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domenica 8 febbraio 2015

Famiglia disabilitata



(url immagine: http://image.anobii.com/anobi/image_book.php?item_id=01abddb868a7d8b1ee&time=&type=4)

Si fa presto a dire handicap ...

Ed ancor prima a certificare la disabilità delle persone ...

Meno prima si fa ad immaginare le ripercussioni familiari della nascita di una persona disabile. A questa, diciamo, "pecca" fa fronte il recente volume di Chiara Milizia dal titolo Mamma disabilitata. Storia vera di una giovane coppia alla nascita di un figlio autistico.

L'autrice tratteggia in chiave romanzata la personale, e familiare, esperienza di dolore, rabbia, depressione, tristezza, impotenza, rifiuto seguita alla nascita del figlio Cesare. In modo particolare, è apprezzabile la descrizione delle pericolose oscillazioni del rapporto di coppia dall'avvertimento dei primi segnali di "disturbo" sino alla diagnosi ufficiale.

Cosa succede in famiglia quando nasce un componente disabile? La famiglia, con il suo complesso di relazioni personali, non è un monolite immobile, ma un luogo di transito dinamico di rapporti personali. In genere, però, l'equilibrio si spezza, e per sempre, trascinando in una situazione di crisi, di conflittualità, di improvvisi sali-e-scendi, di repentini giri della morte, i suoi attori, i correlativi rapporti interpersonali.

La prima, naturale, reazione è quella del rifiuto, della negazione ostinata del problema in quanto tale. Scrive l'autrice "Handicap, disabilità, parole che le facevano paura, ora erano entrate a pieno titolo nella sua vita. Era la madre di un handicappato, addio feste, viaggi, carriera favolosa". E la perdita della serenità familiare ha ripercussioni anche sulla vita professionale. Come conciliare le ansie personali, anche il senso di colpa che accompagna la quotidianità con un figlio disabile, con l'impegno richiesto dal lavoro? Semplicemente, non si può. E difatti l'autrice subisce destituzioni e trasferimenti d'ufficio nel lavoro. 

Ma sono soprattutto le difficoltà familiari a farla da padrone. Il marito Stefano, il padre di Cesare, medico a sua volta, fatica ancora più della moglie ad accettare il destino esistenziale del figlio, a rassegnarsi alla condizione di "specialità" del figlio, e non solamente per limiti culturali della sua famiglia di origine. L'unica spia di malessere è la fuga: egli fa di tutto per non stare in casa, per non avere a che fare con un figlio così sui generis, per non fare i conti con la "vergogna" in casa sua della disabilità

Tuttavia, è la madre che si fa carico in prima persona delle difficoltà, del riconoscimento sociale della malattia, e che registra le incomprensioni, i rimproveri degli altri, l'ostilità del prossimo, di quanti hanno paura della diversità, dell'ignoranza degli altri ...

Durante un colloquio psicologico, la madre registra le parole del medico: "La disabilità certe volte è più negli occhi di chi la guarda [...] Troverà sempre qualche idiota pronto a sparare a zero".

Ed è così. La disabilità sfida le nostre convinzioni, le nostre radicate credenze, ma, e soprattutto, mette in discussione le nostre apparenti certezze. Questo processo di erosione e di sconquassamento dei pre-esistenti equilibri viene vissuto in prima persona da tutti gli attori della famiglia di riferimento. Se il marito scompare letteralmente dalla scena, salvo presentare sintomi di ansia psicologica, la madre stessa non è da meno. In un primo momento scarica sul marito, e sulla sua famiglia di origine, la causa di tutto, la presenza di qualche tara genetica, di qualche variabilità familiare. Quando, però, diventa evidente che le cose non sono così semplici, e che non v'è alcun colpevole da additare, e sul quale scaricare il proprio risentimento, anche lei cerca di evadere, di fuggire, di sottrarsi all'impegno, alle fatiche, alle frustrazioni che un figlio così impone e comporta, sovente suo malgrado.

Comincia così un tira-e-molla con possibili flirt, con altri uomini, metafore del desiderio inconscio di cambiare vita, di rifarsi l'esistenza, di trovare nuove gratificazioni rispetto ad una routine oramai insoddisfacente. Il problema, però, è che lei stessa non se ne rende conto, vivendo come scissa tra la fedeltà al quadro familiare, punto di riferimento imprescindibile per Cesare, e il bisogno personale di una vita diversa, più felice, più ricca di soddisfazioni.

Tuttavia, decide di chiedere aiuto e viene indirizzata da un consulente familiare al quale espone le sue difficoltà, i suoi timori, le sue ansie, i suoi problemi. E la diagnosi è chiara: "Quando in famiglia c'è un figlio disabile gli equilibri saltano, è difficile che una coppia resista a tutte le tensioni a cui è sottoposta [...] Lei ora vede in quest'uomo nuovo un diversivo e in questo modo non sta facendo altro che spostare il proprio baricentro, ma la sua vita non è con lui, è a casa sua".

Una volta che la realtà le viene sbattuta in faccia, Chiara comprende la radice dei suoi problemi e decide, pur con sofferenza, di affrontarli di petto.

Le viene ancora detto "I figli ci sono dati in prestito, assorbono l'atmosfera di casa, ma maturano per conto loro [...] Suo figlio ha dei limiti, impari a conviverci, a non scambiarli per mancanze sue: dipendono dal so disturbo e non è fuggendo che si sentirà meglio".

Ed è così. Un equilibrio che cambia, l'inizio della crisi, in attesa di un nuovo punto mediano di oscillazione, non è la fine di tutto. Ma un nuovo inizio, anche se più difficile di prima. 

Anche Stefano comincia a prendere coscienza della nuova situazione e, messe da parte le sue resistenze personali, decide di impegnarsi davvero nella nuova dimensione.

A conclusione del volume, l'autrice scrive: "ora si sentiva bene, forse per la prima volta nella sua volta. Aveva affrontato e vinto una battaglia durissima. Certo la guerra non sarebbe mai finita, ma ora sapeva di non essere sola. Aveva superato tutti i suoi limiti, le sue paure e i vincoli che da una vita l'avevano condizionata, ora non era più una mamma disabilitata, era la mamma di Simona e Cesare, e di nuovo la moglie di Stefano".

Una lettura educativa per tutti. Soprattutto per quanti non esperiscono in prima persona la disabilità, propria o di prossimi.

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