(continua da qui)
Peraltro,
salta agli occhi la sfasatura tra l’intento, di per sé lodevole, di innalzare
il livello della qualità dell’inclusione scolastica, con quanto previsto all’art.
4 ove si prescrive un numero abnorme di formazione universitaria sulla
didattica inclusiva. Così, siamo al solito equivoco: aumentare le conoscenze
non significa migliorare le competenze del singolo docente. Per di più, creare
la domanda di formazione, sebbene indotta per via normativa, ha l’effetto di
aumentare il costo della stessa formazione. Chi se lo sobbarcherà? Il docente!
Peraltro, il relatore conclude la presentazione dell’articolo in questione
scrivendo “I nuovi ruoli di sostegno assicurano una scelta professionale
univoca inquadrando tali docenti in appositi ruoli, dai quali non si può
uscire, non più con la normale mobilità come oggi avviene, ma solo con il
passaggio di ruolo”. Appare difficile comprendere il senso di questa
limitazione. Appare una gabbia imposta per amore di attivazione nei confronti
dei docenti di sostegno, presenti e futuri, piuttosto che uno strumento per
innalzare la qualità dell’inclusione scolastica. Sembra voler dire il relatore,
e in ciò sicuramente sostenuto da pareri distorcenti di associazioni e di
genitori, ed anche di qualche accademico lontano dalla concreta realtà
scolastica, che chi sceglie di lavorare nel sostegno lo fa senza convinzione,
senza trasporto, senza vocazione, come tram per passare un giorno alla materia.
Di conseguenza, rendendo più difficile questa possibilità, con l’istituzione di
un vero e proprio ruolo di sostegno, si eviterebbero i “furbetti”, come ci
chiama Faraone, sottosegretario all’Istruzione, coloro cioè che lavorano sul
sostegno senza la vocazione di essere docenti di sostegno. A me pare più
operante un transfert negativo che altro. In altri termini, attraverso un
inasprimento peggiorativo della condizione professionale del docente di
sostegno si vuol trasferire metaforicamente su quest’ultimo parte delle
sofferenze vissute da genitori e volontari. Aggravare la posizione
professionale del docente di sostegno non migliora l’inclusione scolastica né
la motivazione o la preparazione di quest’ultimo. Peraltro, appare leggermente
incostituzionale modificare lo stato giuridico del docente di sostegno soltanto
senza modificare contestualmente quello di tutti gli altri. Perché il docente
di sostegno sì? E perché tutti gli altri no? E una volta che la sua mobilità professionale
sia resa così impossibile, chi è convinto che migliorerà contestualmente le sue
prassi? Ingabbiarlo nel “ruolo”, come erroneamente definito dal relatore, non
risponde ad alcuna logica pedagogica o di deontologia professionale, ma solo al
desiderio malcelato di “punire” il docente di sostegno, con ogni evidenza reo
di non addossarsi parte delle sofferenze di famiglie e associazioni.
Francamente, non vi vedo alcun altra ragione. Non è una norma equa. Non è una
norma qualificante. Non è una norma premiante l’impegno costante e quotidiano
dei docenti di sostegno. Peraltro, a queste condizioni, ma chi si sogna
lavorerà sul sostegno con gioia e trasporto?
Anche
l’art. 6 risponde al medesimo intento punitivo. Infatti, in nome di una non
meglio precisata “continuità”, ma mantra ricorrente nelle cose di sostegno, si
istituzionalizza la deriva del sostegno come coppia simbiotica alunno disabile –
(suo) docente di sostegno. Infatti, scrive il relatore “permanenza decennale
nel posto di sostegno”. Perché? Cosa cambia rispetto al vincolo attuale, di
cinque anni? Perché dieci anziché, poniamo, quindici? O venti? O cinquant’anni?
Qual è il timore del relatore? E dei familiari? E delle associazioni? Perché
legare il docente di sostegno nel ruolo per dieci lunghi infiniti spossanti
usuranti anni? In cosa dovrebbe, pertanto, migliorare la qualità delle sue
prestazioni? Sembra un ergastolo, una pena subita senza colpe, un’espiazione
simbolica per i sensi di colpa e per le sofferenze quotidiane patite da altri.
Invece, per i docenti precari sul sostegno scatta l’obbligo una durata dell’incarico
di durata superiore all’anno, “a seguito di contrattazione collettiva”. E
siccome di contrattazione collettiva non si vede manco l’ombra, dato che ogni
anno il Governo reitera il blocco della contrattazione sine die, e il
contratto è scaduto nel 2009, per i precari si vede un danno minore rispetto ai
colleghi di ruolo. Forse colpevoli di essere di ruolo. Probabilmente colpevoli
di essere docenti di sostegno. Sicuramente debitori nei confronti dei genitori
stressati dei propri alunni …
La
chiosa finale denuncia, a mio onesto modo di vedere, la maniera usuale della
parte datoriale di ignorare del tutto l’opinione dei sottoposti, sui quali si
glissa, per cercare sponde e consensi presso le “associazioni delle persone con
disabilità e dei loro familiari”. Di conseguenza, senza discussione, senza
condivisione, senza consultazione, il miglioramento delle prassi di inclusione
scolastica viene imposta ex lege dall’alto. Siccome, parte della
presente proposta, verrà incorporata nel famigerato decreto scuola di fine
Febbraio 2015, e sul quale con ogni probabilità verrà anche posta la questione
di fiducia, appare svilente qualsiasi tentativo di migliorare la cultura di
sfondo del presente provvedimento. A nessuno importa l’opinione delle parti in
causa, il parere di chi in prima persona porta avanti questo lavoro, tutto
viene imposto dall’alto senza discussioni, e con il consenso di associazioni,
improvvisamente divenute sponsor importanti per interventi legislativi
restrittivi, punitivi e peggiorativi. Tanto, chi vuole il docente di sostegno?
