistano degli interessi meritevoli di tutela. Il diritto, per dirla altrimenti, evolve. Nel nostro ordinamento, però, v'è un ostacolo grosso grosso, ossia la Parte Prima della Costituzione, la parte cd. "immodificabile", che parla del matrimonio come di un rapporto tra singoli eterosessuali. Se così è, che senso ha denunciare una (presunta) discriminazione per quanti, per ovvie ragioni a questo punto, non possono esservi ammessi? Ma se ha altri quesiti, mio caro amico, non esiti. Cordialmente.

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  2. Mi chiamo enrico vitali
    trovo il suo articolo interessantissimo.
    Talmente interessante che oso domandarle, se non le è di peso,e se lei lo ritiene possibile, di riscriverlo in maniera un po' più "divulgativa".

    Lo è già, ma sarebbe maggiormente un grosso contributo a fare chiarezza sui gravi equivoci su cui lei ha fatto luce

    Con riconoscenza per il lavoro che ha fatto le auguro la buona notte

    enrico vitali, Latina

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    1. Caro Enrico, la ringrazio per l'interesse e per la valutazione positiva. Trovo la sua richiesta certamente interessante ma vorrei sapere per quale motivo dovrei fornirne una versione più "divulgativa": quale sarebbe la sua destinazione d'uso? Se mi convince della bontà di tale richiesta, potrei anche accontentarla.

      Cordialmente.

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    2. Segnalerei il suo articolo nel nostro sito formativo parrocchiale (formazioneducatori@googlegroups.com / Parrocchia di Borgo Piave)ed in ogni occasione in cui il dialogo su questo tema risulti bloccato dagli equivoci che lo affliggono, equivoci che lei ha saputo mettere a fuoco.

      La ringrazio comunque

      enrico vitali

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    3. Grazie ancora per i complimenti, ma proprio non saprei dire se il mio post sia utile a chiarire i mille equivoci che affliggono la tematica in questione. Comunque, se questo è l'intento prometto di impegnarmi a ri-scriverlo in maniera più "divulgativa", anche se non posso promettere celerità sui tempi di consegna ... mille equivoci come mille impegni! Allora, a ri-vederci sempre sul blog. Quando sarà pronto, verrà pubblicato come un normale post e preceduto da un'adeguata premessa. Cordialmente.

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  3. Grazie dott. Alessandro Pizzo per la sua risposta che contribuisce a vedere un po' più chiaro (e in questo caso con la lente del diritto)un fenomeno sociale di per sé complesso e dinamico: appena riusciamo a capirci qualcosa o a inquadrarlo giuridicamente o psicologicamente o sociologicamente... ecco che si sono introdotti nuovi cambiamenti e bisogna ripartire, forse si deve (anche)a questo la natura evolutiva del diritto a cui accennava.
    Un'altra questione che le pongo, perché non ne ho trovato cenno nel post, ma che mi pare importante e altamente attuale è l'adozione di figli da parte della coppia formata da persone omosessuali. Può dire qualcosa a tale proposito in continuità con quello che ha già scritto? Ad esempio l'adozione è un diritto che acquisisce automaticamene (o che può rivendicare) una coppia di persone omosessuali unite dal vincolo matrimoniale?
    Un caro saluto
    Vito

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    1. Grazie ancora per i complimenti, ma venendo subito al dunque non posso dire su due piedi se l'adozione sia essa pure un diritto, de jure condito o, in prospettiva, de jure condendo né tantomeno se possa scaturire automaticamente dall'eventuale riconoscimento legale alle unioni omosessuali, anche se, in quest'ultimo caso, cos'altro potrebbe ostare a che sia così? Piuttosto, sarebbe interessante valutare se simile eventuale fattispecie vada incontro ai reali bisogni educativi dell'adottato. Infatti, si fa presto a dire che quel che conta è l'amore laddove, al contrario, in letteratura puericultrice, s'insiste sulla non equiparazione di ruoli genitoriali maschili e/o femminili. Insomma, due genitori dello stesso sesso, potrebbero adempiere efficacemente a tale compito? E verrebbero incontro ai suoi interessi? Non prometto nulla al riguardo, ma sarebbe importante rifletterci sopra. Comunque, grazie ancora e alla prossima.

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  4. La ringrazio sentitamente per le risposte ed anche per il taglio scientifico e pacato che la guidano nell'esposizione

    enrico vitali

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  5. Grazie di cuore anche per la seconda risposta. Mi rattrista pensare che da un po' di decenni ci si è impegnati, giustamente, a proteggere i bambini (con leggi, deontologie professionali, carte internazionali)in modo ferreo affinché non siano sottoposti a sperientazioni medico-farmacologiche e anche psicologiche, e invece con l'adozione omoparentale ci troviamo di fronte a una vera e propria sperimentazione abusiva e sottaciuta (un'esigua quantità di studi anche metodologicamente dubbi sull'adozione omoparentale, contro millenni di esperienza di socializzazione di bambini figli di una coppie genitoriali maschio e femmina). Lei ha ragione, si fa presto a dire che "quel che conta è l'amore"!
    Un cordiale saluto e buona estate!
    Vito

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