“Nel corso della sua lunga storia la filosofia ha sempre fatto grandi sforzi per restituirci alla luce originaria, spingendo la coscienza in profondità o, alternativamente, restituendola e reintegrandola al divino, suo punto di origine”
M. Zambrano, All’ombra del dio sconosciuto. Antigone, Eloisa, Diotima, Pratiche, Milano, 1997, pp. 81 – 82.
Nel suo classico modo “pensoso” di affrontare, e dirimere, le questioni, Zambrano ritorna imperiosa sui suoi temi consueti, vale a dire la frattura originaria che ha separato filosofia e poesia, a loro volta metafore incarnate della scissione originaria tra il tutto e l’essere, tra l’Uno e i Molti, tra Dio e gli uomini.
E mentre la filosofia non fa altro che scavare ulteriormente il solco della propria disperata ed ostinata separazione dalla poesia, la coscienza anela tuttora all’unità perduta. Ma nel far così la filosofia tradisce il proprio spirito primordiale e consegna la coscienza stessa all’irrealizzabilità del compito, ovvero a non poter mai, e per davvero, riguadagnare la distanza occorsa e che la separa dal divino, dal suo punto di origine, dall’unità ineffabile del tutto in Tutto.
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