Fornita
la cornice, il relatore riassume i contenuti dei singoli articoli.
Mettiamo
da parte, allora la relazione, e leggiamo alcuni degli articoli, a mio avviso,
più rilevanti.
L’art.
1 punto b) prescrive “effettiva presa in carico da parte degli insegnanti
curriculari degli alunni con disabilità frequentanti le classi loro assegnate”.
E questo andrebbe bene. Sono le modalità a suscitare alcune perplessità.
Infatti, lo stesso comma aggiunge con “predisposizione, attuazione e alla
verifica del piano educativo individualizzato e del piano degli studi
personalizzato”. Una beffa burocratica sulla falsa riga di quanto prescritto
dalla L. n. 170 del 2010: un PEI e un PSP, valutazioni generose e quel che l’alunno
fa, fa.
L’art.
1 punto f) impone alle istituzioni scolastiche di “indicare nel piano dell’offerta
formativa criteri e strategie di accoglienza e di realizzazione del diritto
allo studio degli alunni con disabilità”. Francamente, mi pare una prescrizione
del tutto superflua: si fa già oggi. A cosa serve imporlo? I desideri di chi
vengono pertanto soddisfatti? Degli utenti medesimi? Io non credo. E,
soprattutto, come migliora la qualità dell’inclusione? Peraltro, è in sede di
bilancio sociale che di documentano le prassi realizzate, non nella previsione
generale. Come giudichi un’istituzione dalle poche righe che dedica agli alunni
disabili? Non puoi. Ma al legislatore questo importa.
L’art.
1 punto h) impone l’istituzione “di appositi ruoli per il sostegno didattico”.
L’unica domanda possibile è: perché? Cui prodest? Non al docente di
sostegno, incattivito dalla prigionia cui viene costretto per legge. Non all’alunno
disabile, sostanzialmente indifferente a che il personale in organico di
diritto sia immobilizzato nel ruolo di sostegno. Peraltro, non si comprende
perché nel calcolo della prigionia non vengano conteggiati gli anni di pre –
ruolo. Questo al legislatore sembra non importare.
L’art.
1 punto l) prevede la “garanzia della somministrazione di farmaci in orario
scolastico agli alunni per i quali l’autorità sanitaria ne ha prescritto l’uso”.
Divertente. Non possiamo passare farmaci agli alunni normodotati, ma possiamo
addirittura somministrarli a quelli disabili? E chi si assume una tale
responsabilità? Ci verrà forse imposto un patentino di pronto intervento
sanitario? Ma sì, tanto che ci siamo!
L’art.
1 punto m) è, a dir poco, pericoloso. Infatti, prevede l’individuazione di “livelli
essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali necessarie a
realizzare l’inclusione scolastica”. Ovviamente, si tratta di livelli assenti
nella presente legge, se ne prevede la loro imposizione. Peraltro, come nel
caso del comma precedente, appare ridondante la precisazione di cosa sostanzi l’inclusione
scolastica: scuola, sanità e società! E il tutto deve passare per la scuola …
insomma, meno che mai il docente di sostegno continuerà ad essere un
insegnante. Forse, sarà un infermiere dedito al proprio alunno, un assistente
particolare e personale di quest’ultimo, e si interesserà del catetere da
sostituire, del farmaco da somministrare, delle aspettative lavorative, della
burocrazia sociale, e così via! Pertanto, e finalmente, il docente di sostegno
supplirà in ciò alla famiglia la quale, così, potrà per alcune ore non dover
pensare a quel figlio/a così gravoso!
L’art.
1 comma 3 sostiene che rientrano “fra i bisogni educativi speciali” le aree
della disabilità, dei disturbi evolutivi, dei disturbi specifici dell’apprendimento
e dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. Alè! Il sostegno
scolastico diviene il contenitore di qualsiasi special needs! A ciascuno
il suo PEI, a tutti il proprio PSP, normale didattica per ciascuno, e tutti
contenti! Abbiamo innalzato la qualità dell’inclusione. Almeno così recita la
legge.
L’art.
