(url immagine: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvzYhJrQvmLo39vQazmhlwJecck0aUTcFUupHa6akG2srtXoOP0-sZADxNWttBRSlxDJWKnFQnaeLXa7fTU37-dxU-iLsyssEPCj_siHeG5MvkHWa9AoEC0wum98AAWTHxwvt9lt7wEz8/s1600/Logic2.png)
Sainsbury sostiene che la formulazione fondamentale del paradosso sia la seguente:
(L1) L1 is false[1]
Ora, la paradossalità di (L1) deriva
dalla correlazione tra due condizionali implicati proprio da (L1):
(a) Se (L1) è vera, allora (L1)
è falsa;
(b) Se (L1) è falsa, allora (L1)
è vera[2].
L’applicazione
di uno dei due valori di verità comporta la sua immediata inversione con il
valore opposto: se diciamo che (L1) è vera, scopriamo che è vero che
è falsa, e che, dunque, è falsa. Al contrario, se diciamo che (L1) è
falsa, scopriamo, nostro malgrado, che è falsa che sia falsa, e che, dunque, è
vera. In entrambi i casi, scontiamo una pesante contraddizione aletica:
qualcosa di vero è invece falso, e qualcosa di falso è invece vero. Il che non
è possibile.
Sainsbury, però, suggerisce di vagliare più in profondità questa
contraddizione e propone di sostituire in (a) e (b) al predicato ‘falso’ il
predicato ‘non vero’ e al predicato ‘vero’ il predicato 'non falso’. Così, al
precedente condizionale, otteniamo il seguente nuovo condizionale:
(a1)
Se (L1) è vera, allora (L1) è non vera;
(b1)
Se (L1) è falsa, allora (L1) è non falsa.
In
questo modo, l’intrinseca contraddizione di (L1) viene portata all’interno
della singola enunciazione. Una stessa proposizione, infatti, appare,
rispettivamente, e nel contempo, tanto vera quanto non vera; oppure, tanto
falsa quanto non falsa.
L’inversione
aletica qui operante non consente più di distinguere adeguatamente tra la
proposizione oggetto e la proposizione che opera un investimento semantico su
quest’ultima. Non può, pertanto, sorprendere che la sua soluzione consista nel
valutarlo da una prospettiva superiore la quale consenta la valutazione del
linguaggio oggetto e, quindi, del riferimento di verità dello stesso. Come dice
Sainbury:
la risposta di Tarski era che una spiegazione precisa della verità
può essere fornita solo per linguaggi formalizzati (dotati di una grammatica
specificata in modo esatto), e che i paradossi come quello del mentitore
impongono che il metalinguaggio (quello in cui è definito «vero») sia
intrinsecamente più ricco del linguaggio oggetto (quello che contiene gli
enunciati a cui il predicato «vero» deve essere applicato)[3]
La formulazione canonica del paradosso in
oggetto è la seguente:
Tuttavia non appare possibile sfuggire alle maglie della formulazione paradossale non appena ci si chieda se la proposizione in questione sia vera o falsa, non appena cioè si ponga la questione semantica relativa. Non appena si concede ciò, diventa impossibile sfuggire al perverso meccanismo dell'inversione aletica e del connesso regresso all'infinito. Come sostiene infatti Usberti, un paradosso è un'espressione linguistica che
È vera se falsa e falsa se vera[5]
Bene, a questo punto la questione diviene la seguente: possiamo così evitare i paradossi, vere e proprie sfide formidabili per la nostra comune intelligenza?
[1] Cfr. R. M. Sainsbury, Paradoxes,
Cambridge University Press, Cambridge, 20114, p. 127.
[2] Ibidem.
[3] Cfr. M. Sainbury,
Logica filosofica, in F. D’Agostini – N. Vassallo
(ed.), Storia della filosofia analitica, Einaudi, Torino, 2002, p. 142.
[4] Cfr. F. D’Agostini,
Disavventure della verità, Einaudi, Torino, 2002,
p. 87: «Una versione del paradosso del mentitore è la seguente: (S) S è falso».
[5] Cfr. G. Usberti, Logica, verità e paradosso, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 27.
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