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martedì 3 settembre 2013

Diorismós ...

"per essere il più saldo di tutti, tale principio deve avere una certa «proprietà» che mostra in che consista la saldezza del principio. Diorismós è la parola che Aristotele introduce per indicare questa «proprietà» - «caratteristica», o «determinazione» - essenziale (1005b 23) […] «l'impossibilità di trovarsi in errore rispetto alla bebaiotáte arché pasȱn» […] e cioè […] «la necessità che sia sempre compiuto l'opposto dell'errare, cioè l'essere nella verità […] rispetto a tale principio"

(Cfr. e. severino, Fondamento della contraddizione, Adelphi, Milano, 2005, pp. 23 – 24)


Diorismós o non Diorismós


Questo pare essere il problema fondamentale della dimostrazione aristotelica del principio più saldo di tutti, il bebaiotáte arché pasȱn, vale a dire la sicurezza di non potersi trovare in errore, ossia di trovarsi al di qua della falsità.



Ma il principio di non contraddizione garatisce proprio ciò? O è, piuttosto, una garanzia attiva nel senso di costringere il locutore razionale ad impegnarsi ad evitare la falsità?



Questo Aristotele non lo dice, e non poteva certo dirlo dal momento che l'ostacolo principale alla dimostrazione del principio di non contraddizione è proprio il rischio della circolarità: adoperare per dimostrare il principio di non contraddizione proprio l'oggetto della dimostrazione, ossia il principio medesimo ...




Ma se così è, sinceramente non riesco a comprendere per quale motivo Aristotele senta il bisogno di dimostrare il fondamento del pensiero stesso, il limite invalicabile di qualsiasi dimostrazione.



E penso anche che ciò sia stato così per motivazioni storiche che inevitabilmente ci sfuggono e continueranno a sfuggirci in futuro.

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