4 comma 4 recita “Sono istituiti quattro ruoli per il sostegno didattico”,
ciascuno per ogni grado scolastico. Il comma 4 “restringe” la mobilità
professionale prescrivendo che il passaggio di ruolo di sostegno a quello di
scuola dell’infanzia o primaria “può avvenire solo secondo le norme che
disciplinano il passaggio di cattedra”. E questo appare ridondante: è tutt’ora
così! Perché il legislatore precisa “solo secondo le norme”? Il comma seguente
aggiunge “Il passaggio di cattedra per la scuola secondaria di primo e di
secondo grado, fermo restando il possesso dei titoli relativi al percorso di
formazione e al tirocinio – formativo attivo, può essere disposto sulla base
delle disponibilità dei posti messi a concorso per il passaggio di cattedra”.
Quindi, con una restrizione iniziale di disponibilità utili per ottenere il
passaggio di cattedra. Resta la perplessità di fondo: un docente immobilizzato
come può innalzare la qualità delle sue pratiche professionali? Pensando,
magari, che siccome di lì non può muoversi e, quindi, tanto vale dedicarsi al
proprio lavoro? Se così fosse, il legislatore, e con esso i familiari e le
associazioni, hanno proprio una bassissima considerazione degli insegnanti,
prima ancora che di quelli di sostegno! Una concezione, peraltro, che è lontana
anni luce da quel che è per davvero tale lavoro! E questo, a ragion veduta,
però, poco importa dal momento che si stanno imponendo restrizioni e punizioni
sulla base di una visione preconcetta, ed anche un po’ ideologica, a dire il
vero, di cosa consista il lavoro di docente, e segnatamente quello di sostegno!
L’art.
6 recita “al fine di garantire la continuità del diritto allo studio degli
alunni con disabilità, i docenti specializzati in attività di sostegno con
contratto a tempo indeterminato, prima di chiedere il passaggio di cattedra su
posto disciplinare, sono tenuti a coprire il posto in organico di sostegno per
un periodo non inferiore a dieci anni, assicurando comunque il sostegno agli
stessi alunni per la durata di un intero ordine o grado di istruzione”. Ripeto
la domanda: perché? Attualmente, il vincolo è quinquennale, come si migliora il
diritto allo studio innalzandolo arbitrariamente a dieci? E come mai non vi si
conteggia pure il servizio pre – ruolo? Peraltro, è deformante, da un punto di
vista professionale, il vincolo posto in essere al singolo alunno disabile per
l’intero ordine o grado di istruzione. Siamo docenti o assistenti? E la presa
in carico, non era collegiale? Perché, dunque, il docente di sostegno deve
essere legato all’alunno disabile? Peraltro, chi lavora a scuola sa benissimo
che il rapporto minimo tra docente di sostegno e alunni disabili è mediamente
di uno a due/tre, quando non quattro o cinque. Quindi, il docente di sostegno
in questione dovrebbe seguire per l’intero ordine o grado di istruzione tutti e
due/tre/quattro/cinque alunni? Il legislatore forse è miope o forse ignora come
vadano le cose a scuola, ma tale vincolo è del tutto dispregiativo della
professionalità del docente di sostegno, abbassato alla stregua di un
assistente socio – sanitario e legato a doppio filo ai propri assistiti …
L’art.
10 per prevenire l’ondata di ricorsi giurisdizionali elevati negli anni scorsi
da parte delle famiglie, istituisce la procedura della conciliazione
obbligatoria prima di adire alle vie legali.
L’art.
16, infine,ribadisce una costante nel processo riformatorio in ambito di
politica scolastica, vale a dire il riformare il tutto a saldi invariati. Cioè,
a costo zero oppure producendo economie per le finanze pubbliche. In questo
caso, si prescrive che dalla presente legge “non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Ergo, se aumenta la
formazione imposta, il suo costo ricade sugli operatori per i quali vige l’obbligo
di surplus conoscitivo. Invece, da un punto di vista sistemico, se la
coperta corta è la stessa per tutti, tra chi tira di qua e chi tira di là,
qualcuno rimarrà scoperto. Chi?
L’impressione
finale è dolorosamente negativa. La presente legge farà sì contenti alcuni stakeholders,
nell’ignorare i portatori di interesse chiamati in causa direttamente, come i
docenti, ma anche il personale ATA e gli stessi dirigenti, ai quali tutto viene
imposto ex lege, ma non serve affatto ad innalzare la qualità dell’inclusione
scolastica. Peraltro, in aggiunta, suscita dei brividi sinistri l’inserimento
di DSA e BES nella gestione della disabilità. Infatti, sembra che il
legislatore voglia sostituire il docente di sostegno con la presa in carico
collegiale come già avviene per i DSA e i BES. Senza ulteriori oneri
finanziari, dunque, significherebbe un passaggio di consegne dal sostegno al
PSP, dalla cura particolare alla cura generale, e di facciata, del consiglio di classe. In fondo, la
legge n. 170 del 2010 è, a mio onesto modo di vedere, il cavallo di Troia che,
forse, fagociterà presto il sostegno scolastico, con il gaudio dei familiari,
la soddisfazione delle associazioni, il piacere di colleghi curriculari,
dirigenti e personale ATA.
(url immagine: http://www.superabile.it/repository/ContentManagement/information/P517430078/nocera%20salvatore_150x124.jpg)
La morale conclusiva della disamina della presente
legge è: chi vuole il docente di sostegno? Di certo, non io …
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