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martedì 3 settembre 2013

La disfatta della scuola italiana ...



É facile comprendere quel che è accaduto alla scuola italiana, la natura di quello tsunami che l'ha resa ancora più povera e scassata e i suoi operatori ancora più dimessi e dequalificati di quanto non fossero solo trent'anni a questa parte. 


Certo, la scuola è sempre stata la “cenerentola” della spesa pubblica (si dice che le priorità sono altre …), ma negli ultimi dieci anni le cose sono decisamente peggiorate, e per giunta con un trend che, visto da dentro, comincia a fare davvero paura. 


Ora, per comprendere il progressivo definanziamento della scuola, e il ragionamento perverso che vi sta dietro, basta prendere in considerazione quanto dice Floris:

invece di affrontare il problema della qualità della spesa, nei momenti di crisi ci limitiamo a chiudere il rubinetto, magari dirottando risorse dalla scuola alla sanità, altro gioiello dell'«azienda Italia». É come se noi, avendo a disposizione un'automobile vecchia, disastrata, che consuma troppo, invece di cambiarla ci limitassimo a ridurre continuamente la benzina che le mettiamo nel serbatoio. Risultato: la macchina si ferma. Null'altro[1]



Se ci pensiamo bene il ragionamento della precedente ministra dell'Istruzione, non di quell'attuale, suonava, più o meno così, “siccome spendiamo troppo senza un'adeguata efficienza, riduciamo la spesa” …



Questo abbiamo fatto alla scuola italiana: siccome va male, l'abbiamo priviamo delle risorse!



Ovviamente, qui non si parla di risorse aggiuntive o straordinarie, ma di quelle ordinarie, vale a dire quelle che servono al suo funzionamento attuale ...


Così, a mali cronici, come la fatiscente edilizia scolastica, abbiamo aggiunto una povertà imposta “a furor di popolo”, per via della qualunquistica crisi.



E le abbiamo aggiunto anche: 1) un contratto collettivo degli operatori scaduto nel 2009, e basato sull'inflazione attesa per il biennio 2007 – 2009, certo non quella reale – cosa di per sé utopistica – e non più rinnovato; 2) il blocco delle progressioni di carriera basate in precedenza su scatti retributivi automatici in funzione della raggiunta anzianità di servizio; 3) annuali provvedimenti di spending review millantati come revisioni di spesa, ma efficaci solo come ulteriori tagli lineari ad un settore già pesantemente colpito e danneggiato, nel fisico come nel morale.


Un'auto lasciata a secco, può solo fermarsi. E la scuola italiana lo sta facendo …


Ma Floris aggiunge ancora:


In realtà, mentre un'automobile si può fermare, la scuola non lo può fare. La macchina scuola deve continuare necessariamente a marciare, e quindi sapete chi li mette i soldi per il carburante?[2]


Floris non lo dice, ma la risposta è banale quanto disarmante: sempre noi!


Prima paghiamo tasse per servizi non più né garantiti né effettuati (la scuola …) e dopo paghiamo ancora (contributo scuola; donazioni; cessioni; elargizioni; raccolta fondi; etc.) per mandare avanti, seppur malamente, quegli stessi servizi che la crisi ha eliminato per spostare le risorse verso altre priorità …


Come non pensare all'IMU o all'IVA? Queste sì che sono priorità, mica gli effetti a medio – lungo termine sul PIL e sulla qualità dei futuri cittadini dello spegnimento progressivo, e tombale, dell'automobile scuola!


Note

[1] Cfr. G. Floris, La fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana, Rizzoli, Milano, 2008, p. 151.
[2] Ibidem.



(immagine tratta da: http://static.haisentito.it/haisentito/fotogallery/625X0/29593/scuola-alunni.jpg)

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